Cultura & Società

A ciascuno il suo… cognome

di Elena GiannarelliUn tempo, in una Italia molto diversa dall’attuale, un pollo era… un pollo, ossia qualcosa di grande valore: esistevano i ladri di pennuti, che avevano sviluppato tecniche ingegnose per impadronirsi delle loro prede senza che queste, starnazzando, ne rivelassero la presenza. Uno dei metodi consisteva nell’affumicare il pollaio, per stordire gli animali e portarli via facilmente. Nacque così il soprannome, poi cognome Fumagalli.

I «nomi di famiglia» raccontano storie interessanti e divertenti come questa ed offrono la possibilità di ricostruire spaccati lontani di vita. Ognuno ha un suo cognome, che si tramanda da generazioni e che ha una sua particolare origine. Ecco allora alcuni esempi, che prendono in esame «nomi di famiglia» diffusi in Toscana, passati al setaccio dell’etimologia.

All’origine di una stirpe c’è ovviamente un uomo: se si chiamava Domenico oppure Beco (che ne era il diminuitivo), ecco nascere la dinastia dei Domenici e dei Bechi, con tutte le loro varianti (Dominici, Domenichini, De Dominicis, Bechelli, Becatti, Becherini, Becherucci). I Masi, Masini, Masotti risalgono al nome proprio Maso, forma abbreviata (tecnicamente ipocoristico aferetico) per Tommaso, da cui anche Tommasi, Tomasini, Tommasoni e soci. Allo stesso modo i Tolomei, quelli della Pia, documentati a Siena dal 1121, derivano il loro cognome da Bartolommeo; se però si tratta di Tolomei del Sud Italia, provenienti da zone di tradizione e di cultura bizantina, il cognome nasconde un riferimento al greco Ptolemaios, diventato Ptolemaeus in latino e Ptolomeus nel Medio Evo.

Per i Romoli è facile pensare ad un capostipite Romolo, nome diffuso certo in omaggio al fondatore di Roma, ma anche dato per secoli ai bambini toscani in onore del martire di Fiesole. Medici, Mercanti, Mercatanti, Merciai, Ortolani: ecco tutti cognomi derivati da professioni, come i Biancalani, che sono in realtà gli «imbiancalana», ossia gli artigiani che imbiancavano e sgrassavano la lana grezza.

Complimenti ai Bernardi, discendenti di un Bernhard, il cui nome, di origine germanica, significa «valoroso come un orso».

Gli Innocenti, Degl’Innocenti, Nocentini hanno all’origine della loro storia un trovatello e sono parenti stretti degli Esposito (esposto), Proietti (abbandonati, dal latino proicere «gettare»), Degli Esposti.

Brutti e Belli alludono a caratteristiche fisiche; Lepri, Lepori, Leporati e affini sono ricollegabili ad un soprannome affibbiato a qualcuno che era veloce, oppure timido, oppure pauroso o non proprio coraggioso, come la lepre. E i Ricci? Al pari dei Rizzi, Ricciarelli, Rizzoli, avevano il loro tratto caratteristico nei capelli ricciuti, ondulati.

Alla fine del Medio Evo chi tornava dalla Terra Santa portava spesso con sé o un ramo o una foglia di palma, a ricordo di Gerusalemme, dell’ingresso di Gesù in città e del sacrificio di Cristo (la palma è simbolo di martirio). Quei devoti erano detti «palmieri». Da qui il cognome Palmieri (a Firenze fu celebre Matteo), equivalente a Pellegrini e a Romei, quest’ultimo indicante quanti erano andati penitenti a Roma.

E per finire, se i Ristori affondano le loro radici nel nome Ristoro, spesso dato in antico ad un figlio nato dopo la morte di un fratellino del quale veniva a «compensare» («ristorare») la perdita, i Risaliti sono un esempio da seguire. «Risalire» significava «tornare o giungere ad una condizione economica e sociale elevata»: cosa tutt’altro che disprezzabile, ieri come oggi.

E sui cognomi sono fiorite tante leggende metropolitane. Celebre è la vicenda della signorina Bianca Farina che una volta sposatasi divenne Bianca Farina in Sacchi. Al cuore non si comanda. Si favoleggia della signora Maria Tucci in Ciampi, i cui due cognomi, letti alla toscana, suonano come un invito a non inciampare.

Ma spesso la realtà supera la fantasia: Anelli e Tondini sono i soci di una nota ditta di ricambi per auto e moto; Scaltriti e Volponi fabbricano serrature di sicurezza, si immagina, a prova di bomba. La signora Toccafondi aveva il suo destino nel nome: era una bravissima levatrice.

Il Maltagliati, nonostante il cognome, era un sarto di enorme successo nella Firenze degli anni Trenta del Novecento, mentre alla fine dell’Ottocento le dame fiorentine e toscane facevano follie pur di avere una pelliccia disegnata da un celeberrimo artigiano con atelier sul Lungarno. Aveva fatto fortuna anche a Parigi ed aveva rivestito perfino la Bella Otero, il cui ritratto con dedica era appeso alla parete. Come si chiamava? Pelagatti, ovviamente.