Cultura & Società

Agata, la Santa del mistero della vita

Carlo LapucciI terremoti, ma soprattutto la recente eruzione dell’Etna, hanno riportato alla memoria il nome di Sant’Agata come quello del personaggio d’una favola: chi era costei? Ormai non s’immagina neppure la ricchezza di spiritualità, esempi, simboli, riflessioni, cultura ci siamo lasciati alle spalle: figure che hanno permeato la religiosità e la storia per quasi due millenni.

Percorrendo il grande itinerario dell’anno liturgico non si cessa di meravigliarsi come tanta sapienza costruttiva possa essersi condensata nei secoli intorno a questa grande cattedrale evanescente, e al tempo stesso concreta, fatta di tempo, scansioni, ritmo, ricorrenze, feste, periodi, celebrazioni, riti, con la grande teoria delle immagini dei Santi.

L’uomo del passato, immerso in tale realtà, era più protetto dall’idea dell’inutilità del ripetersi sterile della vita, avanzando con la Rivelazione, nella simbologia naturale, verso un fine eccelso tracciato dai disegni divini. Nel sorgere e cadere delle cose, delle creature e delle stagioni, si riconosceva anch’egli docile parte nell’indecifrabile mosaico tracciato dalla mano di Dio e accettava nella speranza il destino. Ogni suo giorno era riscattato dall’indifferenza e dalla noia attraverso la figura di un Santo che, additando il cielo, annunciava anche qualcosa di vitale sulla terra.

Un esempio può essere la saga di Sant’Agata: anch’essa trascina dietro di sé, nella sua ascesa verso lo Spirito, elementi concreti, derivatile dalla tradizione e in parte dalla cultura pagana, e addita il momento dell’anno in cui la Provvidenza situa il risveglio ciclico della terra.Nel suo santino Agata appare come una bella fanciulla che viene torturata, ovvero che porta in un piatto prezioso, come Lucia i suoi occhi, i due seni che furono l’oggetto dell’efferata crudeltà dei persecutori, i quali verso l’anno 250 la posero nella gloria di Dio e nel numero dei Santi. La sua storia, narrata da una antica passio, non troppo lontana dall’epoca del suo supplizio, ripete uno schema più o meno comune della storia di martiri cristiane. Agata, bella e nobile ragazza di Catania, viene destinata a sposare il console romano Quinziano, prefetto dell’Imperatore Decio in Sicilia. Rifiutando il matrimonio per seguire Cristo, viene tentata da un’ignobile donna di nome Afrodisia e dalle sue cinque figlie depravate. Visti inutili i suoi tentativi di corruzione, Quinziano ricorre a torture efferate, tra cui l’asportazione del seno, menomazione della quale viene guarita da San Pietro che le appare nella prigione e con cui Agata ha un colloquio: altro suo motivo iconografico. Tra i tanti tormenti (guanciate, fame, sferza) che la devozione popolare ricorda, un improvviso terremoto interrompe il martirio, ma Agata non fugge: la sua morte avviene poi nel fuoco, elemento al quale si lega una parte del suo patrocinio e della sua leggenda.

L’anno successivo alla sua morte una grande eruzione dell’Etna arrivò a minacciare la città di Catania e i cittadini provarono come estremo mezzo di salvezza a presentare davanti alla lava che s’avvicinava alle prime abitazioni il velo bianco della santa vergine, e il fronte di fuoco minaccioso si fermò. Dalla morte e da questo miracolo deriva la sua protezione dal fuoco, dalle eruzioni vulcaniche, come l’episodio del suo martirio l’ha fatta protettrice dai terremoti. Estende il suo aiuto ai fabbricanti di campane, agli operai degli altiforni e a coloro che lavorano nelle fornaci. Per questo si rappresenta anche con una candela accesa, o con una torcia, presso una casa in fiamme. Collegata al suo supplizio è la protezione delle balie, delle donne che allattano e delle malattie di petto.

Dopo il miracolo dell’Etna si dice che un angelo deponesse sulla sua tomba una lapide di marmo con scritta la promessa della sua protezione futura della Sicilia. Il culto si estese in Occidente e in Oriente, in Italia e nel Nord Europa. Già nel V secolo il suo nome appare nel canone della Messa e molti sono gli elementi che confortano a credere storica la sua figura, sia pure avvolta nei numerosi elementi leggendari, tanto che la riforma del calendario liturgico del 1969, in altri casi molto severa, non l’ha esclusa dal calendario liturgico ufficiale. Numerosissime sono le chiese e le basiliche a lei dedicate; a Roma notissima è Sant’Agata dei Goti, edificata verso il 470 dal capo barbaro Ricimero per il culto ariano e riconsacrata poi da Gregorio Magno. I documenti concordano sulla data della morte che avvenne il 5 febbraio, giorno della sua festa. A Catania e anche altrove si festeggia anche il 17 agosto commemorando il ritorno delle sue reliquie da Costantinopoli dove un secolo prima le aveva portate Giorgio Maniace.

Le spoglie della Santa sono conservate in una cappella del Duomo di Catania, su cui è scritto: Per me civitas Catanensium sublimatur a Christo. Inutilmente Palermo ha conteso lungamente a questa città l’onore della nascita della Santa: si voleva da parte dei palermitani che Agata risiedesse a Palermo e fosse stata chiamata a Catania da Quinziano. Ormai la questione è chiusa e una cella protetta da una grata protegge i resti santi ed è considerata il sancta sanctorum della città. Nel XII secolo si potenzia ovunque il culto dei Santi come segno delle identità locali che prendono forza dall’affacciarsi dell’importanza delle formazioni comunali. Il culto di Sant’Agata si diffonde ancora in centri d’Italia come Cremona, che conserva nella chiesa dedicata alla Santa alcune sue reliquie, la Tabula angelica e opere d’arte con episodi della passio. Nel 1185 si fonda a Firenze il Conservatorio di Sant’Agata, ora sede dell’Ospedale militare. 1175 è la data che si legge su uno specchio del recinto battesimale nella riedificata pieve di Sant’Agata nel Mugello, grande e magnifico edificio romanico, dove un rito di propiziazione prevede ancora per la sua festa l’accensione di ceri agli ingressi del paese.

Protagonistadella devozione popolare

Inutile citare di quante chiese è titolare questa Santa, la quale fu sempre presente nella devozione popolare. Meglio indagare in ciò che ha visto la gente in questa singolare figura. Dice un proverbio assai diffuso: Per Sant’Agata la terra rifiata, che comunemente s’intende come un liberarsi della terra dalla morsa del gelo per rianimarsi come nella ripresa di un respiro vitale che libera la vita nascosta dei germi in preparazione della primavera. A noi pare il cuore dell’inverno, ma il contadino già vede il prepararsi della ricomparsa della vegetazione, avverte l’allungarsi delle giornate (quasi un mese e mezzo dopo il solstizio d’inverno). Questo fa dire a un altro proverbio: Per Sant’Agata la merenda è ritrovata: il pasto della sera arriva più tardi rispetto al periodo precedente e si può fare lo spuntino del pomeriggio, perso in autunno. Per Sant’Agata l’oca fa l’uovo è un proverbio segnatempo per indicare che l’oca comincia a deporre le uova per la nuova cova più tardi della gallina che inizia in pieno gennaio.

La purificazione e la febbre della terraNella vita del passato questa festa si allacciava per molti aspetti con quella della Purificazione: la Candelora. La luce e il fuoco sono comuni alle rispettive ritualità.

A Catania il periodo di festeggiamenti della Santa abbracciano anche la Purificazione, si portano in giro le fiaccole, ceri colossali, come insegne della Santa e si chiamano Candelore. Questo fuoco sacro avvia all’ipotesi suggestiva che non si tratti di un fuoco materiale, ma sia un simbolo, di un calore che scalda dall’interno la terra e la spinge a generare. Questo sarebbe il significato delle fiaccole nel buio che si accendono come germi nelle viscere della terra.

Un altro proverbio calabrese ci conforta su questa strada: Febbraio, la febbre nella terra. Una febbre di rinata vitalità, tanto è vero che, come spiega il Righetti, «le candele non dovevano accendersi da un fuoco qualsiasi, ma da un cero speciale acceso a tale scopo. Infatti moltissimi formulari cominciano con una Benedictio novi luminis o ignis novi». La Vergine della Purificazione e Sant’Agata additano il miracolo della vita che ritorna nella terra. Il collegamento che abbiamo fatto non è poi così ardito.

Se si analizza la festa catanese di Sant’Agata si nota che il corteo degli ignudi che portano la pesante macchina dove sono poste le reliquie è circondato di strane figure, dette le velate, e poi sibille, ninfe, zingare, mentre risuona continuamente il grido: Citatini, viva Sant’Aita.

Tutto questo e altro ci rimanda a un mistero pagano, cosa di cui qualcuno non dubita. Alexandre Haggerty Krappe, nel libro Mythologie universelle (Parigi 1930) sostiene appunto che l’Agathè Theà (buona dea) ellenica si nasconde in parte sotto la figura di Sant’Agata. Gli elementi che uniscono la dea Demetra a Sant’Agata sono sorprendenti. La divinità pagana presiede all’agricoltura, alle messi e alle biade, è madre di Persefone, personificazione della vegetazione che sta sotto la terra in inverno ed esce con la buona stagione. Rapitale da Plutone la figlia, Demetra la cercò per la Sicilia accendendo due pini alle fiamme del vulcano e agitandoli nella notte; aveva il centro del culto a Catania, dove si trovava il suo sacello segreto custodito da sole sacerdotesse; ebbe il seno come simbolo della vita e dell’abbondanza, nel latte «esuberante» che ne esce come fuoco dal vulcano; allattò quindi Trittolemo, attraverso il quale insegnò agli uomini la coltivazione; il suo culto arrivò presto a Roma. Un curioso particolare: a Cerere si sacrificava una scrofa gravida, quale animale più prolifico e benefico.

Una leggenda narra che quando San Gregorio Magno, debellata l’eresia, volle riportare da quello ariano al culto cattolico la chiesa di Sant’Agata dei Goti a Roma, nell’anno 593, il diavolo oppose una fiera resistenza, della quale a stento il grande papa poté venire a capo. Quando alla fine in un orribile stridore un enorme porco nero apparve tra le navate e, correndo tra lampi e boati, scomparve lasciando nella chiesa rumori spaventosi che al terzo giorno si placarono e scomparvero, quando una nube leggera avvolse le mura e sparse profumo di rose. L’antica dea era fuggita per sempre. Quello che meraviglia dell’anno liturgico e delle sue ramificazioni nella devozione e nella tradizione è questa armonia che riesce a creare nei piani dell’essere: spirituale, religioso, simbolico, psicologico, naturale e anche fantastico; quello che meraviglia dell’uomo del nostro tempo è il suo passaggio esistenziale nell’indifferenza in mezzo ai prodigi e alle meraviglie che Dio riversa ogni giorno nel Creato, mentre va cercando, per uscire dal mortale scetticismo, altri più modesti e banali miracoli.