Cultura & Società

Al via il restauro dei leggendari condottieri Giovanni Acuto e Niccolò da Tolentino di Paolo Uccello e Andrea del Castagno nel Duomo di Firenze

Il restauro commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore – sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato – è reso possibile grazie al finanziamento dell’American Express. L’intervento è stato affidato dall’Opera alla restauratrice Daniela Dini che già nel 2000 si era occupata delle due opere.

 

Con il suo esercito, chiamato “la compagnia bianca”, composto da duemila arcieri gallesi dotati di enormi archi, alti quasi due metri, l’inglese John Hawkwood, soprannominato a Firenze Giovanni Acuto (1323 – 1394), fu un leggendario condottiero e capitano di ventura a servizio di vari Stati e infine della Repubblica fiorentina. Niccolò Da Tolentino (1350 c. – 1435) dopo aver combattuto per i Malatesta passò al servizio dei Fiorentini e per le sue gesta fu nominato capitano generale di Firenze. Per i fiorentini combatté, riportando la vittoria, la terribile Battaglia di San Romano (1432), resa immortale da Paolo Uccello nel celebre trittico.

 

Entrambi i monumenti si trovano nella parete della navata sinistra della Cattedrale, dove li vediamo oggi ad un’altezza inferiore da quella originale, come si può vedere in un’incisione anteriore allo stacco del 1842 e nella quale si nota come il bordo superiore fosse all’altezza dei capitelli delle colonne. Di dimensioni quasi uguali (il monumento a Giovanni Acuto misura cm 855×527 e 833×512 e quello di Niccolò da Tolentino 833×512), apparentemente simili sono in realtà profondamente diversi. Dei due monumenti solo quello dell’Acuto è firmato, ed è la prima volta che Paolo Uccello firma una sua opera, in un gesto di orgogliosa rivendicazione.

 

Il restauro odierno ha un carattere preventivo e conservativo, un approccio oggi ritenuto centrale nella disciplina del restauro: si interviene sulle opere d’arte quando mostrano i primi sintomi di degrado, come in questo caso, per evitare l’aggravarsi dei danni e dover poi effettuare degli interventi invasivi e costosi. I due affreschi sono in uno stato di conser­vazione abbastanza buono, ma essendo trascorsi venti anni dal loro ultimo restauro, la superficie pittorica è offuscata da una patina scura uniforme causata dell’accumulo di particellato acido prodotto dall’inquinamento e da polvere inerte depositata nel corso del tempo.

 

L’intervento prevede una spolveratura con pennelli morbidi su tutta la superficie pittorica per eliminare la polvere più superficiale, mentre quella più profonda sarà rimossa grazie a una leggera pulitura a tampone con ovatta di cotone idrofilo e acqua deionizzata con interposta carta giapponese, cercando al tempo stesso di mantenere il più possibile il ritocco pittorico precedente che è stato di grande entità. Infine un ritocco pittorico da effettuarsi a velature tonali nelle lacune che si sono verificate con la leggera pulitura, tramite l’impiego di pigmenti naturali (vegetali e/o minerali) legati da caseinato di ammonio.

 

I due affreschi hanno subito nel corso dei secoli svariati interventi di restauro: a carattere estetico quelli del 1524, eseguito dal pittore Lorenzo di Credi, e del 1688 che ridette vivacità di colore in occasione delle nozze del Principe Ferdinando, figlio di Cosimo III, con Violante di Baviera. A carattere conservativo quello del 1842, quando, con un’operazione molto ardita, li distaccarono dalla parete e li posero su una tela di canapa incorniciata solo ai lati. I due affreschi furono allora collocati sulla controfacciata del Duomo, dove rimasero fino al 1946. A carattere filologico-conservativo quelli del ‘900 e 2000. Fondamentale è stato il restauro del 1953 eseguito da Dino Dini quando le opere versavano in cattive condizioni con il rischio di perdita di vaste aree della pittura. Nel restauro del 2000, eseguito da Daniele Dini, le due opere sono state oggetto di una completa pulitura e un vasto ritocco pittorico a velatura tonale nelle alcune

 

Nell’agosto del 1393, quando Giovanni Acuto era in procinto di lasciare Firenze, la Repubblica fiorentina ordina l’esecuzione di un cenotafio scultoreo in suo onore in Duomo, cosa assolutamente eccezionale per una personalità ancora in vita. Al tempo però l’Opera del Duomo non riuscirà a dare corso all’esecuzione del monumento. Un anno dopo, nel marzo del 1394, Giovanni Acuto morirà e sarà sepolto con grandi onori nella Cattedrale di Firenze e in seguito le sue spoglie traslate nella città natale per volere del re d’Inghilterra Enrico II. Trascorso un anno dalla morte dell’Acuto, il progetto di realizzare una tomba in marmo in Duomo sarà ripreso ma abbandonato a favore di un affresco dipinto da Agnolo Gaddi e da Giuliano d’Arrigo detto Pesello. Una commissione che si inserisce in un contesto di opere celebrative destinate a fare di Santa Maria del Fiore un pantheon di personalità eminenti della storia fiorentina del Tre e Quattrocento. Quasi mezzo secolo dopo, il 26 maggio del 1436, l’Opera di Santa Maria del Fiore delibera di realizzare un cenotafio a Giovanni Acuto e appena 4 giorni dopo, il 30 maggio, il nome di Paolo Uccello compare per la prima volta in un vero e proprio contratto, dove si richiede espressamente che il monumento sia realizzato in “terra verde”.

La commissione implicava il rifacimento del precedente affresco del Gaddi e del Pesello, che doveva essersi nel frattempo deteriorato. Dopo un mese l’affresco del condottiero era terminato, ma ecco il colpo di scena: non viene ritenuto idoneo dai committenti e se ne ordina il rifacimento. A Paolo Uccello viene imposto di replicare il dipinto che fu completato entro l’agosto del 1436, giusto in tempo per la solenne inaugurazione della Cupola del Brunelleschi (30 agosto). A Paolo gli fu data in aggiunta la cifra di 64 lire “per sua faticha e prezzo di dipigniere due volte la persona e chavallo di messer Giovanni Aghuto”. Dopo la seconda e definitiva versione dell’affresco, il 17 dicembre 1436, l’Opera chiede a Paolo Uccello di cambiare anche l’iscrizione posta sul sarcofago che riproduce le ultime righe di un panegirico a Fabio Massimo: DUX AETATIS SUAE CAUTISSIMUS ET REI MILITARIS PERITISSIMUS HBITUS EST. La commissione a Paolo Uccello del cenotafio a Giovanni Acuto non è l’unica per il Duomo di Firenze e dimostrano come l’artista fosse considerato una figura di primo piano. Nel febbraio 1443 gli viene commissionata la dipintura del quadrante dell’orologio in controfacciata e due mesi più tardi la doratura della stella delle lancette e la stesura dell’azzurro sulla superficie sottostante. Nello stesso anno viene incaricato di disegnare due vetrate degli occhi della Cupola: la Resurrezione, la Natività e l’Annunciazione, quest’ultima andata perduta nel 1828.

 

Il monumento al condottiero Niccolò da Tolentino (1350 circa – 1435) ha una storia più breve e lineare. Morto nel 1435, si ha testimonianza di una grande folla alle sue esequie a cui partecipò anche Papa Eugenio IV. Venti anni dopo, nell’ottobre del 1455, la Signoria di Firenze delibera di onorare la memoria del condottiero con un monumento in Duomo conferme “in modo e forma” a quello dell’Acuto, che sarà terminato l’anno successivo come da pagamento conclusivo registrato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, per una cifra di 24 fiorini. Dei tempi così stretti tra la progettazione del monumento dipinto e la sua esecuzione fanno pensare ad una particolare attenzione della Signoria, forse motivata dai rapporti di amicizia in vita tra Niccolò da Tolentino e Cosimo il Vecchio.  Andrea del Castagno aveva già lavorato per l’Opera nel 1444 come fornitore di cartoni per le vetrate, nel 1446 per aver dipinto un giglio e due spiritelli sull’organo del Duomo e poi un Agnus Dei e per la doratura dello stesso strumento.