Cultura & Società

Alla scoperta del formaggio

Gian Marco Mazzanti

Il nostro viaggio alla scoperta dei prodotti tipici della Toscana, prosegue percorrendo la… «via lattea». Non spaventavi però: non andremo nella galassia, ma, ben più vicino, ci renderemo conto che, anche nella nostra regione, c’è una «via lattea» rappresentata da una varietà incredibile di formaggi con i quali non sarà difficile realizzare un «plateau» ben assortito. Ma, come al solito, prima di parlare piuttosto di quello che di quell’altro formaggio, cerchiamo di capire cosa intendiamo per «formaggio» (dal termine medioevale «formaticum»).

Secondo la legislazione italiana, per «formaggio» o «cacio», si intende il prodotto della maturazione della cagliata, ottenuta mediante coagulazione presamica o acida del latte intero o parzialmente o totalmente scremato, oppure dalla crema, con o senza aggiunta di coloranti e di sale da cucina, sufficientemente impoverita di siero. Poi, a seconda della qualità del latte, del caglio aggiuntovi e dei sistemi di lavorazione, si ottengono i diversi tipi di formaggio. Ma come si producono i vari tipi di formaggio? Ovviamente si parte dal latte, la cui coagulazione è provocata dal «caglio» che può essere di tre tipi: animale, chimico e vegetale. Il latte coagula perché la caseina presente nel latte, per via del caglio, si raggruma e precipita imprigionando parte del lattosio e degli altri componenti, dando vita alla «pasta caseosa». Contemporaneamente una parte dell’acqua e del lattosio vengono eliminati andando a costituire il «siero» dal quale si possono ricavare sottoprodotti fra cui la «ricotta». La pasta caseosa, a questo punto, viene sottoposta a ulteriori lavorazioni tipo la «frantumazione della cagliata», seguita dalla «formatura» con la quale il formaggio acquista la forma definitiva, poi la «pressatura» per dare maggior consistenza alla forma, la «salatura» che favorisce la formazione della crosta e rende il formaggio più saporito, per finire con la «stagionatura» riservata ai soli formaggi che non vanno consumati freschi.Fatta questa doverosa premessa, vediamo cosa offre la proposta casearia del territorio toscano.La prima menzione spetta, di dovere, al formaggio più titolato, l’unico che attualmente è stato riconosciuto con la DOC nel 1986 e con la denominazione d’origine protetta (DOP) nel 1996: il pecorino toscano.

Il «pecorino toscano» lo si produce con solo latte di pecore di razza comisana, massese, sopravvissana, appenninica e sarda e le varie fasi di lavorazione avvengono secondo l’antico rituale codificato nei secoli. Questo formaggio, a pasta tenera o semidura, al taglio si presenta di colore bianco o leggermente paglierino e con una presenza di piccole occhiature; la crosta è di colore giallo tendente al nocciola e la forma è cilindrica. Le forme, prima di essere messe in commercio, sono controllate una a una per verificarne la corrispondenza ai requisiti previsti dal disciplinare di produzione, dopodiché viene apposto il marchio di origine che riporta una P e una T stilizzate, la scritta Pecorino Toscano e il numero di identificazione del produttore. Lo possiamo trovare in commercio con una stagionatura minima di 20 giorni (Pecorino Toscano a pasta tenera) o di 4 mesi (Pecorino Toscano stagionato); il prolungarsi della stagionatura esalta maggiormente il sapore e il colore, rendendoli più intensi, e la pasta più compatta. Sono le erbe saporose e profumate a conferire al latte delle pecore, gusti straordinari e irripetibili, a seconda delle zone di pascolo. Ed a proposito di zone di produzione, è proprio nel cuore della Toscana, in provincia di Firenze, che troviamo la prima delle zone tipiche per la produzione di pecorino: il «marzolino di Lucardo». Pensate che da queste parti, soprattutto le donne di Montespertoli e di San Casciano, portavano come vera e propria dote l’abilità nel produrlo.

Spostandosi verso Siena, troviamo la seconda zona tipica, quella senese, dove troviamo il «pecorino delle Crete senesi» Rientrano sempre nell’ampia storia del Pecorino altri due formaggi: il marzolino e la caciotta. A inventare il Marzolino furono i pastori che ne producevano in quantità con le prime mungiture di marzo, mentre aspettavano che maturassero gli altri formaggi. Molto simile al Pecorino, come sapore e aspetto, si distingue da quest’ultimo soprattutto per la stagionatura che può essere, al massimo, di 6 mesi. Da tenere presente che la migliore produzione, come appunto ricorda il nome, è sempre quella del mese di marzo, periodo in cui si verificano le condizioni ottimali che rendono il latte eccezionale. Celebrato dai letterati senesi del Cinquecento e del Seicento, per i quali era il formaggio del Granducato di Toscana era già stato nominato da Pantaleone da Confidenza con il nome di «Marcellinus». Da ricordare anche il passo scritto testualmente dall’umanista Bartolomeo Scappi: «Due sono oggi i formaggi che si contendono il primato: il Marzolino, così chiamato dai Toscani perché prodotto in marzo, e il Parmigiano, che tra i Cisalpini si può anche chiamare Maggengo, dal mese di maggio».Anche la Caciotta  Toscana possiamo ritenerla facente parte della famiglia dei Pecorini, pur se prodotta con aggiunta, fino al 60-70%, di latte vaccino. Questa tipologia di formaggio si trova in quasi tutta la regione ed esistono diverse denominazioni che indicano differenti qualità casearie, ma che vengono accomunate tutte sotto il nome di Caciotta Toscana. Tendenzialmente, comunque, si tratta di un formaggio a pasta molle, semicotta, di colore bianco latte tendente al paglierino; la crosta è sottile e la forma è cilindrica con facce piane. Alcune varietà di Caciotta sono colorate esternamente con pomodoro, ma anticamente si usava anche sangue di pecora. Le ricettePecorino fritto – Tagliare il pecorino a fette alte un centimetro, passarle nell’uovo sbattuto, poi nel pane grattugiato, ancora nell’uovo e nella granella di nocciole. Far riposare in frigo per circa un’ora, poi friggere in olio bollente per pochi minuti.Insalata di pecorino e cipollotto – Lavare i cipollotti poi metterli, tagliati a metà, in acqua salata a scaricare. Dopo un’ora di ammollo, tagliarli a rondelle e disporli su un vassoio. Tagliare a fette finissime un pecorino semistagionato e porle sui cipollotti; condire il tutto con ottimo olio d’oliva extravergine e con una spolverata di pepe appena macinato.Pere e pecorino – Sbucciare 1 kg di pere, passarle nel passaverdure e disporre il composto ottenuto in una padella; cuocere finché il tutto non si sarà addensato. Tagliare a fette del pecorino stagionato e spalmarlo con il passato di pere caldo. Servire subito guarnendo con foglie di menta.