Cultura & Società

Ambiente, la Toscana non sta così male

di Antonio Lovascio

Parola di etologo: «Checché se ne dica o si scriva sui giornali, il mare toscano – soprattutto quello della Maremma – per qualità è uno dei migliori del Mediterraneo, come si vede dagli indicatori biologici, dallo stato delle praterie sottomarine di Posidonia. Così come godono buona salute tutti gli ecosistemi della nostra regione». È il primo verdetto – rassicurante – di un «check-up» ecologico che abbiamo tracciato con un’«autorità» in materia, la professoressa Felicita Scapini, direttrice del Dipartimento di biologia evoluzionistica dell’Università di Firenze.

Veronese di nascita, ma fiorentina di adozione e formazione accademica, è stata allieva del grande maestro dell’etologia moderna italiana, il compianto professor Leo Pardi, premio Balzan. Da anni con i colleghi della sua Facoltà e giovani ricercatori si occupa delle problematiche della gestione integrata dei litorali e degli ecosistemi delle aree costiere, spaziando – con progetti finanziati dalla Comunità europea ed in parte dal nostro ateneo – dall’Italia al Marocco, dalla Tunisia all’Egitto, da Malta alla Spagna. Attività che le è valso il conferimento di prestigiosi riconoscimenti anche all’estero. Ultimi in ordine di tempo quelli ricevuti a Londra dalla Royal Geographical Society (con le congratulazioni del Duca Filippo di Edimburgo) per lo studio sulla navigazione degli animali, e nel giugno scorso ad Alicante. Attestati che hanno consacrato una ricchissima produzione scientifica, certificata da riviste specializzate, libri, ed anche da Internet («Non per ambizione, ma per la trasparenza impostaci dalla Cee»). Però un occhio di riguardo e gran parte del suo tempo e delle ricerche che porta avanti il Dipartimento, la prof. Scapini li dedica alla Toscana. La sua equipe collabora con la Regione e con l’Arpat nel monitoraggio delle situazioni ambientali litoranee. Con Mariella Nardi ha scritto uno splendido volume sul Parco della Maremma, edito da Pacini. Se lo sci è la sua passione, mare, coste, parchi, animali e… la Specola sono il suo mondo intrigante, che ci svela in questa intervista.

Professoressa Scapini, troppi allarmi sull’ecosistema toscano? Ci sono fattori locali che hanno inciso sul progressivo deterioramento, al di là dei mutamenti climatici?

«Non si può parlare di “ecosistema toscano”, ma di “ecosistemi in Toscana”, molti dei quali condivisi con le regioni limitrofe, la Liguria, il Lazio, e l’Emilia Romagna per quelli forestali. Comunque i nostri ecosistemi godono buona salute, sono oggetto di attenzione, sia da parte del pubblico che delle autorità, con una rete notevole di aree protette. Naturalmente si potrebbe fare meglio, soprattutto nel controllo della pressione turistica sulle coste e della pressione edilizia e di infrastrutture sulle aree pianeggianti. Non dobbiamo dimenticare che il paesaggio umano e le attività agricole sono anch’essi componenti essenziali dei nostri ecosistemi».

Quali sono le aree più fragili, quelle che – secondo il monitoraggio degli scienziati e dei ricercatori – sono a maggior rischio frane e alluvioni?

«Sicuramente le zone di montagna, che hanno subito in quest’ultimo secolo l’abbandono dei loro abitanti. L’uomo ha da sempre contribuito al mantenimento del suo territorio, sfruttando conoscenze tradizionali, di cui gli scienziati dovrebbero tenere conto nelle loro valutazioni. Un esempio sono i terrazzamenti e le pratiche di irrigazione».

Le nostre coste tirreniche, considerate anche dai turisti stranieri tra le più belle del Mediterraneo, da qualche anno sono sottoposte ad un costante processo di erosione. Perché queste spiagge, se forse si escludono quelle della Versilia, comunque contaminate, si stanno sempre più restringendo?

«Non è vero che le spiagge della Versilia siano particolarmente contaminate. Piuttosto sono impattate da una notevole pressione edilizia sulle dune e da una frequentazione turistica molto concentrata in certe stagioni. Tuttavia, alla foce del fiume Magra e soprattutto in corrispondenza del Parco di Migliarino-San Rossore, si trovano sistemi costieri di notevole interesse naturalistico. Più a sud, in provincia di Grosseto, abbiamo spiagge bellissime, protette verso terra da dune coperte di macchia mediterranea. Il processo in atto di erosione di queste spiagge fa parte della naturale dinamica delle coste sabbiose e dipende soprattutto dal diminuito apporto di sedimenti da parte dei fiumi. La miglior strategia di protezione dall’erosione, nel caso di spiagge con dune vegetate, è quella di evitare le costruzioni in prossimità delle dune, che hanno proprio la funzione di fissare la sabbia».

Spesso gli ecologisti mettono sotto accusa l’Arno e l’Ombrone: le loro acque inquinate dalle produzioni industriali della pianura hanno creato anche danni ai grandi parchi lungo la costa?

«Riguardo all’Arno, gli ecologisti hanno purtroppo ragione. Le acque alla foce di questo fiume, che attraversa città importanti e zone industriali, devono essere costantemente monitorate. D’altra parte, esistono tecnologie efficienti di depurazione delle acque fluviali. Non mi risulta che la situazione dell’Ombrone sia altrettanto drammatica. Anzi, dai dati in mio possesso, posso dire che gli ecosistemi alla foce di questo fiume sono sani e vitali. I danni visibili alle pinete costiere sono piuttosto dovuti alla salinizzazione della falda freatica – spesso causata dal prelievo dai pozzi per l’irrigazione dei campi. Contaminazione a volte aggravata dal processo di erosione locale».

Le vostre ricerche sul campo, le vostre segnalazioni-denunce allo Stato ed alla Regione Toscana hanno prodotto qualche effetto e, soprattutto, interventi concreti? Come possiamo definire la gestione del nostro litorale?

«La Regione Toscana è molto attenta alle sue coste, una grande ricchezza anche da un punto di vista economico. Il rischio potrebbe essere quello di dimenticare l’importanza della dinamica naturale dei litorali sabbiosi, con interventi pesanti sulle coste per stabilizzarle. Mentre sarebbe più utile una gestione integrata, che tenga conto anche degli apporti dei fiumi e della pressione delle infrastrutture. Per questo abbiamo chiesto di dichiarare un tratto del litorale del Parco della Maremma riserva integrale per la sua importanza ecologica, limitando alla foce dell’Ombrone l’intervento programmato di stabilizzazione del litorale. Nel complesso definirei la gestione del nostro litorale troppo attiva da un punto di vista ingegneristico e carente riguardo agli ecosistemi litorali, che mantengono il legame tra gli ecosistemi del mare e della terra».

Quali sono, secondo lei, le maggior specificità dal punto di vista della flora e della fauna, della riserva di San Rossore-Migliarino, un tempo tenuta del Quirinale ed ora diventato Parco Regionale?

«Il Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli ha al suo interno delle aree umide di grandissimo valore sia naturalistico che paesaggistico. La storia di riserva reale di caccia la si può leggere nel disegno del parco e nella presenza di grandi erbivori, come i daini. Nonostante i processi di erosione in atto, vi sono dei resti di dune con vegetazione caratteristica (al termine della «via di Pertini») che vale la pena conservare».

Parliamo di un altro tesoro naturalistico, cui lei ha dedicato i suoi studi, cioè del Parco regionale della Maremma. Che cosa non dovrebbe sfuggire alla curiosità del visitatore per capire meglio il «miracolo della vita»?

«Alla visita del Parco della Maremma consiglio di dedicare un po’ di tempo per apprezzare la varietà degli ambienti, la loro struttura e la loro storia. Può poi capitare di incontrare qualche animale caratteristico, sicuramente le impressionanti vacche maremmane, che vivono allo stato brado in terreni salmastri, sorvegliate dai butteri a cavallo, che soli riescono a intimorire questi robusti animali. Nel Parco si può apprezzare il “miracolo della vita”, e soprattutto il miracolo dell’interazione uomo e natura».

Sfogliando i titoli della sua monumentale produzione pubblicistica, mi ha colpito uno in particolare, quello su «I dialetti degli animali» …

«Questo libro è un classico dell’etologia che ho tradotto dal tedesco. Gli uccelli, come l’uomo, apprendono il linguaggio, cioè il canto, dai loro genitori o da un tutor. Questo fa sì che si determino differenze apprese nei canti, da una zona all’altra. Come per l’uomo, dalle differenze fra linguaggi e altri comportamenti appresi dai genitori, ad esempio le preferenze alimentari, i comportamenti mostrano l’attaccamento al territorio e la storia delle migrazioni. Di questi aspetti, come della trasmissione culturale, parlo anche nel trattato di Etologia che ho scritto con un collega francese, Raymond Campan».Veniamo al Parco marino dell’Arcipelago Toscano. Qual è lo stato degli habitat e della biodiversità nelle acque della Toscana, del ripopolamento dei cetacei attorno all’Isola d’Elba, al Giglio, a Giannutri, Capraia, Pianosa e Gorgona?

«L’istituzione del Parco marino è stato un intervento di tutela di grandissimo interesse scientifico.Ora si dovranno delineare delle strategie di gestione veramente efficaci, soprattutto riguardo alla protezione del collegamento ecologico delle isole fra loro (in conservazione si parla di corridoi ecologici) e dell’integrazione del litorale del Parco della Maremma in questo sistema. Spesso succede che l’istituzione delle aree protette ha l’effetto di attrarre un numero elevato di visitatori, che può produrre una pressione sull’area stessa che si vuole salvaguardare. Anche certi interventi di reintroduzione di fauna e flora sono a mio parere discutibili, perché possono rompere gli equilibri esistenti».

«La Specola», in via Romana, è un po’ il vostro fiore all’occhiello. Il Museo di scienze naturali, tanto valorizzato dal suo Maestro, il compianto professor Leo Pardi, richiama ogni anno tanti visitatori, turisti e scolaresche. Qual è il fascino che li attrae?

«La Specola contiene collezioni naturalistiche storiche e attuali, in quanto le ricerche faunistiche sono sempre in atto. Quello che viene mostrato al pubblico è la punta dell’iceberg delle ricchezze del Museo. Mi piacerebbe che ai visitatori venisse illustrato anche quello che si sta facendo nella ricerca naturalistica in collaborazione con i ricercatori del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica che dirigo. La Specola comunque organizza una serie di conferenze che sono abbastanza frequentate. Il pubblico fiorentino ama le scienze naturali e le percepisce come parte della propria tradizione (“da piccolo mio nonno mi ha accompagnato a vedere il Museo”, “mia zia studia i gamberi delle colline intorno a Firenze”…). Non dimentichiamo che storicamente l’istituzione naturalistica nasce prima dell’Università, più recente e successiva all’unificazione d’Italia».

La sua facoltà fa ricerche anche all’estero. Nei giorni scorsi, a «Ruralia», avete presentato i risultati dell’esperienza compiuta da vostri studenti nel maggio scorso in Marocco. È stato un bell’arricchimento scientifico?

«Trovo giusto che la gente sappia come vengono spesi i soldi della ricerca e della didattica. Alcuni studenti della laurea magistrale di Biologia sono stati condotti per dieci giorni nel nord del Marocco nell’ambito del programma di internazionalizzazione dell’Università di Firenze, attuato con il locale ateneo di Tétouan, con cui collaboro dal 1999 in progetti finanziati dalla Commissione Europea. La visita è stata un’esperienza forte, sia da un punto di vista naturalistico che umano. Quest’area (appartenente al Protettorato spagnolo fino agli anni ’60) è abitata da berberi , ancora molto legati alle proprie tradizioni. I paesaggi, la vegetazione e la fauna, plasmati dall’uomo, sono estremamente vari e ricchi da un punto di vista naturalistico. Gli studenti hanno potuto visitare foreste in montagna, hanno condotto analisi sulla biodiversità delle acque stagnanti e correnti e delle spiagge, più o meno impattate dalle attività umane, di pesca tradizionale o di turismo locale. Hanno anche visitato una scuola elementare di montagna, dove abbiamo regalato ai bambini un libro scritto per loro sugli animali, rettili e anfibi, della loro regione».