Cultura & Società

Amerigo Vespucci e il suo tempo

di Franco Cardini

Amerigo Vespucci nacque a Firenze il 9 marzo del 1454, pochi mesi dopo che i turchi del sultano Maometto II erano entrati trionfalmente in Costantinopoli; morì a Siviglia il 22 febbraio del 1512, un anno e mezzo prima che Vasco Núñez de Balboa intraprendesse la marcia che dal Darién l’avrebbe condotto fino al golfo ch’egli battezzò di san Miguel, sulle sponde d’un nuovo e fino ad allora sconosciuto mare occidentale, del quale avrebbe preso possesso nel nome del re di Spagna denominandolo, semplicemente, «Mare del Sud»: più tardi, Ferdinando Magellano l’avrebbe chiamato – impropriamente – «Pacifico».

L’avventura terrena di Amerigo si compie pertanto in quel medesimo lasso di tempo – poco più d’un mezzo secolo – nel quale si sono navigati da parte europea due oceani e se n’è scoperto un terzo: il mezzo secolo circa nel quale i marinai, i mercanti, gli avventurieri, i geografi e i cartografi d’Europa hanno violato i confini che fino ad allora dividevano l’orbe terraqueo in culture e civiltà estranee e – a parte casuali contatti – non comunicanti tra loro e hanno fondato l’«economia-mondo»; il mezzo secolo che ha visto l’Europa tracimare al di là dei suoi confini e trasformarsi in Occidente. Firenze, città di mercanti, aveva sviluppato fino almeno dal Trecento un grande interesse per l’assetto del mondo; e dai primi del Quattrocento, dopo aver conquistato la città di Pisa con il suo porto, aveva avviato anche una politica marinara propria. In particolare, le nuove isole che nel corso del XIV secolo erano state scoperte nell’Atlantico, le Canarie, avevano attratto l’interesse dello steso Giovanni Boccacci e di molti studiosi.

Il momento in cui le fino ad allora in parte sparse notizie furono raccolte e organizzate fu il concilio di Firenze del 1439-42. Si trovarono in quell’occasione accanto lo studioso Paolo dal Pozzo Toscanelli e il funzionario pontificio Poggio Bracciolini, il quale inserì nel IV libro del suo De varietate fortunae la narrazione dei viaggi del chioggiotto Nicolò de’ Conti in Asia meridionale e nel sud-est asiatico.

Il Toscanelli, peraltro, mentre studiava Tolomeo e raccoglieva le testimonianze di Nicolò de’ Conti, traeva intanto informazioni anche dall’amico Nicolò Cusano per quanto riguardava l’Europa settentrionale e da fonti portoghesi per l’Atlantico e l’Africa. È Cristoforo Landino a informarci di quanto avidamente egli interrogasse tutti i viaggiatori provenienti da lontani lidi a Firenze; e un’occasione importante d’informazione a proposito del lontano Occidente aveva dovuto essere la visita nel 1428 sulle rive dell’Arno del principe Pietro del Portogallo, ricevuto con grandi onori dai banchieri fiorentini che guardavano ormai con sempre maggior interesse alla penisola iberica e all’attività nautica che si svolgeva sulle sue coste dirimpetto al grande oceano.

Appunto alle ormai fitte relazioni tra Firenze e il Portogallo si fa risalire anche l’avvìo della corrispondenza tra il Toscanelli e Ferdinando Martins: e si propende ormai con decisione – per quanto non manchi fra gli studiosi chi mantiene qualche riserva – per ritenere autentica la lettera dal Toscanelli inviata il 25 giugno del 1474 al Martins in accompagnamento alla celebre carta designata dal Toscanelli stesso sulla base dei dati ricavati da Tolomeo e da Marino di Tiro ma corredata dai suoi personali calcoli. Si è altresì a lungo parlato delle relazioni fra il Toscanelli e la corte portoghese attraverso un mercante e armatore fiorentino che vi aveva comodo accesso, Bartolomeo Marchionni.

Amerigo Vespucci apparteneva a una famiglia della parrocchia di Ognissanti che apparteneva al gruppo delle più fedeli collaboratrici di casa Medici. Entrato molto giovane al servizio della compagnia mercantile dei Medici, nel 1492 era stato inviato,  ormai trentottenne, nella succursale di Cadice. S’imbarcò dunque nel ’99 verso il Nuovo mondo, come piloto mayor della flotta d’Alonso de Ojeda. Separatosi più o meno all’altezza della Guiana con due navi dal resto della flotta e scelta la rotta di sud-est, Amerigo scoprì l’estuario del Rio delle Amazzoni e toccò Haiti: era di ritorno in Spagna nel 1500.

Passò più tardi, a sua volta, al servizio del re del Portogallo; e, con una flotta comandata dall’Orjo, giunse fino in Patagonia. Compì un terzo viaggio al servizio della corona portoghese prima di tornar nel 1508 sotto la bandiera spagnola, impegnandosi fra l’altro in una serrata attività cartografica. Divenuto piloto mayor della flotta spagnola, cioè sovrintendente tecnico e cartografico, il Vespucci – che sarebbe rimasto per sempre a Siviglia – divenne famoso per un suo scritto redatto in latino ma presto tradotto in volgare col titolo di Mondo Nuovo, che insieme con alcune sue lettere fu stampato e attirò l’attenzione dei dotti del suo tempo. Pur non avendo mai avuto mansioni di guida né di comando nelle spedizioni navali cui aveva partecipato, egli aveva saputo descriverle con grande vivacità: contribuendo tra l’altro a uscire una volta per tutte dall’equivoco che Cristoforo Colombo aveva mantenuto per tutta la vita. Fu difatti il Vespucci a dichiarare senza esitazioni che le terre scoperte dall’ammiraglio genovese non potevano appartenere in alcun modo al continente asiatico, ma erano un «Mondo nuovo», un nuovo continente del quale mai nessuno, né la Bibbia né Aristotele, avevano fino a loro parlato e di cui nessuno aveva mai sospettato l’esistenza. Fu per questo che il cosmologo tedesco Martin Waldseemüller propose che il nuovo continente ricevesse il nome non già del suo scopritore, bensì di colui che ne aveva compreso appieno la natura geografica. E così nacque l’America.

Un uomo davvero fortunatoAmerigo fu un uomo fortunato. La sua fortuna sta tutta in due circostanze: prima, la straordinaria fama di Firenze nel mondo ai primi del Cinquecento; seconda, l’attività di un gruppo di studiosi che per volontà di Renato II duca di Lorena si riunivano in un dotto cenacolo, a Saint-Dié-des-Vosges, per approfondire le conoscenze relative alla geografia e alla stagione delle scoperte che si era aperta ormai da qualche decennio e che aveva portato alle grandi navigazioni in Atlantico e nell’Oceano Indiano.

A Saint-Dié, dove funzionava una prestigiosa stamperia, si conosceva la lettera-trattato che il Vespucci aveva inviato a Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici, quella che nella traduzione latina di Mundus Novus aveva fatto il giro dell’Europa. Mentre si stava preparando una nuova edizione della Geografia di Tolomeo, si entrò in possesso di una mappa delle scoperte recenti insieme con la lettera a stampa, edita nel 1505, nella quale il Vespucci descriveva al gonfaloniere Pier Soderini i suoi quattro viaggi.

Al cartografo Martin Waldseemüller fu affidato il compito di disegnare una nuova mappa, nella quale si tenesse conto delle scoperte recenti: una vera e propria rivoluzione rispetto alle cognizioni tolemaiche. Nella Geographiae Introductio, nella quale si dava conto del lavoro fatto e delle novità in esso introdotte, Waldseemüller non esitò a proporre che il continente scoperto da Colombo, ma dell’identità del quale lo scopritore non aveva avuto consapevolezza, portasse il nome di chi in effetti lo aveva riconosciuto come tale, avendo il coraggio di correggere la lettera della Bibbia e tutte le auctoritates. Amerigo non sapeva nulla di tutto ciò, non aveva fatto niente affinché ciò avvenisse e ne venne a conoscenza solo tardi. Ma il nome piacque e nessuno pensò mai a cambiarlo.