Cultura & Società

Apollonia, la donna forte di Alessandria

di Carlo LapucciIl Vescovo San Dionigi di Alessandria d’Egitto scrisse a Fabio di Antiochia una lettera, riportata da Eusebio nella Storia ecclesiastica (VI, 41), nella quale riferisce alcuni fatti da lui vissuti durante una sommossa popolare anticristiana avvenuta durante gli ultimi anni dell’impero di Filippo l’Arabo (244-249). Ci fu una grande rivolta pagana che portò a una strage di cristiani, i quali furono soppressi in gran numero barbaramente, senza riguardo per la vecchiaia, la giovinezza, la condizione. Nelle dispute continue tra pagani e cristiani si esacerbavano gli animi, in una città come Alessandria dalle grandi e radicate tradizioni pagane, dall’antica e vasta cultura classica, ma in una irreparabile decadenza. Ciò nonostante era poco propensa ad abbracciare la nuova fede, gettando al vento i grandi tesori del suo patrimonio di speculazioni e di conoscenze. Le autorità venivano tirate ora da questa, ora dall’altra parte e non riuscivano a tenere sotto controllo la vita pubblica. In tale delicata situazione avevano buon gioco gli squinternati, i partigiani fanatici, i faziosi sempre pronti a venire alle mani. Uno di questi «maligno indovino e cattivo poeta» sobillò la popolazione pagana provocando una rivolta, per cui si cominciarono a lapidare e flagellare i nemici.

Scrive Dionigi: «In folla si avventano contro le case dei cristiani: ognuno si dirige verso quelli che sono di sua conoscenza, amici e vicini, rubando e distruggendo. Facendo fardello delle vesti asportano tutti gli oggetti preziosi, fracassano o bruciano quello che non interessa. Sembrava una città invasa ed espugnata, messa a sacco dai nemici. Tra gli altri i pagani fecero prigioniera la bella vergine Apollonia, già avanti negli anni, e colpendole duramente le mascelle, le fecero saltare i denti. Portatala fuori della città, accesero un grande rogo e minacciarono di gettarvela dentro viva, se non rinnegasse e offendesse il suo Dio. Apollonia chiese che la sciogliessero e, una volta libera, balzò nel fuoco e vi si dissolse».

La leggendaPer Apollonia non si tratta tanto di leggenda quanto di una serie di notizie, accreditate dalla testimonianza autorevole di un vescovo santo, presente ai fatti. Il quale continua a tracciare la figura di Apollonia, ammirevole per la condotta sempre esemplare, già avanti negli anni, diaconessa di grande prestigio. Il martirio si ritiene avvenuto nel 249. Si congettura che Apollonia potesse avere tra i quaranta e i cinquanta anni e quindi dovesse essere nata nei primi anni del III secolo.Fu il suo zelo, il suo esempio e l’attività che svolgeva nella città a farne il bersaglio della ferocia pagana, cominciando la sua pena con lo sfigurarle il viso in maniera così crudele. Il suo gesto forte, improvviso e inatteso colse tutti di sorpresa e non lascia spazio a compianti e commiserazioni.La leggenda nacque in seguito, sulla base di questi eventi, riferiti vivacemente, ma senza alcuna retorica, dal santo vescovo Dionigi. Le storie fantastiche che si sovrappongono a quella documentata vivono però solo sporadicamente e non sono raccolte, neppure in misura minima, ad esempio, dalla Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Una di queste vorrebbe Apollonia sorella di San Lorenzo, martire romano suo contemporaneo; molto la fantasia ha lavorato sul supplizio dell’asportazione denti, che sarebbe avvenuta con strumenti rozzi, ovvero di straordinaria grandezza, con sadiche procedure, per aumentare il dolore, quando invece si trattò, secondo Dionigi, di violentissime, ma semplici percosse.La sua forza, la sua energia e la grande dignità che supera l’offesa e l’avvilimento della persona fisica nella parte più gelosa e delicata del volto, agirono invece sulla fantasia popolare nella formulazione di un altro ramo della ricostruzione della vicenda. Qui possiamo assistere al processo di trasformazione di una figura storica in una immagine leggendaria, ed è una metamorfosi assai interessante. Per esaltare proprio questo aspetto di nobile dignità e di forza morale la leggenda conferisce a questa figura il ruolo di una grande principessa orientale, figlia di un re avverso al cristianesimo. Inoltre l’agiografia ama presentare una figura santa come appartenente ad un livello sociale alto, non tanto per tributo d’onore ai potenti, quanto per esaltare una scelta più meritoria, quella di rinunciare a una posizione di benessere e di privilegio.Anche il suo conflitto per la fede viene nobilitato, dando alla donna un avversario potentissimo e regale, per di più con l’autorità di padre. Viene quindi ringiovanita e presentata come una fanciulla ancora giovanissima, che riceve segretamente il dono della fede. Ne nasce, secondo il classico schema agiografico, lo scontro col padre, sovrano che la schiaccerebbe con la sua onnipotenza, se con l’aiuto di Dio non le tenesse testa colei che, nella storia reale, attaccata dalla folla in tumulto, fu capace di opporsi a una folla inferocita, rifiutando di adorare gli dei pagani. La sua grande sofferenza viene tradotta leggendariamente in rappresentazioni di carnefici che straziano il volto della Santa con pinze e tenaglie al fine di strapparle i denti uno per uno. Il messaggio che la leggenda presenta in termini di rappresentazione, più che di concetto è la meditazione di un esempio di virtù vissute eroicamente da parte di una donna di grande valore, che vive nella giustizia, soffre e vince con nobile dignità le minacce, le sofferenze, la paura della morte e, con un gesto deciso ed eroico dona se stessa a Dio, senza timore.Il problema del suicidioSubito dopo il gesto di Apollonia nacque il problema della sua valutazione, dato che formalmente si configura come una suicidio e tale atto non è consentito dalla religione cristiana. La perplessità si unì all’ammirazione lasciando questa figura solitaria di donna ancora più sola di fronte a un atto che sfugge anche alla capacità della mente collocare in un ordine di valori.Il problema è uno dei più gravi e allunga le sue propaggini fino ai nostri giorni, rinascendo sotto forme diverse. Un predicatore del passato, rimasto in proverbio, se le cavava dicendo, con felice sintesi, che fu il tremendo mal di denti a indurre la poveretta al gesto fatale. La materia comunque richiese subito una riflessione e una possibile soluzione.Di ciò si incaricò Sant’Agostino chiarendo i termini del problema (De civitate Dei I, 26), con intelligenza, equilibrio e soprattutto profonda conoscenza e rispetto dell’umanità, unita al senso dell’imperscrutabilità dell’ordine divino. Il problema non era nuovo, a cominciare dall’esempio di Sansone nell’Antico Testamento, fino ai casi frequenti di cristiani che si erano spontaneamente offerti alla morte piuttosto che rinnegare la fede o contaminare la purezza.Scrive Agostino: «Ma, dicono, anche alcune sante donne del tempo della persecuzione, per evitare gli insidiatori della loro pudicizia, si gettarono in un fiume per essere travolte nelle acque e morire. E, quantunque siano morte in quel modo, molti fedeli della chiesa cattolica visitano le loro tombe per venerarle. […] Che dire se esse operarono in tal modo non per inganno umano, ma per ispirazione divina, cioè per obbedienza e non per errore? Quando Dio comanda e manifesta senza la minima ambiguità che l’ordine viene da lui, chi chiamerà delitto obbedire? […] Chi dunque sa che non è lecito il suicidio si uccida pure se glielo comanda colui i cui comandi non si possono disprezzare; rifletta però attentamente che il comando divino non abbia nulla di incerto. Noi giudichiamo la coscienza dall’esterno, ma non pretendiamo di giudicare gli occulti segreti del cuore. Nessuno conosce le cose dell’uomo se non lo spirito che è nell’uomo» (Corinti II, 11).Agostino prosegue che nessuno può darsi la morte per sfuggire le afflizioni temporali senza incorrere in quelle eterne, però su questo caso sospende con grande sapienza il giudizio e di fronte alla decisione di considerare santo chi così si comporta, si rimette al magistero della Chiesa: «Ignoro se la divina volontà abbia persuaso la Chiesa con comunicazioni degne di fede, a onorare in tal modo la loro memoria».Questa sospensione del giudizio ha agito forse su coloro che hanno relegato la festa di Apollonia (9 febbraio) ai culti locali, dal momento che la sua storicità, sia pure velata un po’ dal tempo non pare discutibile.Il simbolo e l’esempioQueste sante antiche, come Apollonia, Agnese, Agata sono state viste nella devozione popolare come esempi sublimi, vissute in tempi terribili di persecuzioni, rappresentano più modelli inimitabili, che esempi veri e propri, ma proprio perché grandi, sono stati ritenuti capaci di imprimere anche nei deboli la forza, la determinazione, e soprattutto offrire l’aiuto del quale la debolezza del devoto sentiva il bisogno.Non siamo più nel caso della fanciulla pervasa dalla Grazia, che consuma in un rapido martirio la testimonianza della sua fede, come spesso accade per queste Sante dei primi secoli, ma di fronte a una donna che ha vissuto una parte consistente la propria vita, con l’impegno quotidiano, le scelte consapevoli imposte dalla sua condizione, la forza della continuità e della costanza che viene posta di fronte a un’alternativa atroce, dalla quale esce con un atto repentino e di grande forza.Il culto di Apollonia, in passato assai diffuso e sentito, richiama perentoriamente l’attenzione anche sulla condizione della donna, essendo la forza d’animo a questa richiesta in periodi storici nei quali la sua libertà era ridotta, i condizionamenti fortissimi, la considerazione nella società assai scarsa. Dall’Oriente vengono numerosi esempi di donne sacrificate, dopo essere assurte alla pienezza della propria personalità, della cultura, del prestigio. Evidentemente in particolare ad Alessandria si giocò per la donna una partita decisiva nella possibilità di raggiungere la sua debita collocazione sociale. Circa mezzo secolo dopo, ad Alessandria, un’altra donna, la dotta, ricca, libera, cristiana Caterina venne martirizzata da Massimino Daia. Nella stessa città, circa un secolo dopo, si consumò l’eccidio di un’altra donna di grande valore, che fu la filosofa Ipazia. Questa volta i rapporti erano inversi: lei pagana, dotta, seguace del neoplatonismo, circondata da allievi desiderosi di conoscere il suo pensiero; dall’altra parte i cristiani, che da poco hanno raggiunto la libertà di culto, ma ancora mal sopportati, ovvero avversati da quanti sono rimasti legati al paganesimo. L’autorità di Ipazia è tale che può influenzare le autorità e i cristiani l’accusano d’essere lei l’ispiratrice delle persecuzioni contro il vescovo Cirillo. Durante una sommossa di cristiani viene fatta prigioniera, trascinata in un tempio e soppressa barbaramente, si ritiene nell’anno 415.La santa nell’arteApollonia viene rappresentata in due atteggiamenti: come donna avvenente, talvolta fanciulla, secondo la versione leggendaria, altre attempata, secondo la versione storica, che regge una tenaglia, più o meno grande con un dente tra le branche. Talvolta la tenaglia è vuota e il dente viene mostrato diversamente. Questo particolare è tolto dalla leggenda. La palma del martirio può esserci o meno. L’altra situazione è quella del martirio, sotto la tortura dei carnefici, vicino a un grande rogo.La sua presenza è frequente nei polittici, dove appare con altre sante, per lo più martiri del suo tempo, ma anche con Santa Chiara e con altre. L’immagine più antica che abbiamo è quella di Simone Martini, risalente al 1319, che fa parte del polittico di Santa Caterina e si trova al Museo civico di Pisa. Tale immagine è il prototipo delle rappresentazioni coerenti con la tradizione storica: una donna attempata, austera e veneranda, che regge lo strumento della sua tortura. Nella chiesa di S. Francesco a Pistoia la troviamo non dissimile in un affresco trecentesco e seguono la tradizione i vari pittori successivi: Neri di Bicci, Luini, Spagna, Granacci, Zurbabran.Tra gli innumerevoli capolavori a lei dedicati è da ricordare la bella figura del Perugino nella tela della Madonna e Santi della Pinacoteca di Bologna e il dipinto di Carlo Dolci (sec. XVII) nella Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, dove è ritratta giovanissima, in posizione ispirata, con in una mano le tenaglie come se reggesse un ventaglio, atteggiamento che le è valso la presenza in infiniti santini.Le incisioni, le acqueforti della devozione popolare preferiscono le tinte cupe e prevale la scena del martirio con tenaglioni smisurati, a volte vere collezioni di simili arnesi sparsi sul pavimento, cosa che doveva mandare in sollucchero i devoti tormentati dal mal di denti, che baciavano il foglietto nelle notti insonni.Gli attributi• Le tenaglie con le quali le furono strappati i denti.• La tenaglia che regge un dente.• La palma del martirio.Patrocini• È la patrona di Ariccia e di Asso.• Protegge i dentisti, gli odontotecnici, i chirurghi della bocca.• È invocata contro il mal di denti e delle mascelle.Le grandi sante: le precedenti puntateBibiana, la Santa della fede semplice9. Barbara, la santa oppressa dall’amore materno8. Cecilia, la santa della bellezza spirituale7. Perpetua e Felicita, le martiri madri6. Agnese, santa della forza e della mitezza5. Cristina di Bolsena, la martire fanciulla 4. Mustiola, la santa che camminò sulle acque3. S. Caterina d’Alessandria tra culto e mito2. Agata, la Santa del mistero della vita