Cultura & Società

Carnevale, Prato riscopre il suo Arlecchino

di Sara BessiÈ in nome di Evaristo Gherardi, uno dei più celebri Arlecchini di tutti i tempi alla Corte francese del Re Sole, che Prato ospiterà nell’estate prossima un laboratorio sulla Commedia dell’arte. «Dalla Commedia dell’arte alla maschera contemporanea» è il titolo del master triennale per attori professionisti che il Metastasio, Teatro Stabile della Toscana, realizzerà sotto la direzione di Marcello Bartoli, uno dei principali artisti di talento ed esperienza nel genere della maschera. Un’impresa già avviata qualche anno fa dallo stesso Bartoli – sempre al Met – che questa volta intraprenderà insieme alla storica compagnia teatrale «I Fratellini». «Il progetto vuole approfondire, divulgare e rappresentare tre momenti essenziali del nostro teatro: la Commedia dell’arte, i suoi antenati e i suoi eredi», dice il direttore artistico del Metastasio, Massimo Luconi. «Il nostro Stabile si pone come laboratorio dinamico capace di aprirsi a orizzonti culturali anche lontani, ma allo stesso tempo in grado di lavorare sulla creatività contemporanea». Che proprio un master sulla Commedia dell’arte sia proposto a Prato, la città del tessile, dei «cenci» e anche del premio Oscar Roberto Benigni, non è un caso. Dopo le grandi stagioni del teatro contemporaneo segnato dai passaggi di Giorgio Strehler, di Luca Ronconi, il Metastasio torna a rendere omaggio a un personaggio che è passato alla storia come il «numero uno» dei maggiori esponenti della Commedia dell’arte. Quell’Evaristo Gherardi, pratese per nascita, che la storia ci tramanda come uno degli Arlecchini più amati da re Luigi XVI, il Re Sole.

Arlecchino-Gherardi, fatto conoscere a Prato alla metà del secolo scorso da Roberto Giovannini, uno dei sindaci più appassionati della storia cittadina, diventa un pretesto perché finalmente l’Italia possa pensare a ospitare il laboratorio di una tradizione artistica che è alla base del nostro teatro. «Questo Arlecchino atipico, perché era un insegnante di filosofia – spiega l’attore Bartoli – offre l’aggancio giusto perché Prato possa ospitare l’iniziativa, che parte come un progetto triennale diretto ad attori professionisti. Un’offerta unica nel suo genere, in grado di riscuotere enorme successo. Soprattutto se diventerà un intervento a carattere europeo. Nelle mie numerose tourneè per il Vecchio Continente ho avuto moltissime richieste da parte di giovani attori desiderosi di conoscere le maschere della Commedia dell’arte. È un patrimonio italiano: Prato potrebbe fare da catalizzatore e diventare un centro europeo, e perché no anche mondiale, di studio e conoscenza di questo genere teatrale».

Il direttore artistico, Luconi, ha già attivato le procedure per finanziamenti europei, che potrebbero dare al Master triennale la dignità internazionale e di scuola vera e propria. «Una delle finalità del Teatro pubblico è quello della formazione – spiega – e Il Met sta puntando molto su questo aspetto. Un teatro-laboratorio sulla Commedia dell’arte è una palestra eccezionale per un attore. Molto probabilmente faremo anche un laboratorio sulla maschera aperto a tutti».

L’organizzazione del master è in fase di affinamento e potrà ospitare al massimo 20 attori professionisti selezionati. «Si parte dallo studio della maschera per andare a ritroso nel tempo fino ad arrivare a un’esplorazione degli antenati: questa sarà la seconda fase del master con incursioni nel teatro latino, nei carnasciali medioevali, nel teatro goliardico dell’umanesimo». Bartoli ha in mente di sviluppare anche un’ulteriore fase, che ama definire «degli eredi», cioè come «il teatro sia stato influenzato dalla Commedia dell’arte fino alla creazione di maschere moderne del teatro contemporaneo, rifacendosi anche a Chaplin, Keaton, Stanlio e Ollio, Totò». Studi ed esercizi che alla fine del secondo e terzo anno si concretizzeranno in produzioni spettacolari. A fianco di Bartoli lavoreranno anche un musicista, un costruttore di maschere, un coreografo e un insegnante di acrobazia. «La pratica del palcoscenico e la teoria – conclude Bartoli – non saranno mai disgiunte. Stiamo mettendo a punto, insieme a Siro Ferrone, un metodo di studio particolare».

Tre grandi attori dal vestito a pezzeLa tradizione di Arlecchino nel Novecento è rappresentata da attori che sono diventati icone della Commedia dell’Arte: Marcello Moretti, Ferruccio Soleri, che nel 1961 ne ha raccolto l’eredità, e Marcello Bartoli. Proprio quest’ultimo ha aperto la stagione teatrale 2002-2003 del Metastasio con l’«Arlecchino servitore di due padroni» di Carlo Goldoni. Il suo è un Arlecchino «sui generis», diverso dal capolavoro messo in scena dalla regia di Giorgio Strehler e l’incomparabile interpretazione di Soleri.

«È uno spettacolo a cui sono particolarmente legato – confessa Bartoli – è come un figlio che nasce dopo tanto tempo a genitori un po’ anziani. Dopo averci girato intorno per tanti anni, dopo averlo desiderato e temuto, è arrivato». Una scelta segnata dall’allestimento del maestro del «Piccolo Teatro»: «Quando me lo hanno proposto ho subito rifiutato, perché “c’è quello di Strehler che ha fatto storia” mi sono detto. Ma poi ci ho ripensato e ho capito che poteva essere lo spettacolo che concretizzava il lavoro che da tempo stavo facendo sulla Commedia dell’arte, che avrebbe proseguito quella ricerca iniziata a Prato con il laboratorio sulle maschere e su Gherardi nel ’97».

L’amore per Commedia dell’arte è nel patrimonio genetico di Bartoli. Agli esordi della sua carriera ha avuto l’opportunità di lavorare con Soleri per il Piccolo Teatro di Milano: «Con Ferruccio, che faceva l’Arlecchino, interpretavo tutte le altre maschere. Abbiamo allestito uno spettacolo – era il 1968 – con il quale si girava l’Europa. In questo modo ho potuto approfondire la conoscenza della Commedia dell’arte». Entrambi toscani, Soleri e Bartoli, sono legati da questa passione comune: «Allora mi fu addirittura proposto di fare il sostituto di Soleri per Arlecchino. Era una grossa occasione per un attore all’esordio, ma preferii rinunciare perché volevo fare altre esperienze teatrali e non legarmi per tutta la vita all’Arlecchino. Adesso ci sono arrivato, mettendo in luce aspetti diversi di questa maschera. Recentemente, dopo lo spettacolo al Carcano di Milano, mi sono incontrato in Rai con Soleri e abbiamo fatto una lunga chiacchierata sugli Arlecchini».

Se poi si va indietro nella storia c’è un doppio filo che lega Bartoli-Arlecchino a Gherardi-Arlecchino: entrambi pratesi, entrambi appassionati interpreti della Commedia dell’arte. Il secondo ha fatto la storia con la sua vita di interprete al di là delle Alpi, il primo vuole riportare la forza recitativa di una maschera, edulcorata nella codificazione Settecentesca. «Il mio spettacolo che sta girando l’Italia e presto arriverà anche in Giappone presenta un Arlecchino più Seicentesco, lontano dalle codifiche del Settecento. La maschera che indosso ha un aspetto piuttosto inquietante, quasi diabolica». Lo si capisce anche dal costume indossato da Bartoli nello spettacolo: un Arlecchino che a colpo d’occhio pare un Pulcinella con camicia e larghi pantaloni candidi, un cappellino bianco e una maschera a coprire fronte, naso e bocca. Bartoli ha spazzato via la tradizionale iconografia del furbo servitore, che lo ritrae in abito fatto di stracci colorati. Bandita una visione archeologica e superficiale della Commedia dell’arte, limitata alla comicità più immediata, Bartoli ha tratteggiato un Arlecchino diverso da quello Settecentesco. Sarà un Arlecchino che mostrerà i volti sconosciuti «oscuri, violenti, ambigui, neri e inquietanti che sono propri della maschera». Quello di Bartoli sarà un Arlecchino «meno stilizzato, più terrigno, più greve, più violento, più affamato sia di cibo che di sesso, più anarchico che bastonato».

E il Carnevale di Viareggio compie 130 anniDI MARIO PELLEGRINIÈ il «1873 – febbraio 23. L’ultima domenica di Carnevale. Una brigata di giovani frequentatori del caffè del Regio Casinò organizza, ad imitazione di quanto viene fatto a Lucca, un corso di carrozze agghindate con fiori e festoni con a bordo gente mascherata che, fra canti e lazzi, lancia confetti, e anche monetine, alla folla assiepata lungo la Via Regia, nel tratto che va dalla piazzetta dell’Olmo a piazza della Dogana (oggi piazza Pacini)». Così Francesco Bergamini nel suo «Le mille e una… notizia di vita viareggina – 1169/1940». Con il 2003, pertanto, il Carnevale di Viareggio compie 130 anni, anche se altrettanto non può dirsi per i suoi corsi mascherati, che per motivi di forza maggiore – come in occasione delle due grandi guerre mondiali – hanno saltato diverse edizioni.

Ma quello di quest’anno – oltre a festeggiare un compleanno importante – si svolgerà all’insegna di una nota piuttosto triste, in quanto dedicato alla memoria di uno dei maestri della cartapesta, Sergio Baroni, recentemente scomparso. Le sfilate del Carnevale – lungo i viali a mare nell’ormai tradizionale circuito che avrà ancora e sempre come centro focale l’ampio palcoscenico di piazza Mazzini – si svolgeranno il 16 e il 23 febbraio, il 2, il 4 e il 9 marzo. Ci sarà comunque una novità perché nel cartellone del Carnevale di Viareggio tornerà la sfilata del giovedì grasso (nell’occasione il 27 febbraio).

Dieci i carri di prima categoria, cinque quelli di seconda e dieci le mascherate in gruppo. Ecco i primi, che poi saranno quelli abbinati ai biglietti estratti della Lotteria Nazionale abbinata al Carnevale di Viareggio: Stop! È Carnevale che Massimo Breschi ha costruito per satireggiare sul caos del traffico cittadino; Nel regno del Carnevale, dove Alessandro Avanzini ironizza sulle disattese risoluzioni dll’Onu con un Re Carnevale che tira per le orecchie Arafat e Sharon; Il Signore degli Anelli per Emilio Cinquini è il Cavaliere per antonomasia, che può far tutto come nella fiaba. Gionata Francesconi, dopo tanti carri d’apertura fuori concorso, è tornato in competizione con un Fantastampa, d’indubbio interesse non solo per la valorizzazione del bianco e nero come colore dominante. Una sarcastica satira politica è quella proposta dal «principe» dei carristi Arnaldo Galli nel suo Avanti come i gamberi.

Fabrizio Galli, nipote del più celebre Arnaldo, in Galateo carnevalesco se la prende con tutti coloro che potendo esercitare un qualsiasi potere vogliono far cambiare idea agli altri. È inutile strusciare… se solo i tuoi desideri vuoi realizzare: questo il carro di Franco Malfatti, dove Aladino con la sua lampada assurge a simbolo di desiderio per chi ha tanti sogni nel cassetto. Simone Politi e Federica Lucchesi, vincitori dell’edizione 2002, si ripropongono con un’allegoria piuttosto complicata non solo nel titolo del carro: Hieronymus 2003 il volto del potere. Per Roberto Vannucci La mente intelligente è soltanto la scimmia che si scervella per conoscere l’antenato dell’uomo. Ultimo della serie Le sinistre ossessioni del Cavaliere, un’allegoria di Renato Verlanti e Luigi Bonetti (su idea e progetto di Giovanni Lazzarini) dove la satira politica si fa veramente feroce.