Cultura & Società

Corso Ucsi a Quercianella, riscoperti con la pandemia i media tradizionali

Un appuntamento ormai tradizionale, confermato nonostante le difficoltà dovute all’emergenza coronavirus e che proprio a questa era doverosamente dedicato. Il tema «La comunicazione nel tempo del Covid-19» è stato infatti sviscerato, si può dire, da tutti i punti di vista, potendo contare anche sulle testimonianze di chi, per motivi geografici o professionali, si è trovato davvero in prima linea. La stessa Agnese Pini non ha mancato di difendere la categoria sottolineando tra l’altro come la pubblicazione anticipata dei provvedimenti del primo lockdown non sia stata certo una «colpa» dei media tradizionali che, anzi, hanno riacquistato autorevolezza rispetto alla «concorrenza sleale» da parte dei social media.

Da parte sua l’inviato di «Avvenire» Paolo Viana non ha mancato di sottolineare il criterio della verifica delle notizie cui il quotidiano cattolico ha sempre cercato di attenersi, mentre Sabrina Penteriani dell’«Eco di Bergamo», ancor più in prima linea con i suoi colleghi, ha raccontato della distanza tra quanto vedevano e quello che veniva loro narrato. E se le telefonate dirette successivamente fatte ai sindaci per farsi dare i numeri reali dei deceduti sono «costate» al giornale in termini di rapporti con Regione Lombardia e Protezione civile, se non altro i bergamaschi non si sono assolutamente sentiti abbandonati dai loro giornalisti.

In ogni caso, il grande lavoro sul campo che i tradizionali mezzi di informazione sono stati chiamati a fare ha fatto sperimentare loro una sorta di nuova giovinezza su cui si è soffermato il docente di Etica della comunicazione Adriano Fabris, critico verso il protagonismo di esperti trasformatisi in uomini di spettacolo ma anche con i rischi del lavoro a distanza e delle comunicazioni istituzionali su social e dirette tv, ampiamente usate dallo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Una prassi che finisce per generare «pro» o «contro» piuttosto che mediazioni, cui si contrappone il compito di approfondimento proprio dell’informazione. Lo stesso uso di termini come distanziamento sociale, per Fabris, nasconde una contraddizione pericolosa in un tempo in cui la speranza non può che venire dalla ricostruzione del tessuto sociale sulla base della fiducia e della «carne» delle relazioni interpersonali.

Di comunicazioni istituzionale hanno parlato inoltre Lucia Zambelli, impegnata fino a giugno nell’Agenzia d’informazione della Regione Toscana sul fronte della sanità, e David Allegranti, giornalista del «Foglio» che si è soffermato in particolare sulla scelta comunicativa del Governo durante la pandemia (con Conte che, ha detto, «è riuscito a far passare il messaggio che Governo e Stato sono la stessa cosa, mentre non è affatto così»), mentre il sociologo della comunicazione Marco Bracci ha tratteggiato un excursus delle tipologie di «messaggi» succedutesi dalla manifestazione del virus a oggi.

Il tema del rispetto della privacy sul fronte salute da parte dei giornalisti è stato invece toccato da Luigi Cobisi mentre il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini ha esaminato i neologismi e gli anglismi della pandemia. Ma alla fine c’è stato ancora tempo per un’altra «esperienza dal fronte», il «diario della quarantena di un medico di famiglia» di Prato, il dottor Federico Nannicini, presentato dalla presidente dell’Ucsi Toscana Sara Bessi, che ha raccontato di come la paura dei pazienti li abbia indotti a chiamarlo a qualsiasi ora anche della notte e del suo successivo ricorso alla propria pagina Facebook come canale comunicativo ottimale per rassicurare, dare le informazioni corrette e anche sdrammatizzare con ironia. Senza dimenticare una nota polemica nei confronti di «chi comanda»: «Siamo stati considerati di serie C, nemmeno di serie B. E ora da lunedì dovremo affrontare il probabile delirio delle mamme per la riapertura delle scuole…».