Cultura & Società

Crusca: così la «madre» delle accademie, a differenza delle «figlie», vive di stenti

di Nicoletta Maraschiopresidente Accademia della Crusca

In occasione del Collegio straordinario del 23 giugno, gli accademici della Crusca e i soci corrispondenti italiani e stranieri hanno deciso di manifestare le proprie fondate preoccupazioni sul futuro dell’istituzione di cui fanno parte, di rendere pubblicamente nota la situazione di assoluta precarietà economico-finanziaria in cui essa si trova e di chiedere al Governo interventi adeguati. È un fatto straordinario: in questi anni tutti i presidenti che si sono succeduti alla guida dell’Accademia hanno ripetutamente espresso molte preoccupazioni, ma ora tutti gli accademici insieme hanno voluto fare sentire la loro voce.

Non ne ho memoria: eppure ho cominciato a frequentare l’Accademia della Crusca fin dagli anni Settanta. E proprio dal mio maestro Giovanni Nencioni, quasi quotidianamente, sono stata informata dei gravi problemi che affliggevano l’istituzione da lui a lungo presieduta. Crisi ricorrenti, battaglie continue per permettere alla più antica accademia linguistica del mondo di continuare a svolgere il proprio compito istituzionale di studio, tutela e valorizzazione della lingua italiana. Grazie al suo impegno e prima ancora a quello dei suoi predecessori, due grandi linguisti come Bruno Migliorini e Giacomo Devoto, l’Accademia della Crusca (attiva fin dal 1583) è diventata un moderno istituto di ricerca, formazione e divulgazione, la cui autorevolezza oggi è riconosciuta da tutti nel mondo. E l’ultimo presidente Francesco Sabatini (ora presidente onorario) ha saputo valorizzare proprio l’antica vocazione internazionale dell’Accademia, attraverso iniziative come la Settimana della lingua italiana nel mondo o la Piazza delle lingue d’Europa.

Eppure alla fine degli anni Ottanta, per non chiudere l’Accademia, Giovanni Nencioni dovette ricorrere all’aiuto di un giornalista famoso come Indro Montanelli.Fu fatta una sottoscrizione pubblica e arrivarono da tutta Italia molti contributi, assai diversi per entità, che permisero alla Crusca di continuare a vivere per alcuni anni. Successivamente arrivarono altri finanziamenti straordinari (da ultimo quello di 500.000 euro dell’allora ministro ai Beni e alle attività culturali Francesco Rutelli), ma è chiaro che l’Accademia necessita di interventi strutturali che le diano quella stabilità necessaria non solo per vivere ma per fare programmi di un certo respiro.

Possiamo chiederci come mai nel nostro Paese ci sia un’anomalia tanto evidente: l’Accademia della Crusca, che con l’invenzione di un grande Vocabolario storico nazionale (1612-1923), è stata la «madre» di tutte le grandi accademie europee (l’Académie française, la Real Academia spagnola, la Compagnia fruttifera di Weimar, i cui obiettivi sono ora propri dell’Institut für Deutsche Sprache di Mannheim) soffre da tempo una condizione di assoluta precarietà economico-finanziaria che è completamente sconosciuta a tutte le altre.

La risposta va cercata nella nostra storia linguistica complessiva, nel ritardo dell’unificazione politica e in una sorta di «trascuratezza» nei confronti della lingua nazionale che è purtroppo oggi molto diffusa nel nostro Paese.

Molti non sanno che la lingua è il più prezioso bene culturale immateriale che abbiamo, nel quale è sedimentata tutta la nostra storia.

L’Accademia della Crusca fin dalla sua nascita è impegnata non solo a «regolare» la lingua, ma a far sì che se abbia una maggiore consapevolezza.

Una prima, importante, risposta all’appello degli accademici della Crusca è già arrivata. Desidero ringraziare pubblicamente Enrico Rossi, nuovo Presidente della Regione Toscana, per avere dichiarato di volere sostenere stabilmente l’istituzione che ora presiedo.

Il suo è un gesto che segna un significativo e concreto cambiamento «politico» nei confronti dell’Accademia della Crusca e va quindi ben al di là del contributo in denaro che la Regione Toscana vorrà darci.

Mi auguro che non resti isolato.