Cultura & Società

Da Brunelleschi ad Avatar, così le invenzioni diventano brevetti

Quante invenzioni brevettate si possono impiegare per realizzare un film? È possibile arrivare addirittura a 47, tanti quanti i brevetti che «Weta Digital» ha fatto registrare nel 2022 e sono serviti alla realizzazione del secondo capitolo di «Avatar: la via dell’acqua» di James Cameron. La gran parte di queste «invenzioni», com’è facile immaginare, si applicano alla computer grafica e agli effetti speciali del film campione d’incassi di inizio 2023.

Ma per cercare l’antenato del «brevetto» come lo intendiamo oggi si deve tornare indietro di molti anni, fino ad arrivare alla Firenze rinascimentale. Nel giugno del 1421, le autorità fiorentine concedono un «privilegio» a Filippo Brunelleschi, architetto di grande fama, «per sfruttare i diritti d’uso di un nuovo tipo d’imbarcazione» da lui inventato. Il «badalone», questo il nome della barca, serviva a trasportare sull’Arno i blocchi di marmo bianco da Carrara a Firenze per la costruzione della Cupola. A raccontarcelo è Massimiliano Savi, responsabile della sede di Firenze di «Notarbartolo & Gervasi», uno studio specializzato nella consulenza e presentazione di brevetti.

Le invenzioni sono un tema che da sempre rapisce la fantasia di bambini e adulti. Ma per arrivare alla concessione di un brevetto sono tanti i passaggi da seguire. E ci sono dei professionisti che si occupano di valutare l’invenzione e poi di presentare la domanda.

Quando pensiamo all’inventore ci viene in mente Archimede Pitagorico, dei fumetti Disney. «Ma sono sempre meno i privati che si rivolgono a noi per proteggere quella che pensano siano un’invenzione magari per offrirla a aziende che operano già nel settore», sottolinea Savi. «Oggi – continua – sono per la maggior parte start up, università, grandi gruppi industriali, multinazionali a muoversi per la concessione di un brevetto». Ma quali sono i settori dove c’è maggiore richiesta? «Le due grandi branche sono da una parte chimica e farmaceutica e dall’altra meccanica, elettronica e software – spiega Savi -. Noi lavoriamo molto per aziende chimiche che, fortunatamente, hanno ancora la sede in Italia anche se purtroppo lavorano per grandi gruppi esteri. Poi ci sono tanti clienti che, soprattutto negli ultimi anni, con il grande sviluppo tecnologico vogliono brevettare software o app. Non tutto quello che ci viene chiesto è brevettabile: questo è il primo passo da valutare da parte nostra, poi nel caso procediamo».

Per valutare se un’invenzione è brevettabile deve prima di tutto appartenere a una categoria che abbia questa possibilità. «Ci sono cose che non sono brevettabili nel nostro ordinamento, per esempio le procedure chirurgiche. Negli Statti Uniti invece si può brevettare», sottolinea. In Europa questo non si può fare per ragioni etiche: «L’intervento di un chirurgo nel salvare una vita non può avere infatti nessun impedimento». Poi c’è un secondo passaggio: l’invenzione deve essere nuova e inventiva rispetto a ciò che c’è già. «In definitiva circa due terzi delle domande arrivano a concessione – continua Savi -. Ma c’è da aggiungere che soprattutto riguardo alla brevettazione internazionale le pratiche sono spesso molto lunghe e costose. Per questo c’è anche chi si arrende prima di arrivare al giudizio finale se non si hanno grossi sponsor alle spalle».

Ma in fondo, quello che tutti ci chiediamo è: quanti sono quelli che poi diventano ricchi con un’invenzione? Pochi, molto pochi. «È difficile dare dei numeri certi – risponde il responsabile della sede di Firenze di Notarbartolo e Gervasi -. Però ho letto una statistica che diceva che solo l’1% si rivela poi davvero una “bomba”».

Nonostante che l’antenato del brevetto sia nato a Firenze con il «badalone» di Brunelleschi e che nel 1474 sia stata promulgata la prima legge «erga omnes» del senato veneziano per tutelare le invenzioni oggi l’Italia non è così all’avanguardia. Secondo Savi, «da noi si brevetta molto poco rispetto a Germania, Regno Unito e Francia anche se siamo in rimonta. Nel 2021 all’Uibm sono state depositate 4919 domande di brevetto con un trend di aumento di +9% circa. Ma in Germania si depositano circa 6 volte i brevetti che si depositano in Italia». E se guardiamo a ciò che accade dentro ai nostri confini nazionali la Toscana è sesta dopo Lombardia, Piemonte, Lazio, Emilia Romagna e Veneto.

«Il diritto di monopolio che acquisisco per un’invenzione dura al massimo 20 anni e ogni anno dovrò pagare una tassa» spiega Simone Fabbriciani consulente in materia di brevetti e marchi presso l’ufficio di Firenze di «Bugnion». Sembra una contraddizione, ma la costruzione stessa dell’invenzione non può rimanere nascosta al mondo. «Il brevetto – aggiunge – deve infatti essere scritto in modo sufficientemente chiaro in modo da poterlo replicare: la comunità scientifica così acquisisce nuove tecnologie che per 20 anni non potrà usare ma, nel frattempo, potrà studiare e un giorno sviluppare in maniera migliore. Con questo meccanismo la tecnologia negli ultimi anni ha fatto passi da gigante». Non solo. Ci sono aziende che sempre più hanno all’interno una branca di ricerca e sviluppo che si occupa di cercare nuove produzioni. «Queste hanno tutto l’interesse di depositare brevetti che prima di tutto impediscono ad altri di replicarli nel territorio dove sono stati concessi, poi costituiscono una fonte di finanziamento per il sostegno che ricevono da parte degli stati e, infine, i brevetti possono costituisce patrimonio economico che aumenta il valore patrimoniale dell’azienda», spiega Fabbriciani. Ma non si fermano qui i vantaggi. «Il prodotto che viene pubblicizzato come brevettato è suggestivo per il pubblico e attrae di più».

Quando si parla di brevetti vengono subito in mente le cause milionarie di qualche anno fa di Polaroid contro Kodak per le macchine fotografiche oppure quelle dei nostri giorni tra Apple e Samsung per i componenti degli smartphone. Ma anche i vaccini sono terreno di scontro. Pfizer e BioNTech sono state citate in giudizio dall’altro gigante del settore, Moderna, con l’accusa di aver copiato la tecnologia mRna dell’azienda del Massachusetts per produrre il proprio vaccino anti Covid-19. Ma perché qualcuno si approprierebbe di un’invenzione altrui sapendo che è protetta? Secondo il consulente di «Bugnion», «le cause nella maggior parte dei casi non vertono sulla contraffazione in dolo, ovvero non si replica qualcosa infischiandosene della legge. Spesso chi è chiamato in causa non ritiene valido, in tutto o in parte, il brevetto della concorrenza. Quindi poi si va a discutere sulla validità della concessione originaria e successivamente sulla eventuale contraffazione».

I brevetti si possono chiedere in l’Italia – se si vuole una sola copertura nazionale – oppure si può andare all’Epo che è l’ufficio europeo con sede a Monaco. Questa struttura – che compie 50 anni proprio nel 2023 – materialmente rilascia i brevetti su scoperte e invenzioni, che hanno poi effetto legale in tutti gli Stati membri o in una parte di essi, in base a ciò che l’inventore richiede (e paga). Dal prossimo giugno ci sarà però una novità: il Brevetto Unitario che con un’unica procedura di rilascio è valido per la maggior parte del territorio europeo. «Questa sarà una grande innovazione anche se per almeno 7 anni ci sarà un periodo di affiancamento e quindi non sarà subito percepito così. Ma è una novità importante perché in questo settore non c’è mai stata unitarietà nei paesi membri in materia di diritto e ci sarà anche un tribunale unico che deciderà sulle cause di contraffazione». L’unica questione è che non tutti i paesi dell’Unione hanno aderito al progetto e non tutti quelli che hanno aderito hanno già ratificato. «Per esempio la Spagna ne ha fatto un punto di orgoglio nazionale e non ha aderito perché tra le lingue ufficiali del brevetto unitario (inglese, francese e tedesco) non c’è lo spagnolo. Sarà un processo lento», conclude Fabbriciani.