Cultura & Società

Dentro la Bibbia. Ravasi: «Dio è una voce di silenzio sottile»

di Benito ChiarabolliLa Bibbia è la celebrazione per eccellenza della Parola, della Parola in tutta la sua energia, in tutta la sua potenza. Dio si rivela nella Parola, una Parola efficace, luminosa, che rompe e lacera il nulla, la tenebra del non essere». Ecco quello che la Bibbia dovrebbe rappresentare per ciascun cristiano a parere del noto biblista Gianfranco Ravasi, che aggiunge: «La Bibbia conserva ancora oggi tutta la sua attualità perché è un libro per sua natura dotato di una fragranza, di una freschezza, di uno splendore straordinari».

Ma la parola è un elemento così fragile…

«Ecco il grande paradosso: Dio, infinito ed eterno, si adatta e penetra in questa realtà che è così fragile, sospesa, inconsistente. Ma ecco pure la grande intuizione: dov’è Dio? Nella folgore? Nel terremoto? Nel vento impetuoso? Dio è “nel mormorio di un vento leggero” o, traducendo più esattamente, “Dio è una voce di silenzio sottile”. Non un silenzio che è triste assenza di suoni, ma un silenzio in cui tutte le parole si compendiano».

Eppure questa stessa parola, povera e debole, è stata il grande codice della nostra cultura.

«È stata l’alfabeto colorato della speranza nella quale i pittori hanno intinto il loro pennello per secoli. La Parola è diventata sorgente di cultura o, come diceva Paul Claudel, il nostro “comune vocabolario”. Nella Bibbia infatti ritroviamo lo splendore della fede, dell’arte e della cultura occidentale. Purtroppo, a partire dal secolo scorso, o poco prima, si sono consumati un divorzio e una divaricazione, che però (è necessario riconoscerlo) non hanno favorito nell’arte possibilità espressive più alte».

Sarà possibile assistere ad un riavvicinamento, ad un dialogo con le componenti della società?

«Se penso a quanto avviene nel mondo dell’arte, per esempio al grande interesse che oggi suscita l’architettura sacra nei grandi artisti contemporanei, credo di poter affermare che questo riavvicinamento non solo è possibile, ma sta già avvenendo se pur lentamente. Tutto ciò presuppone dei passi sia da parte della comunità ecclesiale, sia da parte degli artisti. C’è, comunque, da sperare che, pur con declinazioni e modalità nuove, si possa ancora intessere un dialogo».

Che cosa pensare di altre «bibbie», di altri codici di comportamento oggi accettati e che dettano una mentalità laica e regole di vita alternative al messaggio cristiano?

«Sicuramente i nostri giorni sono, sotto questo aspetto, proprio sfortunati, perché abbiamo oggi un codice di riferimento alternativo non solo al codice biblico, ma anche a tutto quello che esso ha prodotto in grandezza e splendore. Pensiamo solo a come sono talvolta sfregiate le nostre città dalla bruttura e dalle bruttezze; come lo stile stesso del pensiero e del comportamento, anche ai più alti livelli, è affermato e codificato secondo modalità ed espressioni che sono il più delle volte di basso profilo».

Ciò significa negazione dei valori cristiani?

«Non direi che ai nostri giorni ci sia una negazione dei valori cristiani che si presenta come una sfida, in maniera aggressiva, come avvenne all’epoca della Rivoluzione francese e dell’Illuminismo, o in forme completamente alternative, come l’ipotesi materialista. Ai nostri giorni assistiamo invece a fenomeni sotto molti aspetti peggiori: forme di indifferenza, di superficialità, di banalità, persino di volgarità. Il codice contemporaneo, rappresentato soprattutto dal codice egemone, che è il mezzo televisivo, ci dice tutto su come dobbiamo mangiare, bere, vestire, sulle mode da seguire, ma non sa dirci nulla sul senso profondo della vita, sul bello, sul bene, sui grandi valori. Ma ancora una volta credo di poter affermare che esistono tentativi di riavvicinamento dovuti forse al fatto che la stessa cultura contemporanea si accorge di non poter vivere soltanto di pelle, di superficie, ma sente il bisogno di ritornare in profondità».

In generale mi sembra che anche oggi, pur nel grande interesse che la Bibbia riscuote, si debba registrare qualche dissonanza. Mi riferisco al volume di Mario Liverani su Bibbia e storia antica d’Israele.

«Il fatto che si conducano sulla Bibbia ricerche di tipo scientifico, come ha fatto Liverani, non ci deve meravigliare più di tanto. Con tutto ciò, dobbiamo sempre affermare che la Bibbia è, sì, un testo che si interessa di storia, ma ha specificamente una finalità di annuncio. Quindi, se da una parte il Libro sacro non è da considerarsi un vero libro di storia, né un verbale di riunione, dall’altra, dobbiamo ritenere che la Bibbia si radica davvero nella storia, perché senza di essa non avrebbe senso, essendo una rivelazione storica: Dio non parla dai cieli mitici e mistici, ma parla, passando all’interno del tempo e dello spazio, agli uomini di ieri e di oggi. Sotto questa luce, dunque, non possiamo negare la possibilità e la legittimità di una ricerca scientifica, purché si operi una netta distinzione tra verità storica e verità teologica».

Queste ricerche e le ipotesi che ne conseguono non rischiano di provocare un generale disorientamento?

«Una volta riconosciuta la legittimità di questi percorsi, direi che i fedeli devono indubbiamente conoscere anche la componente scientifica e storica, purché ricordino che la finalità della Bibbia, come diceva San Agostino, non è quella di insegnarci come vadano il cielo, le stelle o le meccaniche celesti (pensiamo alla Genesi), ma come si vada in cielo. Questa è, dunque, la vera finalità, ma non dimentichiamo che nella Bibbia c’è un appello costante alla storicità, alla concretezza. Questo equilibrio negli studi biblici è un elemento essenziale».

Secondo Liverani, i Libri storici della Bibbia sono il prodotto di un’elaborazione più tardiva. Qual è la sua opinione in proposito?

«È vero che Liverani ritiene che i Libri storici siano sostanzialmente frutto di una elaborazione post-esilica, ma se si legge attentamente il testo (e questo lo affermo anche in una recensione che ne ho fatto), l’autore non manca di segnalare che già prima esistevano delle radici, esistevano dei temi che successivamente sono stati ripresi ed elaborati. Quasi in ogni capitolo Liverani afferma la possibile presenza di un elemento germinale arcaico. Perciò non si può dire che Liverani non riconosca l’esistenza di elementi reali collegati alle vicende storiche, che, quindi, non sono il semplice prodotto di una riflessione teologica posteriore. Questo egli lo riconosce spessissimo. Se poi Liverani sostiene che, dal punto della redazione del testo, l’elaborazione post-esilica è stata decisiva, avendo costruito ed ordinato tutto l’insieme dei Libri storici, non fa che richiamare un elemento fondante generalmente riconosciuto nel processo di formazione delle tradizioni orali e scritte. L’importante è che nel condurre questa ricerca, si tengano sempre sul crinale, coniugate tra di loro, da un lato la storia e dall’altro la teologia. La Bibbia, proprio per sua natura, si fonda sulla storia. Il Nuovo Testamento, per esempio, parte da una testimonianza storica verificabile, sulla quale però si radica fortemente il “kerigma”, che poi dà sostanza a quella componente. Dobbiamo, quindi, evitare di cadere in quella forma di apologetica dove tutta la fede si ridurrebbe a dimostrare la verità di determinati eventi storici e dove Gesù si troverebbe a ricoprire il ruolo di un grande personaggio storico e niente più; ma dobbiamo anche evitare di calarci su un versante dove ci troveremmo di fronte soltanto tesi teologiche, elementi mitici e una figura di Gesù che sarebbe solo epifania del trascendente».

Si può, secondo lei, pensare che Liverani sia uscito fuori dalle righe?

«Senza dubbio Liverani ha marcato eccessivamente la portata della rielaborazione post-esilica: ritiene, cioè, sostanzialmente che i nuclei storici della Bibbia siano fioriti solo perché c’è stata tutta una rivisitazione posteriore. Su questo argomento però è necessario aprire un dibattito molto accurato, da non condursi solo semplicemente cancellando. Secondo me, tuttavia, quell’opera è indubbiamente discutibile. Credo che sia da rivedere soprattutto per lo sbilanciamento eccessivo sull’epoca post-esilica come epoca creativa quasi dell’intera teologia, anche se sono convinto che quello è un periodo importante per la determinazione qualitativa del testo biblico».

Dal punto di vista della ricerca, l’opera di Liverani può considerarsi un punto di partenza?

«Sì, può essere un buon punto di partenza per una ricerca sientifica, perché esistono nel testo biblico molti elementi arcaici, su cui si può discutere a livello storico. Però solo a livello storico. Non si può affrontare con questo metodo la qualità specifica del testo biblico che è molto più complessa».

Se si trovasse faccia a faccia con Liverani, che cosa gli suggerirebbe?

«Sul suo libro io ho già curato una lunga recensione. Non avrei altro da dirgli se non quanto ho già scritto in proposito».

Quindi lo stima.

«È un biblista che merita certamente attenzione, anche se un dibattito più approfondito potrebbe mettere meglio in evidenza luci e ombre della sua opera».

Il libro di LiveraniGerico non è crollata al suono delle trombe di Giosuè, la conquista della Terra Promessa non è mai avvenuta così come narrato, Salomone non aveva un grande regno. Secondo Mario Liverani, docente di Storia del Vicino Oriente antico alla Sapienza di Roma, sono molti gli eventi narrati nella Bibbia che non corrispondono al vero. E nel suo ultimo libro affronta queste ed altre tematiche sintetizzando il punto dei lavori in corso da decenni tra gli archeologi israeliani e non.Mario Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Editori Laterza, pagine 514, euro 24