Cultura & Società

Dio oggi, filosofi e teologi a convegno

Sono oltre 1500 i partecipanti all’Evento Internazionale “Dio Oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto” che si è aperto giovedì 10 dicembre a Roma presso l’Auditorium Conciliazione (fino al 12 dicembre). Riportiamo una sintesi dei tanti interventi. E’ possibile seguire il Convegno sul sito www.progettoculturale.it/questionedio/. Testi integrali dei principali interventi anche sul sito dell’Agenzia Sir. Al convegno ha inviato un messaggio anche Benedetto XVI CARD. BAGNASCO, “L’UOMO È FATTO PER LA VERITÀ”“Il cammino di queste intense giornate è mosso dalla esigenza tipicamente umana e profondamente cristiana della ricerca della Verità”: lo ha detto questa sera a Roma, nel saluto introduttivo ai lavori del convegno internazionale “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”, il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco. “All’esterno della sensibilità cattolica, – ha proseguito – questa impresa sembra a molti vana e illusoria. Noi manteniamo salda, al contrario, la convinzione che l’uomo è fatto per la Verità, che il suo procedere ‘a tastoni’ non contraddice, anzi rafforza, l’esigenza di una ricerca aperta, a tutto campo, sul significato profondo del vivere e dell’operare”. Secondo Bagnasco, “è questo, del resto, uno dei contrassegni che più marcatamente distinguono l’uomo dall’animale e dalla macchina. Soprattutto nel mondo occidentale, la questione di Dio è lasciata fuori dai percorsi abituali della cultura”. Il presidente della Cei ha poi continuato: “Emarginata e psicologicamente rimossa, essa si presenta però – insopprimibile com’è nel profondo del cuore umano – sotto mentite spoglie. Ecco allora l’interesse crescente per il paranormale, per l’occulto, per forme sfumate di religiosità esoterica. Modalità tutte dove la dignità della ragione umana è mortificata e sconfitta”.

Riflettendo sulla attuale tendenza a forme di religiosità anche paranormali o dell’occulto, il card. Bagnasco ha poi aggiunto: “Le modalità sono in parte nuove, ma, a ben guardare, é tentazione di sempre: come Israele nel deserto, di fronte alle difficoltà e alla precaria incertezza, si ricorre a proposte apparentemente rassicuranti, si danza attorno a un vitello d’oro (cfr. Esodo 32). Anche l’uomo d’ oggi, l’uomo tecnologico, nonostante l’annuncio weberiano dell’era del disincanto, continua a cadere vittima dell’ idolatria: non soltanto nelle forme – mascherate, ma ben note – del denaro e del potere; anche – ha poi sottolineato – in nuove forme di religiosità, insieme esotica e modernistica, nel cui crogiolo trovano risonanza e momentaneo appagamento le aspirazioni di superficie del nostro tempo”. Secondo Bagnasco, quindi, “la rilevanza insuperabile della questione di Dio viene positivamente riconosciuta quando l’uomo, superata la presunzione della ragione prometeica e l’abdicazione del pensiero debole si fa di nuovo – con umile fierezza – cercatore di verità”. Ha poi sottolineato che “anche il cristiano che, illuminato dallo Spirito, testimonia la verità che ha ricevuto, se ne fa, nondimeno, ricercatore appassionato. Sa che essa è dono, non conquista; e che, tuttavia, solo cercandola si può riconoscerla”.

CARD. RUINI, “DIFFERENZA GRANDE E RADICALE TRA CREDENTI E NON CREDENTI”“La questione di Dio coinvolge inevitabilmente il soggetto che la pone, dato che essa ha a che fare con il senso e la direzione della nostra vita. Perciò anche la risposta all’interrogativo ‘fa differenza che Dio esista o non esista?’ cambia profondamente a seconda che si tratti dei credenti o dei non credenti, sia atei sia agnostici”: è uno dei passaggi iniziali della relazione del card. Camillo Ruini, con la quale si è aperta oggi pomeriggio la prima sessione dell’evento internazionale “Dio oggi – Con Lui o senza di Lui cambia tutto” (Roma, fino al 12 dicembre). Ruini, che presiede il Comitato per il progetto culturale della Cei, promotore dell’evento, ha presentato una relazione su “Le vie di Dio nella ragione contemporanea”. “I credenti autentici – ha proseguito Ruini – rispondono che la differenza non solo esiste ma è grande e radicale (..) per loro infatti Dio è l’origine, il senso e il fine dell’uomo e dell’universo. I non credenti invece possono differenziarsi nelle loro risposte, a seconda che ritengano la fede in Dio negativa, positiva o irrilevante per la vita dell’uomo e della società, ma propriamente parlando si riferiscono soltanto alla nostra fede in Dio, non alla realtà stessa di Dio, dato che secondo loro Dio non esiste, o comunque non possiamo sapere niente di lui, nemmeno se egli esista”.

“Non esiste, a questo riguardo (dell’essere credenti o meno, ndr), nemmeno uno spazio di neutralità che possa consistere nel rifugiarsi in una posizione agnostica” – ha proseguito Ruini nella relazione di apertura: “l’agnosticismo è infatti teoreticamente argomentabile ma assai meno concretamente vivibile. Nella pratica siamo costretti a scegliere tra due alternative, già individuate da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della nostra esistenza. Se agiamo secondo la prima alternativa – ha notato il cardinale – adottiamo di fatto una posizione atea e non soltanto agnostica; se ci decidiamo invece per la seconda alternativa adottiamo una posizione credente: la questione di Dio è dunque ineludibile”. Quindi ha aggiunto: “L’impossibilità di un approccio neutrale e puramente ‘scientifico’, se da una parte può essere avvertita come un limite, dall’altra ha un risvolto fortemente positivo, che consiste proprio nel totale coinvolgimento di noi stessi, della nostra esperienza di vita, della libertà e degli affetti, come dell’intelligenza e delle sue capacità critiche. Vale specialmente a questo riguardo la parola di S. Agostino: ‘si conosce veramente solo ciò che si ama veramente’. Riguardo a Dio non è dunque il caso di chiudersi in alcuna ristrettezza razionalistica”.

Tra gli argomenti che differenziano il credente dal non credente, Ruini ha posto anche “il fenomeno religioso ebraico e cristiano”. Ha infatti affermato: “Già la nascita del monoteismo ebraico appare un segno forte della presenza di Dio, sebbene la fase di transizione che attraversano attualmente gli studi dell’Antico Testamento renda questo segno non facile, oggi, da inquadrare ed apprezzare criticamente. Più chiaro è il segno costituito dalla vita e in particolare dalla risurrezione di Gesù Cristo”. “Questi eventi – ha aggiunto il cardinale – pongono quasi inesorabilmente alla ragione umana la questione di Dio e del suo intervento nella storia. Se infatti Cristo è soltanto un uomo, e soprattutto non è risorto, siamo costretti, alla fine, a ridurre a mito la sua vicenda storica o a ricorrere ad altre ipotesi storicamente assai improbabili. Anche nella successiva storia del cristianesimo non mancano i dati che rimandano, almeno in qualche modo, all’interrogativo su Dio: così non soltanto i miracoli e gli altri segni di un intervento speciale di Dio, ma anche le esperienze di Dio che hanno avuto i grandi mistici e in genere molti santi”.

Le parti più dense della relazione del card. Ruini hanno riguardato “le difficoltà moderne nel cammino razionale verso Dio”. Il relatore ha infatti preso in considerazione i più importanti pensatori che si sono occupati del “tema Dio”, da S. Agostino a Kant, dai “maestri del sospetto” (Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud), fino a filosofi e pensatori più recenti, quali Heidegger, Spaemann, e lo stesso Ratzinger. Dopo aver notato la “strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne” nella cultura contemporanea, Ruini ha concluso affermando che “da una parte è ben difficile fondare un vero e irriducibile emergere dell’uomo rispetto al resto della natura se la natura stessa è il tutto della realtà, e dall’altra è ugualmente difficile lasciare razionalmente aperta la via al Dio personale, intelligente e libero – in modo vero anche se per noi ineffabile – se non si riconosce al soggetto umano questa sua irriducibile specificità. Rendere testimonianza al vero Dio e al tempo stesso alla verità dell’uomo – questo il pensiero conclusivo di Ruini – è però il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere”.

SPAEMANN, “LA FACOLTÀ CHE CI CONSENTE” DI RICERCARLO “È LA RAGIONE” “La facoltà che ci consente di ricercare Dio è la ragione” e la Sua “traccia nel mondo siamo noi stessi” ossia l’uomo, mentre “somiglianza con Dio significa capacità di verità”. Questi, in estrema sintesi, i punti cardine della riflessione (testo integrale su Agensir.it) con la quale il filosofo tedesco Robert Spaemann è intervenuto nel pomeriggio di giovedì 10 dicembre alla prima sessione del convegno. “La creazione non è un evento nel quale noi c’imbatteremo un giorno studiando la storia del cosmo” avverte Spaemann: “creazione” definisce “la relazione che sussiste fra l’intero processo cosmico e la sua origine extracosmica, cioè la volontà divina”. “Che le cose stiano in questo modo lo dice un’antica diceria, la diceria intorno a Dio – aggiunge (riferendosi implicitamente al titolo del suo ultimo volume, “La diceria immortale”, ndr) – contro la quale”, a differenza dello scientismo, fino ad oggi “le scienze non hanno formulato un solo serio argomento”. Per il filosofo la scienza moderna “è ricerca di condizioni, non si domanda che cosa è qualcosa e perché è, ma quali sono le condizioni del suo sorgere”; per questo “l’incondizionato, dunque Dio, per definitionem non può comparire all’interno di una ricerca di condizioni intramondana”.

“O Dio c’è – afferma Spaemann – oppure l’autocomprensione dell’uomo in quanto essere di ragione, vale a dire in quanto persona, è una illusione”. “La visione scientifica del mondo considera il mondo e dunque anche se stessa come priva di un fondamento. La fede in Dio è la fede in un fondamento del mondo”. Perciò “colui che crede in Dio” crede “in una fondamentale razionalità della realtà”, crede “che il bene sia più fondamentale del male” e che “la potenza assoluta e il bene assoluto abbiano lo stesso riferimento:la santità di Dio”. “È importante – avverte il filosofo – sottolineare questo oggi”, dove “addirittura i sacerdoti” parlano “soltanto di Dio buono”. Il discorso “su Dio che è amore, smarrisce il suo punto sconvolgente, se passa sotto silenzio” che “Egli è la Potenza che guida la nostra esistenza e il mondo. Soltanto tale Potenza, infatti, può salvarci dalla morte”. Sono proprio ragione e coscienza (quest’ultima intesa come “la voce della ragione pratica”) a farci conoscere “l’unità di questi due assoluti, onnipotenza e amore”. “La facoltà che ci consente di ricercare Dio – afferma ancora Spaemann – è la ragione”, ossia “la capacità con la quale l’uomo oltrepassa se stesso” e “può porsi in relazione con una realtà che lo trascende”. “Credere che Dio esista, significa che Egli non è una nostra idea, ma che noi siamo una sua idea. Significa dunque ‘rovesciamento’ della prospettiva”.

“La traccia di Dio nel mondo” spiega ancora Spaemann a chi cercasse segni della Sua presenza, “è l’uomo, siamo noi stessi”. Tuttavia “quando noi, vittime dello scientismo, non crediamo più in noi stessi, chi e che cosa siamo, quando ci lasciamo persuadere di essere soltanto macchine per la diffusione dei nostri geni” e “consideriamo la nostra ragione soltanto come prodotto di un adattamento evolutivo, che non ha nulla a che fare con la verità”, allora “non possiamo attendere che qualcosa ci possa convincere dell’esistenza di Dio”. Anche se “Dio esiste del tutto indipendentemente dal fatto che noi lo riconosciamo”. Sul concetto di “somiglianza con Dio”, il filosofo chiarisce: “essa significa capacità di verità. La personalità dell’uomo sta e coincide con la sua capacità di verità”. Verità che “presuppone Dio”. “Il fatto che l’uomo sia completamente natura, un essere naturale uscito fuori dalla vita subumana, può non essere letale per l’autocomprensione dell’uomo – conclude Spaemann -, solo a condizione che la natura, per parte sua, sia stata creata da Dio e la creazione dell’uomo corrisponda ad una intenzione divina”.

BIGNARDI, “AUMENTANO COLORO CHE CERCANO LA FEDE IN LIBRERIA” “Le chiese sono forse meno piene di un tempo, ma aumenta il numero di coloro che cercano Dio in libreria”: lo ha detto questa sera a Roma, al convegno “Dio oggi”, Paola Bignardi, dell’Editrice La Scuola, introducendo la tavola rotonda su “Dio in libreria”. ” Il dato positivo di questi ultimi anni – ha aggiunto – è l’aumento del numero di lettori dei testi religiosi che negli ultimi sette anni sono cresciuti del 13,8% mentre quelli dell’editoria in senso lato sono saliti del 4,7%”. Secondo Enzo Pagani, vice-presidente dell’Uelci (editori e librai cattolici), “l’incremento dei lettori di testi religiosi avviene tra i 20 e i 50 anni, fatto molto significativo perchè sono persone che agiscono nelle fasi della responsabilità”. “In molti casi si tratta di laici impegnati nella pastorale accanto al clero e ai religiosi”. CANOBBIO (TEOLOGO), L’ANIMA RISCHIA DI “SCOMPARIRE” ANCHE DALLA TEOLOGIA Non solo sul versante scientifico “l’anima viene ridotta alla mente”: anche sul versante teologico “si tende a far scomparire un concetto che nel corso dei secoli è sempre stato vivo. nella teologia cristiana”. A lanciare la provocazione è stato Giacomo Canobbio, già presidente dell’Associazione teologica italiana e docente di teologia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, durante la sessione dedicata a “Dio e l’anima”. “Nella coscienza comune – ha proseguito il relatore – il concetto di anima è stato ritenuto una specie di traccia obsoleta del platonismo, che sarebbe entrato masicciamente nel cristianesimo e avrebbe dimenticato la concezione biblica della natura umana”. Secondo Canobbio, “anche nell’ambito teologico, soprattutto quando ha carattere divulgativo, si stabiliscono progressi o regressi senza verificare il senso di affermazioni che la teologia nei secoli passati aveva proposto”. “Se negli uomini non c’è una traccia di una provenienza, quindi di una destinazione diversa da quella degli altri esseri viventi – è la tesi del relatore – bisognerebbe allora spiegare perchè gli uomini provano quel desiderio di trascendimento, che si esprime in ultima analisi nel desiderio di superare la morte, E questa è un’esperienza che nessuna riduzione di carattere scientifico riesce a spiegare”. ISRAEL (MATEMATICO), NO AL “PRIMATO” DELLE NEUROSCIENZE E DELLE NEUROFILOSOFIE “Passare dalla descrizione dei processi mentali al pensiero, ai moti dell’anima, è qualcosa di totalmente indebito, è metafisica senza alcun fondamento scientifico”. Ne è convinto Giorgio Israel, professore ordinario di matematiche complementari all’Università “La Sapienza” di Roma, che intervenendo alla sessione dedicata a “Dio e l’anima” si è soffermato sula “sfida” posta oggi dalle neuroscienze e dalle neurofilosofie. Secondo il relatore, “non abbiamo l’esigenza di entrare in sintonia nè con le neuroscienze, nè con le neurofilosofie, che tendono a sottrarre completamente il campo di ciò che un tempo si chiamava anima a considerazioni esterne a quelle della scienza, a ridurre la mente al concetto materiale del cervello”. “Un conto sono le neuroscienze, un conto sono le neurofilosofie”, ha precisato Israel: “Se è di grandissimo interesse che oggi sappiamo moltissime cose su come funziona il cercello, tutto ciò – come diceva Paul Ricoeur – è sapere ciò che accade mentre penso, non altro. Ma dire che il cervello pensa è un ossimoro, e quella delle neurofilosofie, che sono il progetto di dimostrare che ogni forma di razionalità è riconducibile a processi neuronali, è una metafisica che non ha nulla a che fare con le conquiste delle neuroscienze”. “Non dobbiamo scendere su questi terreni”, ha ammonito il relatore, per il quale “dobbiamo astenerci nel trovare nelle scienźe le ragioni dell’esistenza di Dio o dell’anima”, attingendo invece alla “ricchezza della tradizione biblica, dell’arte, della musica”, di fronte alle quali le neuroscienze o le neurofilosofie sono “balbettamenti inconsistenti”. SIMONELLI (TV2000), “EDITORIA CATTOLICA OFFRA PRODOTTI STIMOLANTI” “La maggioranza dei lettori oggi è affasciata dalla retorica del personaggio, è attirata dal profluvio di posizioni sui temi eticamente sensibili, è propensa alla lettura ‘trasversale'”: lo ha detto giovedì sera, nella tavola rotonda su “Dio in libreria”, l’esperto di Tv 2000 Saverio Simonelli. A suo avviso “proprio questa varietà di approcci chiede agli editori cattolici di offrire prodotti aperti e stimolanti, che possano confrontarsi con gli autori che sembrano andare per la maggiore: vale a dire quelli del deragliamento spiritualista, quelli teologicamente eccentrici o quelli del religiosamente corretto”. Secondo Pietro Gibellini, docente di letteratura italiana a Venezia, “aver varato l’iniziativa letteraria su ‘La Bibbia nella letteratura italiana’ ha trovato oggi una accoglienza che solo fino a 10-15 anni fa sarebbe stata impensabile”. “Ciò – a suo avviso – ci fa dire che il terreno per la riscoperta della Bibbia è forse oggi più fertile e ricettivo che rispetto a un recente passato”. PARAZZOLI, RONDONI, SCHNEIDER, LA PRESENZA DI DIO NELLA LETTERATURA Il tema della presenza di Dio nella letteratura e nella poesia è stato affrontato in un dialogo a tre fra Ferruccio Parazzoli, Davide Rondoni e Robert Schneider, moderato da Alessandro Zaccuri. Più di 200 scrittori affrontano dal 1800 a oggi la figura di Cristo ma la letteratura contemporanea non prende in considerazione in maniera esplicita la figura di Dio. “Dio non è un argomento ma è la possibilità stessa che esista la letteratura”, ha spiegato Davide Rondoni. “Se adesso Dio apparisse – ha aggiunto – guarderemo solo lui e non avremo più gli occhi per vedere il volto di una persona. Per fortuna se ne sta un po’ nascosto, così che possiamo vedere tutto bene e cercare in tutto. Così il mondo è segno di lui e diventa tutto interessante”. La vita è oblio, sottolinea la pagina di Leopardi che Rondoni ha commentato, ma l’oblio non è la parola finale. “Non basta l’inquietudine – ha sottolineato Parazzoli – per dire Dio. Si parla di qualcosa che non si sa e Dio è quello che non sappiamo”. Per Schneider, che ha letto un brano del suo romanzo “Christus”, “Dio si manifesta in me nel momento in cui non lo penso”. LA TAVOLA ROTONDA SULLA VITA UMANA “L’idea boncinelliana che l’uomo possa essere dotato di pezzi di ricambio e possa tendenzialmente diventare immortale rimuovendo perfino la dimensione del dolore e della sofferenza” è decisamente respinta da Giuliano Ferrara che giovedì sera ha partecipato alla tavola rotonda sulla vita e sulla vita umana. Nel pensiero della Chiesa, ha aggiunto il direttore del quotidiano “Il Foglio”, “c’è un richiamo al tema della vita come progetto, come speranza. Il cristianesimo ricorda anche oggi che siamo figli di Dio, siamo cioè persone amate sempre e ancor più quando siamo nella sofferenza e nella malattia”. No, di conseguenza, all’eutanasia, ha continuato Ferrara, verso la quale “il magistero è talmente chiaro da sollecitare un’opposizione alle motivazioni portate a suo sostegno”. Dal canto suo Aldo Schiavone, intervenendo sul tema della scienza e della tecnologia ha affermato : che “alla vecchia potenza meccanica è subentrata la potenza informatica e biologica e quando queste due aspetti convergeranno saremo proiettati in un mondo nuovo. Tuttavia questa nuova potenza che nascerà avrà bisogno di limiti, di senso e anche di una ragione che la porterà a invocare la presenza di Dio, a richiamare il mistero della sua presenza nella storia”.

“Ritengo – ha affermato Enrico Berti – che la vita umana sia talmente importante che la sua difesa non può essere fatta dipendere da un’adesione a una fede religiosa che non è da tutti condivisa: condivisa da tutti è la ragione”. Ed ha aggiunto: “Non condivido la contrapposizione fra bioetica laica e bioetica cattolica, nell’etica pubblica occorre trovare una base comune” perché così “si dispone di una base normativa”. Incontro sì, ha aggiunto Giuliano Ferrara, ma non si deve sottovalutare che “siamo diventati moralmente sordi alla tutela della vita umana”. “Ci sono fatti – ha commentato così il card. Carlo Caffarra dopo aver citato diverse situazioni di sofferenza – che aiutano a farci capire come nel cuore della persona umana abiti il bisogno inestinguibile di un senso che non può essere distrutto da niente e da nessuno, un bisogno così forte che non può essere neppure distrutto da una donna che maledice la sua maternità”. In secondo luogo, ha aggiunto, non si può dimenticare che “alberga nel cuore dell’uomo il bisogno di una beatitudine che sia eterna. Sia nell’ateo sia nel credente c’è il desiderio di vivere una vita buona e di vivere bene”. Riferendosi al tema del convegno, il cardinale ha così concluso: “Dobbiamo sempre evitare la confusione fra il nostro modo di conoscere e come sta la realtà. Dio non esiste perché l’uomo cerca un senso ma l’uomo cerca un senso perché Dio esiste”.

CARD. SCOLA, PER SUPERARE ECLISSI “RIPENSARE STORIA, ONTOLOGIA ED ESPERIENZA” Piuttosto che “deicidio”, la parola “più adeguata per descrivere il tormentato rapporto della modernità euroatlantica con Dio” è “eclissi”. Ne è convinto il patriarca di Venezia, card. Angelo Scola, intervenuto venerdì mattina (testo integrale su Agensir.it) alla seconda sessione del convegno internazionale “Dio oggi”. “La parola eclissi per indicare questa temporanea sparizione venne usata a partire dagli anni ’50 da Martin Buber” che in questo modo, ha spiegato il card. Scola, “contestava l’idea della definitiva morte di Dio annunciata da Nietzsche ed affermava la possibilità che Dio stesso potesse presentarsi, anche a breve, nuovamente accessibile”. E l’età odierna “ci riserva una grossa sorpresa: in essa non solo è presente l’istanza critica nei confronti della coscienza religiosa, ma anche la riaffermazione del religioso nella vita personale e sociale”. Per questo, ammonisce il patriarca di Venezia, “l’uscita teologica dal secolarismo chiede di ripensare in modo unitario storia, ontologia ed esperienza, affinché si dia di nuovo relazione con il Dio di Gesù Cristo”.

“Il frutto duraturo del processo di secolarizzazione – sottolinea il card. Scola – è la differenziazione tra sfera religiosa e sfera secolare, mentre le tesi della secolarizzazione come inevitabile declino religioso e come irreversibile privatizzazione della religione non sono più attuali”. Anzi “le religioni di tutto il mondo” stanno facendo “il loro ingresso nella sfera pubblica” e “partecipano alle lotte per la ridefinizione dei confini moderni tra sfera pubblica e privata”. Tuttavia, osserva il relatore, “è innegabile che questo ritorno del sacro” possiede “un carattere problematico e non privo di vistosi equivoci, che hanno dato luogo a molte valutazioni contrastanti”. “È sicuramente vero che” il tramonto degli “assoluti terrestri” potrebbe “riaprire lo spazio per altri assoluti di carattere trascendente”, ma “nulla assicura che questi spazi oggi divenuti liberi vengano di fatto occupati da una religiosità in qualche misura davvero teologica, e non piuttosto lasciati vuoti da un disincanto universale circa la possibilità in sé di un assoluto”. In tale orizzonte, due gli “estremismi opposti e connessi”: il rischio di “una estrema soggettivizzazione dell’esperienza religiosa” e il “carattere fondamentalista di talune correnti religiose, soprattutto quelle legate all’Islam, e alla sua presenza massiccia in Europa”.

Di qui l’interrogativo posto dal card. Scola: “L’annuncio cristiano va effettuato diminuendo il peso della sua oggettività, cioè della sua densità ontologica”, oppure “è proprio tale riduzione una delle ragioni (o comunque un grave segnale) dell’attuale perdita di rilevanza, anche soggettiva, della fede cristiana?”. Secondo il patriarca qui si pone la questione “se il problema della trasmissione del cristianesimo non stia, soprattutto oggi, nell’assumere il linguaggio evangelico nella sua ‘essenzialità’, piuttosto che nella ricerca, forse ossessiva, circa il modo di tradurlo nella complessità attuale”. Richiamando l’insegnamento di Benedetto XVI, il card. Scola chiarisce che “la domanda di Dio incontra adeguata ospitalità nell’orizzonte del Logos-Amore” in cui la ragione, la fede e la vera religione “trovano il loro nesso profondo e fecondo”. “La questione del binomio eclissi/ritorno di Dio” chiede allora come “comunicare questo Dio vivo all’uomo reale”. L’unica possibilità, secondo Scola, è la persona di Cristo: “in Gesù, morto e risorto, Dio ci viene incontro”. “Per dire Dio occorre, quindi, approfondire la grammatica di questa lingua della creatura assunta dal Verbo incarnato”. Una “perenne grammatica dell’umano” che “attesta anzitutto l’integralità e l’elementarità dell’esperienza umana”. Unità, misericordia e perdono devono “risuonare” all’interno di questo linguaggio.

“L’uomo – prosegue il card. Scola -, oggi come sempre, non può che percorrere, a sua volta, la strada del Testimone degno di fede”. Se Cristo è venuto per rendere testimonianza alla verità, all’uomo tocca dar testimonianza a Lui e di Lui”. Più di ogni altra forma di espressione, “la testimonianza brilla in tutta la sua integrità come metodo di conoscenza pratica e di comunicazione della verità”, ma solo “la testimonianza degna di fede com-muove la libertà dell’altro e lo invita efficacemente alla decisione”. Di qui l’invito del patriarca ad andare “alla scuola dei martiri”: “La narrazione che Dio fa di Sé e quella che permette a noi di fare su di Lui e a Suo nome” trova “nel martirio cristiano” la sua “piena manifestazione. Il martirio, grazia che Dio concede agli inermi e che nessuno può pretendere, è un gesto insuperabile di unità e di misericordia”. “Il martirio è la sconfitta di ogni eclissi di Dio, è il Suo ritorno in pienezza attraverso l’offerta della vita da parte dei Suoi figli. Una consegna di sé – conclude il card. Scola – che vince il male, perfino quello ingiustificabile perché ricostruisce l’unità, anche con colui che uccide”.

SCRUTON (FILOSOFO), AVANZA “IL CULTO DELLA BRUTTEZZA E DELLA DISSACRAZIONE” “In un’epoca di prosperità senza precedenti si sta affermando il culto della bruttezza e della dissacrazione” dove il termine “dissacrazione” è connesso “al sacrilegio e quindi alle idee della santità e del sacro”. Ad affermarlo è Roger Scruton, filosofo, docente presso l’Institute for the Psychological Sciences della Virginia, intervenuto al Convegno. “Invece d’inseguire la bellezza, e di coinvolgerci simpateticamente – ha denunciato lo scrittore – il mondo dell’arte ha iniziato a glorificare la bruttezza. Immagini di brutalità e distruzione, racconti di stili di vita viziosi e ripugnanti, musica di una sgradevolezza vessatoria o di una violenza folle e spietata: queste cose sono rapidamente divenute la moneta corrente delle scuole d’arte e delle mostre, dei media popolari e delle sale da concerto. Molti esempi illustrano un’abitudine alla dissacrazione in cui la vita non viene celebrata dall’arte quanto invece presa di mira da essa. Oggi gli artisti possono farsi una reputazione costruendo una cornice originale in cui mettere in mostra il volto umano gettandovi poi dello sterco”.

Per Scruton, infatti, “non vi è dubbio che in un mondo di abbondanza materiale, in cui la gente è vaccinata contro le difficoltà, la religione declina. Nella ricchezza sorge l’illusione di essere padroni del proprio fato e quindi di non avere più bisogno di un Dio che provvede per noi. S’inizia a perdere ogni senso della presenza divina, ogni senso del fatto che il mondo abbonda di momenti sacri, di luoghi sacri e di cose sacre. E così nasce in noi uno strano spirito di vendetta”. Voltando le spalle alla bellezza, le persone smettono di percepire “il mondo come casa, come luogo adatto alle nostre esistenze di esseri fatti così come noi siamo fatti” e di credere “nell’amore” perdendo di vista il fatto che “la ricerca della bellezza continua la ricerca dell’amore”. La dissacrazione “è una sorta di difesa dal sacro, un tentativo di distruggerne le pretese. Davanti alle cose sacre le nostre vite vengono giudicate; e per sfuggire a quel giudizio, noi distruggiamo la cosa che sembra accusarci. E siccome la bellezza ci ricorda del sacro – e anzi di una forma speciale di esso –, anche la bellezza deve venire dissacrata”. Diversi gli esempi di dissacrazione del mondo attuale, tra questi il filosofo ha citato la “pornografia sessuale e quella di violenza, in cui l’essere umano è ridotto a grumo di carne sofferente, reso miserabile, impotente e disgustoso”.

“Per costruire una risposta piena all’abitudine della dissacrazione – ha spiegato Scruton – vi è bisogno di ri-unire l’intrapresa dell’arte alle finalità della bellezza e della creatività”. “Nel creare bellezza – aveva detto all’inizio del suo intervento lo scrittore – l’artista rende gloria alla creazione di Dio. E la bellezza redime ciò che tocca, mostrando come i dolori e le traversie della vita umana siano, tutto sommato, non indegni”. “Nell’arte, la bellezza deve essere conquistata e l’impresa si presenta sempre più difficile in un tempo in cui il penetrante rumore della dissacrazione – amplificato ora da Internet – affoga le voci quiete che mormorano nel cuore delle cose. Una risposta è cercare la bellezza nelle sue forme altre e più quotidiane: la bellezza delle strade ordinate e dei visi gioiosi, delle forme naturali e dei paesaggi cordiali”. “Sporcare anche queste cose è possibile”, ha avvertito, ed “è il marchio di un artista di secondo piano. “Ma è anche possibile ritornare alle cose ordinarie per mostrare quanto ci sentiamo a casa nostra con esse, e quanto esse magnifichino e giustifichino la nostra vita. È questa la via positiva della bellezza. Non vi è ancora ragione per pensare di doverlo abbandonare. Perché, allora, così tanti artisti si rifiutano oggi di camminare lungo quel sentiero? Forse perché sanno che esso conduce a Dio”.

MONS. RAVASI, “DIO CONSERVA LA SUA TRASCENDENZA RENDENDOSI VISIBILE”La “rappresentabilità figurativa di Dio” è espressa nella Bibbia con un “paradosso”, in “due estremi antitetici di uno spettro cromatico ideale”, che “la logica dell’Incarnazione comprende e riassume in sé”. Così è intervenuto mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sul tema “Dio della cultura e della bellezza”. Da un lato, “l’immagine è vista soprattutto come rischio idolatrico, di cosificazione della divinità”. Dall’altro, le Scritture ci avviano su “una strada che ha prodotto il fiorire dell’arte religiosa”, per cui “Dio conserva la sua trascendenza rendendosi visibile all’uomo”. “L’incubo idolatrico” – ha detto mons. Ravasi – ha condizionato la “religiosità popolare d’Israele, con un divieto di produzione artistica, ma anche con un’inesorabile denuncia profetica”. “In principio è la Parola e la Parola era Dio”. Il nome di Dio è espresso con “un verbo: l’hyb della formula teofanica del roveto ardente: Io sono Colui che sono”. Ma “questo Dio-Persona non raffigurabile in un’immagine non rimane inesorabilmente aniconico”: ci sono “tre vie analogiche di rappresentabilità di Dio”, che “salvaguardano la trascendenza senza costringerci all’iconoclasmo”.Il primo percorso analogico di rappresentabilità di Dio, ha detto mons. Ravasi, è la “via figurativa”: “le creature sono assunte come modello estetico”. “Il creato è la pergamena su cui Dio ha scritto, tra cielo e terra”, nella quale “l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio è, l’icona privilegiata”, anche se “non perfetta e assoluta”. Infatti, “la figura umana è un’efficace e reale icona di Dio, ma non ne esaurisce la realtà piena”. “L’ineffabilità di Dio permane”, ed è “qui il gioco dell’arte, di rappresentare l’Infinito lasciandolo sfuggire”. Quindi, c’è una via “antropomorfica”, dell’uomo che “contempla il volto di Dio parlando con Lui “faccia a faccia”, come Mosè. Poi, c’è la via, che la Bibbia “privilegia”: “la rivelazione di Dio nel Volto di Cristo, icona perfetta”. Un “rivelare” che è “descrivere, spiegare, mostrare in pienezza”. Infatti, “la fisionomia di Dio ha una figurazione diretta ed esplicita nel volto di Cristo”. Allora, “l’immagine di Dio può comprendere la bruttezza che può salvare il mondo”: “la logica dell’Incarnazione comprende la sofferenza di Dio, il corpo martoriato del Crocifisso”. L’arte, quando si fa religiosa, ha concluso mons. Ravasi, deve “unire in modo armonico l’Eterno e la carne”, rendendo possibile l’incontro “faccia a faccia con Dio come Egli è”. Arte, come sosteneva il filosofo Hesse, significa, allora “in ogni cosa vedere Dio”.PAOLUCCI (STORICO DELL’ARTE), “L’ARTE È L’OMBRA DI DIO SULLA TERRA”“Abitiamo in un’epoca ipericonica, siamo schiacciati dalle immagini, che veicolano messaggi, non sempre chiari ed efficaci”. Un tempo, invece, “questa funzione era assolta dall’arte, che oggi sembra aver rinunciato al proprio ruolo di significante di significati”. Lo ha affermato lo storico dell’arte Antonio Paolucci, relatore nella sessione “Il Dio della cultura e della bellezza”, nella seconda giornata dei lavori del convegno internazionale “Dio oggi”. “L’arte ha il compito di svelare il mondo e – ha concluso Paolucci – è l’ombra di Dio sulla terra”. BRAGUE (FILOSOFO), IL “FANATISMO PROFANO” E IL “FANATISMO DELLA MISCREDENZA”Oggi “il monoteismo è ritenuto spesso responsabile delle derive negative della religione che vengono definite con termini diffamatori come integralismo, fondamentalismo e fanatismo”, ma il fenomeno del fanatismo “esiste al di fuori del religioso”. Ad affermarlo è stato Rémi Brague, docente di filosofia araba e Filosofia orientale alla Sorbona di Parigi, intervenuto venerdì alla terza sessione del convegno, dedicata al tema “Dio e le religioni”. Per il filosofo, esiste il “fanatismo profano”, che “parassita e avvelena pressoché tutte le dimensioni dell’agire umano”. In campo politico, per Brague “è possibile distinguere almeno tre tipi di fanatismo: la nazione è avvelenata dal nazionalismo sciovinista, lo Stato dal culto totalitario del potere pubblico, le opinioni dallo spirito di parte. L’ideologia è un parassita tanto della scienza quanto della religione e le perverte entrambe”. Il fanatismo è inoltre presente per Brague anche nell’ateismo “militante”, sotto forma di “un fanatismo della miscredenza che non rifugge dall’insulto implicito o esplicito”. E’ esplicito, ha spiegato il filosofo, “quando il militantismo ateo presenta delle credenze religiose in versione caricaturale e fornisce un’interpretazione tendenziosa degli avvenimenti della storia delle religioni, a cominciare dalla loro genesi, considerandole sovente un complotto, se non addirittura un crimine”.“Non sarà troppo difficile far dialogare religioni molto distanti per luogo di comparsa e per dogmi fondamentali. Sarà invece più difficile far dialogare religioni più vicine e difficili da discernere quando le si vedono da lontano, ma che si sono definite l’una in rapporto all’altra con un deliberato intento di distinguersi”. Il filosofo Rémi Brague ha riassunto in questi termini il “problema delle religioni rivelate”, che “pretendono che quanto dicono di Dio sia fondato su quanto lo stesso Dio dice su ciò che Egli è, o almeno su ciò che Egli si attende dall’uomo o chiede all’uomo”. “Le religioni non si considerano sullo stesso piano”, ha affermato il relatore, che ha ricordato l’incontro interreligioso voluto da Giovanni Paolo II ad Assisi, dietro al quale “si nasconde un problema grave”, che risiede “nella diversità delle loro diversità”. In altre parole, “ le religioni rappresentate sono diverse le une dalle altre, ma non lo sono allo stesso modo”. Per Brague, “porre le religioni sullo stesso piano significa cedere ad un’astrazione”. Spesso, infatti, “le religioni nascono le une a partire dalle altre. Di conseguenza, esse si definiscono le une in rapporto alle altre, a volte in una volontà esplicita di separazione. Avviene così che le loro differenze hanno come causa la volontà di differenziarsi”.“Il grande problema della nostra epoca è l’emergere di una nuova religione inconsapevole, quella del soggetto individuale o collettivo. Rifiutando la trascendenza, questi si conferisce il diritto di scegliere la figura del divino che è di suo gradimento. Ma nulla dimostra che questo divino non conduca l’uomo alla sua stessa distruzione”. Così il filosofo Rèmi Brague ha concluso il suo intervento. “In sé, Dio è lo stesso, ovunque e sempre. Ma le religioni lo concepiscono in modi diversi, che occorre rispettare”, ha affermato. In particolare, per il relatore “occorre tenere conto delle richieste delle religioni che si definiscono rivelate”. Brague si è soffermato sul fallimento delle pretese della cosiddetta “religione dell’umanità”, che “accompagna come un’ombra tutto il progetto moderno di un’auto-posizione dell’uomo”, un progetto cioè che “suppone che non vi sia niente di più alto dell’uomo e che l’uomo debba rendere conto solo a se stesso”. In un panorama religioso in cui “ogni religione pretende di essere l’unica religione vera”, il cristianesimo – ha riconosciuto Brague – non pretende di dare una nuova definizione del bene e del male, una nuova etica. La sua etica non è altro che l’etica che consente la sopravvivenza dell’umanità, vale a dire: la sopravvivenza della specie umana e la permanenza di ciò che rende l’uomo realmente umano”. CACCIARI (FILOSOFO), LA “BATTAGLIA” DEI MONOTEISMI È CONTRO “L’ATEISMO PRATICO”“La grande battaglia dei monoteismi è nei confronti dell’ateismo pratico oggi dilagante”. Lo ha detto il filosofo Massimo Cacciari, intervenuto venerdì pomeriggio alla terza sessione del Convegno, dedicata al tema “Dio e le religioni”. “C’è un ateismo implicito nel monoteismo come problema”, ha spiegato il relatore soffermandosi sull’evoluzione del concetto di “monoteismo puro” nelle sue “due varianti, quella credente e quella filosofica”. Ma queste “forme di ateismo implicito”, è la tesi di fondo di Cacciari, “sono ormai superate da un nuovo ateismo”. Rispetto al monoteismo e al teismo, secondo il filosofo “oggi l’ateo afferma che al termine Dio non corrisponde nulla, e questa è una novità assoluta nella storia dell’ateismo”. Il “monoteismo puro”, ha spiegato Cacciari, “poneva Dio come l’altro, come il non ente, ora invece l’ateo afferma che al termine Dio non corrisponde nulla di pensabile”. E’ quella che Simone Weil chiama “fisica assoluta”, in base alla quale ” non vi è altro dall’essere nel mondo”. Così, oggi, “qualsiasi posizione che pretenda di esprimere altro dal mondo fisico è nulla”.“Occorre che fede e ragione non siano negligenti contro questo ateismo pratico dilagante”, ha proseguito Cacciari. “E’ un ateismo pratico – ha siegato – che fa di Dio il nulla, o peggio una parola rassicurante, che ne ignora l’intelligenza, che rifiuta l’esodo nel suo chiudersi rassicurante, che rifiuta di pensare la morte anche nella propria finitiezza, che rifiuta di riconoscerla combattendola, che non concepisce la fede se non come sentimento o peggio ancora come quieto fondamento soggettivo su cui super-stare, e non da rileggersi sempre e con cui confrontarsi continuamente”. “Se c’è un punto in cui i monoteismi – è la proposta-appello del relatore – nelle loro insuperabili differenze, potrebbero essere accomunati è quello di sollevare un’istanza critica forte, decisa, contro questo ateismo pratico, che non ha nulla a che vedere con le grandi tradizioni ateistiche che sono immanenti nel monoteismo”, nei termini di una “fraterna inimicizia”. I monoteismi, quindi, come “istanza critica sia in senso di testimonianza, sia in senso teologico”. SEQUERI, AGOSTINO RICORDA CHE “LA PAROLA DI DIO HA UN SUONO”Una meditazione basata sul concetto della musica in S.Agostino condotta dal teologo e musicologo Piarangelo Sequeri è stata al centro della seconda parte della sessione “Dio nella musica ieri e oggi”, esecuzione di musica accompagnata dal commento di alcuni brani musicali, nell’ambito del convegno “Dio oggi”. Per Agostino, ha spiegato il teologo, “il primo legame con Dio è la Parola, e questa Parola ha un suono”. Dall’esigenza dell’uomo “di rispondere al suono della Parola di Dio nasce la musica sacra. La musica ha in tal senso quella capacità di farsi oltre, di esprimere quello che la parola umana non riesce a dire: e qui l’alleluja, il giubilo”. “Una volta che la Parola di Dio è arrivata all’uomo – dice Agostino – ecco nell’uomo il suono dello gubilo, oltre la parola la musica infinitamente ha da dire”. Il terzo momento individuato da Agostino, ha ricordato Sequeri, è l’inno ambrosiano: “Dio si è incarnato, adesso non c’è bisogno di un insieme infinito di suoni perché basta un tema, una melodia ed essa è in grado di interpretare la profondità dell’anima”. Tra alcuni brani eseguiti sul palco, pezzi dal repertorio delle melodie gregoriane di Ottorino Respighi, una trascrizione di Busoni delle melodie di Bach.BELLINI, ANCHE NELLA MUSICA UN “PONTE CON L’INFINITO”La musica Franz Schubert è stato uno dei momenti della sessione “Dio nella musica ieri e oggi”, esecuzione di alcuni brani musicali con l’ascolto guidato da Pierangelo Sequeri e Pier Paolo Bellini, svoltasi venerdì sera all’auditorium di Via della Conciliazione nell’ambito del convegno “Dio oggi”. Si sono scelti due momenti dedicati all’ieri e l’oggi “per esplicitare nel linguaggio musicale l’anelito degli uomini di tutti i tempi al mistero, quella la tensione faticosa verso una presenza ineffabile che Schubert rende presente nella sua musica”, ha spiegato Bellini. L’”Arpeggiato” il primo brano eseguito sul palco. La chiave di lettura di questo compositore, ha spiegato Bellini, è traducibile nella parola “itinerario”, “un cammino che non si riduce all’incontro con le cose e che nel brano che lo rese famoso “Il Viandante” si esprime con le parole di un uomo che si domanda: “Dove sei terra mia adorata, mia nostalgia, terra in cui mi sento a casa mia? Straniero sono venuto e straniero riparto”. C’è in questa musica il “sacro anelito” a quel luogo da cui l’uomo deriva e “insieme una profezia dell’avvento cristiano che rende possibile questo ponte con l’infinito”. Il tutto, ha spiegato, è espresso in due momenti musicali diversi, “prima come mancanza drammatica e dolorosa, poi come consapevolezza di quanto questo cammino sia faticoso, infine come canto appassionato d’amore di chi ha intuito che quel luogo esiste”.MONS. FORTE, “IL DIO DELLA BIBBIA È IL DIO DELLA STORIA”“Il Dio della Bibbia è il Dio della storia”, perché “è alla fede biblica che si deve l’invenzione della storia”, intesa come “risposta ad una chiamata, l’andare verso una méta”. A ricordarlo è stato mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Intervenendo venerdì alla sessione dedicata al tema “Dio, la storia ne la politica”, il vescovo ha affermato che “Dio ha bisogno degli uomini e crede in essi, più di quanto essi credono in lui”: “il tempo della storia è anche tempo di Dio”, e “Gesù è la rivelazione dell’uomo e della storia”. Al contrario, per mons. Forte, “l’invenzione della politica appartiene ad Atene, non a Gerusalemme: l’idea di una teologia politica appare estranea o paradossale a orecchi e educate all’ascolto della Parola”. “La semplice deduzione di un atteggiamento politico dal monoteismo o dalla fede trinitaria non regge”, ha ammonito il presule, secondo il quale “la politica come mediazione fra i diversi appetiti e le possibilità in gioco non nasce a Gerusalemme, ma ad Atene”, ed è “dalle necessità della “pòlis” che “è generata e misurata la mediazione politica”, intesa come “servizio al bene comune”. Ma tutto questo, per il relatore, “non potrà realizzarsi se l’agire politico non saprà fare i conti con le altrui ragioni, e soprattutto con il riferimento al valore ultimo del bene comune e delle esigenze etiche che l garantiscono”.“In democrazia la politica ha bisogno dell’etica, che ne misuri costantemente il potere umanizzante al servizio del bene di tutti e aiuti ad individuare le priorità e le vie giuste per realizzarle”. Ne è convinto mons. Bruno Forte. “E’ qui che la tradizione cristiana – ha detto il vescovo – ha potuto inserirsi per portare il suo contributo alla politica: e lo ha fatto nella maniera più alta elaborando il concetto di persona”, fatta di dialettica tra “singolarità” e “relazione”, grazie alla quale la persona può “stabilire rapporti di reciprocità solidale”. “Riconoscere e tutelare la dignità di ogni essere personale – ha ricordato il relatore – è il primo impegno cui chiama la nostra Costituzione, in questo eco fedele dell’dea che il cristianesimo offre alla mediazione politica riguardo all’assolutezza, singolarità e pari dignità di ogni uomo e donna davanti a Dio e alla storia”. Principio di responsabilità, valore del pluralismo, principio di laicità e tolleranza, in forza del quale “lo Stato le comunità religiose sono, ciascuno nel suo ordine, indipendenti e sovrani”. Questi altri principi costituzionali debitori del “grande apporto delle radici cristiane alla convivenza civile, in forza del quale Dio, storia e politica non sono estranei l’uno all’altro, ma si relazionano nella costruzione di un’umanità più vera, buona e felice per tutti”, partendo dalla consapevolezza che “la storia e la politica nel’orizzonte della trascendenza di Dio non sono meno, ma più umane, non meno, ma più giuste”.LA VIOLENZA C’È SE “L’UOMO DIMENTICA DI ESSERE MENDICANTE” “La guerra ha una matrice di fondo: la fame, il dolore, la morte. I popoli vogliono uscirne. Qui entra in campo Dio. Dio è evocato dai popoli per salvare dal dolore e dalla morte”. Così Emanuele Severino nel prendere la parola dopo le relazioni di Angelo Panebianco e di Luigi Cimmino sul tema “Dio e la violenza”, discussione fatta a partire dal testo del filosofo “A Cesare e a Dio. Guerra e violenza in controluce” . La tavola rotonda, moderata da Eugenia Scabini, si è tenuta venerdì sera. “ Se davvero la guerra è sfuggita al controllo della politica – ha aggiunto il filosofo – allora nessuna speranza per arginare il caos è possibile”. Inoltre, ha precisato, “la statualità è, in mezzo a tante tragedie, quell’ordine di cui gli uomini continuano a avere bisogno per garantirsi la sopravvivenza”. Eugenia Scabini, ha replicato a un’accettazione passiva dell’agire violento, affermando che “ la radice della violenza è il narcisismo cioè l’uomo che occupa tutto lo spazio e quindi l’uomo che dimentica di essere mendicante. L’uomo nella misura in cui esce da questa condizione di mendicate chiude e spezza la violenza e può acchiappare quel mistero che lo accomuna al fratello”.GALLI DELLA LOGGIA, “IL CRISTIANESIMO HA CAMBIATO TUTTO” “Il cristianesimo ha cambiato tutto nella storia e nella politica”. Ad affermarlo è stato Ernesto Galli Della Loggia, storico e politologo, intervenendo venerdì sera alla sessione dedicata a “Dio, la storia, la politica”. “Per gli storici Dio non esiste, esiste il cristianesimo”, ha esordito il relatore, e “con il cristianesimo la storia e la politica sono cambiate in modo radicale. Nella politica è entrato il concetto fondamentale di persona e quello, altrettanto fondamentale, di uguaglianza, che sono a fondamento della democrazia moderna”. Anche la concezione della storia è cambiata, con l’avvento del cristianesimo, perché “nella storia è entrata la tensione al futuro”, grazie alla quale “la storia per il cristiano sarà sempre una dialettica tra l’attesa del Regno di Dio e l’obbligo, nel frattempo, di realizzare i comandamenti del Signore”. Due, per Galli della Loggia, le “contingenze storiche assolutamente uniche” con cui si è dovuto confrontare il cristianesimo delle origini: “Dapprima si è dovuto misurare come perseguitato, poi è entrato nella religione ufficiale dell’impero, cioè in politica. Ciò è capitato solo al cristianesimo, e per questo la nostra è una civiltà cristiana”. La seconda contingenza storia straordinaria, ha spiegato Della Loggia, è il fatto che dopo la caduta dell’Impero Romano il cristianesimo “si è dovuto misurare con le invasioni barbariche, e con quelle popolazioni ha fatto un’operazione di proselitismo e di acculturazione senza aver nessun potere alle spalle”. Questo ha provocato “alcune conseguenze sul piano identitario”: “la sicurezza di sé e l’importanza del dato culturale”.ALEXANDER (BIOCHIMICO), “CREAZIONE ED EVOLUZIONE, CONCETTI COMPLEMENTARI” Creazione ed evoluzione, non sono teorie che “impongono una scelta”, ma sono, piuttosto, “concetti complementari”, che “non esauriscono, ciascuno per sé, la comprensione dell’intera realtà” . Così è intervenuto al convegno Denis Alexander, biochimico dell’Università di Cambridge, nell’ambito di un laboratorio dedicato al tema del suo libro: “Creazione o evoluzione. S’impone una scelta?”. “Contro le intenzioni del suo autore – ha affermato Alexander – la teoria dell’evoluzione di Darwin è stata usata a sostegno di varie ideologie: il socialismo, il capitalismo, l’eugenetica nazista”. Invece, “l’evoluzionismo non è che la migliore spiegazione della scienza delle differenze biologiche”. E la scienza non che “uno dei livelli di comprensione della realtà”, insieme all’etica, all’estetica e alla religione, “tutti collegati tra loro e non in conflitto, né rivali” Come ha affermato il biologo Ernst Mayer, la teoria darwiniana è “la più grande teoria unificante in biologia”, che “offre una mappa ordinata e coerente di dati diversi”, ma nulla dice circa le origini della vita e, anzi, è “perfettamente in linea con l’idea di un Dio che ha un’intenzione sul mondo e che continua la sua opera di creazione nell’esistenza del creato”.TANZELLA NITTI (TEOLOGO), “CIÓ CHE PENSO, DESIDERO, CREDO E SPERO NON È FRUTTO DEL CASO” “L’evoluzione non è un processo casuale, e su questo convergono atei e credenti”, ha aggiunto Alexander. “Creazione ed evoluzione sono due aspetti della diversa realtà”. Di questo parere anche il fisico Gennaro Auletta: “fanno riferimento a due ordini diversi di problemi”, da un lato “l’atto d’essere”, dall’altro “l’intellegibilità del reale”. E dunque, sono “spiegazioni convergenti”. Per il teologo Giuseppe Tanzella Nitti, “la domanda che l’evoluzionismo pone alla teologia è: Dio ha a che fare con l’origine dell’uomo? O ciò che penso, desidero, credo e spero è frutto del caso?”. La risposta è che “nessuna teoria scientifica può sostenere che siamo figli del caso”. Anche “qualora le scienze naturali trovassero risposta a tutte le domande su come funziona il mondo”, comunque “non potrebbero rispondere alla domanda fondamentale: perché esisto io?, né possono rigettarla come irrilevante”. “La creazione – ha aggiunto Tanzella Nitti – non è un evento, che si esaurisce in un momento determinato”. Vi è “una relazione trascendente tra creatore e creatura” e, pertanto, “la creazione è il fondamento della storia e dell’evoluzione, la causa prima su cui si fondano le cause seconde”. “L’evoluzione è il modo con Dio crea in una creazione continua”. NOWAK (BIOFISICO), “UNA SCIENZA CHE NEGHI DIO È UNA RELIGIONE DEL NULLA”“L’evoluzione non si basa solo sulla selezione, ma anche sulla cooperazione, sulla solidarietà tra individui” e “l’evoluzionismo presuppone un processo di salvaguardia, cambiamento e crescita di gruppi viventi esistenti”, non spiega la nascita della vita. Il biofisico Martin Nowak è intervenuto così nella giornata conclusiva dell’evento internazionale “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”. E, facendo riferimento alla “teoria matematica dei giochi”, ha spiegato come l’evoluzione segua la doppia regola, dell’egoismo e della solidarietà, attraverso “cinque meccanismi: la consanguineità, la reciprocità diretta, la reciprocità indiretta, la selezione spaziale e la selezione di gruppo”. La teoria spiega come la razionalità logica consiste nell’osservanza di regole, che non sempre è la “strategia vincente nella vita”, e dunque, “l’evoluzione della selezione consiste nella cooperazione”. In un primo stadio, il comportamento altruistico avviene tra consanguinei, parenti di geni, poi avviene tra due persone, in termini di scambio, quindi c’è una interazione diretta tra due individui e indiretta con qualcuno che non partecipa al “gioco”, poi “si formano gruppi di amici che si aiutano tra loro”, in ultimo “gruppi complessi, con un alto numero di defezionisti e di cooperatori”.“L’evoluzionismo – ha continuato Nowak – è una teoria unificante in biologia, un percorso di conoscenza e di ricerca sulla realtà”, non è una teoria “predittiva”. “Non spiega come avviene il passaggio dalla cellula batterica all’essere umano, con un linguaggio e una coscienza”. “Una scienza che neghi Dio non è scienza, ma una religione del nulla”, ha detto il biofisico. E “gli scienziati dovrebbero comprendere bene come il Cristianesimo concepisce il Dio creatore”: Egli “fissa le condizioni iniziali e vuole che ciò che esiste esista e sia libero di esistere”. Dunque, “Dio non si limita a guardare dopo aver compiuto l’atto della creazione, ma sceglie che gli organismi viventi si sviluppino, per esempio, attraverso le leggi dell’evoluzione”, ma “senza Dio non vi sarebbe evoluzione”. “La negazione di Dio non può avere una spiegazione scientifica”, “Dio non può essere studiato con metodo scientifico”. Invece, “la comprensione del mondo necessita della collaborazione tra tutte le aree della conoscenza, e quindi, anche della collaborazione tra scienza e religione”. Nowak ha concluso citando Sant’Agostino: “Dio è atemporale e ha creato il mondo dal nulla”. “La casualità non è un problema per un Dio atemporale, ma solo per l’essere umano, invischiato nel flusso temporale”. Ma, come dichiarò Einstein, “Dio non gioca a dadi”. L’evoluzione “non rappresenta un problema per la teologia cristiana. Dio si serve dell’evoluzione per dispiegare il mondo vivente intorno a noi”, ha affermato Martin Nowak. Per il docente, “similmente Dio si serve della gravità per dispiegare l’universo su un’ampia scala. Né la gravità né l’evoluzione – ha affermato – pongono sfide alla fede cristiana. Dio è la causa ultima di tutto ciò che esiste. Dio è colui in assenza del quale non ci sarebbe affatto l’evoluzione. Dio è sia il Creatore sia il Sostenitore dell’universo”. “A mio modo di vedere – ha aggiunto Nowak – Dio non solo fissa le condizioni iniziali del processo evolutivo ma traccia anche l’intera traiettoria dell’esistenza. L’intera traiettoria è nota a Dio, che esiste al di fuori del tempo, eterno e a-temporale, onnisciente e infinitamente amorevole”.Per Nowak, l’evoluzione è il “principio organizzatore” di tutta la biologia. L’evoluzione – ha spiegato il docente – “ci ha condotto da un mondo di batteri, che esistevano sulla Terra circa 3 miliardi e 500 milioni di anni fa, a ciò che vediamo oggi”. L’evoluzione, ha spiegato ancora, “avviene ogniqualvolta vi è una popolazione di individui che si riproducono ed il processo della riproduzione è soggetto a mutazione e selezione. La selezione si basa sulla concorrenza tra individui”. Nowak ha ricordato che negli ultimi anni ha proposto di aggiungere la “cooperazione” come “una terza caratteristica fondamentale dell’evoluzione. La cooperazione – ha detto – si manifesta ogniqualvolta un individuo sacrifica, in tutto o in parte, il proprio potenziale riproduttivo per aiutare un altro individuo. La selezione naturale favorisce la cooperazione solo se sono attivi meccanismi specifici”.Novak ha sostenuto la tesi secondo cui “senza cooperazione non vi è costruzione nel processo evolutivo. La cooperazione è necessaria per l’evoluzione della prima cellula, degli organismi pluricellulari nonché della società animale e di quella umana”. Per questo si può capire l’evoluzione “se la si vede come un processo di ricerca. Oggi però non sappiamo che cosa crei lo spazio di possibilità oggetto della ricerca”. Per esempio, l’evoluzione non “inventa” la vita “intelligente” ma la “scopre”. L’evoluzione “non può operare senza requisiti che la guidino. Il biologo deve, in ultima analisi, rivolgersi alle leggi della chimica e della fisica per trovare tali requisiti, ma ad oggi non è chiaro come lo si potrebbe fare. Come accade per ogni altra disciplina scientifica, la nostra attuale comprensione dell’evoluzione è incompleta”.COYNE (ASTRONOMO), “DIO È PERSONA, NON UNA TEORIA DEL TUTTO” “L’immagine di Dio creatore deve rispondere ai concetti della cosmologia moderna”, senza però cedere alle “tentazioni della nuova cosmologia”, di considerare “Dio essenzialmente, se non esclusivamente, come una spiegazione, una teoria del tutto”, piuttosto che persona. È l’invito dell’astronomo George Coyne, già direttore della Specola Vaticana, tra i relatori alla sessione “Dio e le scienze”. “L’evoluzione è una caratteristica intrinseca dell’universo, dalla quale non si può prescindere per dare una spiegazione, sia dell’insieme che delle parti”. Tuttavia, “ciò che sorprende davvero è che semplicemente nell’universo la vita esista”. La domanda è se essa sia “lo stadio finale di un processo evolutivo casuale” o si svolga “in un lungo e delicato programma”. “In un universo fertile – ha concluso Coyne – i processi casuali e necessari si intersecano”. Ma, “alla domanda: ‘L’ha fatto Dio?’, nella prospettiva della scienza, la risposta è: ‘Non lo so’, nella prospettiva di fede, la risposta è: ‘Si!’”. “L’immagine di Dio studiata dai teologi, nella misura in cui si sforza di giungere a una comprensione razionale della verità rivelata, va soggetta a tutte le evoluzioni del pensiero umano” e “pur riconoscendo che la verità rivelata ci è stata data in tempi determinati e attraverso persone particolari, la manifestazione, l’approfondimento e l’inculturazione di essa sono tuttavia in continuo progresso”. Lo ha ricordato questa mattina George V. Coyne, astronomo gesuita e direttore della Specola Vaticana dal 1978 al 2006. “L’immagine attuale di Dio creatore deve rispondere ai concetti della cosmologia moderna”, ha aggiunto Coyne, perché se “il dato rivelato viene recepito e si radica profondamente in relazione al modo di pensare, anche la comprensione di esso risulta soggetta a una certa evoluzione”. In questi ultimi tempi, ha sottolineato l’astronomo, è cresciuto “l’interesse per la vita extraterrestre” ma “ciò che veramente deve sorprenderci non è tanto scoprire che la vita si trovi nell’universo anche fuori della Terra, ma piuttosto che semplicemente nell’universo esista la vita”.Sull’evoluzione dell’universo che ha portato all’inizio della vita – ha detto Coyne – si possono avere due posizioni: o “la vita non ha altro significato che quello di essere lo stadio finale del lungo processo di evoluzione dell’universo”, oppure è “il culmine dello svolgersi estremamente lungo e delicato di un programma rappresentato dalle leggi fisiche insite nell’universo”. Oggi, ha aggiunto, si ritiene che la vita “ha impiegato tanto tempo ad apparire” perché “per produrre le quantità di elementi chimici indispensabili siano state necessarie tre generazioni di stelle”. Tuttavia, “la comparsa della vita nell’universo pone naturalmente una serie di problemi scientifici ai quali, a mio parere, non è stata ancora data una soluzione adeguata”. Nella “cultura della nuova cosmologia Dio viene visto essenzialmente, se non esclusivamente, come una spiegazione e non come una persona” ma, ha concluso Coyne, “lo studioso teologo sa bene, come sanno tutti i credenti, che Dio è molto più di questo” e “anche se scopriremo la ‘mente di Dio’, non per questo avremo necessariamente trovato Dio” perché “il Dio che si rivelò a noi tramite i nostri antenati, ci sta ancora svelando il grande mistero della sua realtà tramite la nostra conoscenza dell’universo da Lui creato”. VAN INWAGEN (FILOSOFO), SUPERARE “LE LIMITAZIONI DEL NOSTRO LINGUAGGIO” “L’ontologia è quella parte della filosofia che indaga la natura dell’essere o dell’esistenza” e nel rapporto tra l’ontologia e l’esistenza di Dio “è stata opinione diffusa tra metafisici e teologi di orientamento metafisico l’idea che Dio e le sue creature godano di modi diversi di essere”. Lo ha affermato sabato mattina Peter Van Inwagen, docente di filosofia all’Università di “Notre Dame du Lac” nell’Indiana (Usa) e presidente della divisione centrale dell’“American Philosophical Association”, intervenendo alla quarta sessione del convegno. Per Van Inwagen, “la dottrina secondo cui Dio e le sue creature godono di modi diversi di essere” si fonda “su un errore metafisico” e “se Dio è il Creatore dell’universo, non può essere uno dei suoi abitanti” ma “deve essere in un certo senso fuori dall’universo”. Quando cerchiamo di dare “un senso compiuto all’idea che Dio è fuori dall’universo, ci scontriamo con le limitazioni intrinseche del nostro linguaggio, il quale è stato progettato per consentirci di parlare e occuparci di cose che – come noi – appartengono all’universo fisico”.Nonostante le difficoltà legate al linguaggio, ha aggiunto il filosofo, “il fatto che uno strumento non sia stato progettato per un determinato scopo non vuol dire che sia impossibile utilizzarlo anche per quello”. La teoria di Darwin sull’evoluzione “non corrobora in alcun modo la tesi secondo cui l’universo non è stato creato da Dio (ovvero da un essere che possegga le proprietà che i teisti attribuiscono a Dio) né, a maggior ragione, la tesi secondo cui l’universo non è il risultato di un disegno intelligente”. Infatti, “se il darwinismo è una teoria vera e scientifica, la sua verità deve essere stata fissata” da un “atto eterno di creazione”. In questo senso, ha concluso Van Inwagen, “la verità di una teoria scientifica deve ‘sopravvenire su’ (deve essere ‘stabilita da’) la distribuzione della materia e della radiazione nello spazio-tempo”; “una teoria la cui verità o falsità non sopravvenga sulla distribuzione della materia e della radiazione nello spazio-tempo non si chiama scientifica” ma “metafisica”.LE CONCLUSIONI DI MONS. FISICHELLA, “INDIFFERENZA E OVVIETÀ” RODONO IL “COMUNE SENSO RELIGIOSO” “Dio oggi non è negato, è sconosciuto”. Così mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense e presidente della Pontificia Accademia per la vita, ha aperto questa mattina il suo intervento conclusivo al convegno “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto” (Roma, 10-12 dicembre). Un appuntamento con il quale, ha affermato, “si è gettato un sasso nello stagno su due fronti: quello dell’indifferenza, che spesso domina il contesto culturale su questa problematica, e quello dell’ovvietà che evidenzia quanta ignoranza domini spesso sovrana sui contenuti religiosi”. “Indifferenza e ovvietà, purtroppo, rodono alla base – ha sottolineato – quel comune senso religioso che è ancora presente nel nostro Paese, rendendo sempre più debole la domanda religiosa e, soprattutto, la sua scelta consapevole e libera”. Ecco dunque l’importanza “di riflettere, di vedere, di ascoltare e discutere sul tema ‘Dio’ in riferimento ai diversi segmenti in cui la cultura si organizza: dalla filosofia alla teologia; dalla scienza al cinema, dalla bellezza delle arti alla letteratura”. Un servizio, ha evidenziato mons. Fisichella, “che si rende alle giovani generazioni”, alle quali “dobbiamo trasmettere con responsabilità non solo le certezze che abbiamo conquistato, ma anche il tentativo di dissolvere i dubbi che ci accompagnano”.“Le strade delle nostre città – sempre più monotone per la ripetitività dei modelli offerti dall’appiattimento urbanistico di questi decenni, da dove sembra scomparsa ogni forma di nuova bellezza – sono cariche di nuovi idoli”, ha osservato il rettore della Lateranense. “L’interesse verso un generico senso religioso – venuto meno nei decenni passati – sembra voler riprendersi una sorta di rivincita in un mondo che mostra ancora la via della secolarizzazione, anche se non è più così chiara ed evidente la strada che vuole seguire”. Ed ecco che, ha aggiunto mons. Fisichella, “espressioni religiose si moltiplicano, spesso prive di spessore razionale per dare maggior spazio all’emotività, mentre nuovi messia dell’ultima ora appaiono di nuovo all’orizzonte, predicando l’imminente fine del mondo”. Di fronte a tale contesto “è necessario chiedersi chi sono i nuovi Paolo di Tarso coscienti di essere portatori di una bella notizia”, poiché il termine “Dio” è “tra i più usati nel linguaggio mondiale”, ma con “sensi diversi, differenti e, a volte, contrastanti tra di loro fino ad opporsi”. Al convegno ci si è “ripetutamente” chiesti “se Dio esiste” e “cosa o chi è Dio”. “Domande inevitabili – ha riconosciuto mons. Fisichella – che non possono rimanere senza risposta”.“I credenti – ha continuato mons. Fisichella – non possono permettere né che ‘Dio’ rimanga un termine privo di senso”, né che sia “comprensibile solo ai pochi addetti che utilizzano la stessa grammatica. Se ‘Dio’ ha un valore allora questo deve essere universale e, pertanto, deve essere reso accessibile per tutti con un linguaggio che nessuno esclude”. Da qui mons. Fisichella ha ripercorso alcune tappe emerse. Dapprima un passaggio “epistemologico”, poiché si tratta di comprendere “quale conoscenza sia necessaria per giungere a pronunciare con sensatezza il termine ‘Dio’”. Nei tre giorni più volte, ha precisato, è emerso “il tentativo di ritrovare nuove strade per evidenziare la ragionevolezza del nostro procedere”. In secondo luogo la “nuova cosmologia”, che chiede di “riflettere sulla nuova identità cosmica che si sta venendo a delineare in questi decenni di grandi scoperte scientifiche e che daranno ancora più sorprese nei prossimi anni”. Basti pensare, ad esempio, ai tentativi “di produrre il ‘big bang’, oppure i risultati che provengono dal satellite Plunck in grado di spingersi fino all’estremo dell’universo per carpirne i segreti, per comprendere quante domande si pongono”. “Proprio nell’anno dell’astronomia, nel quarto centenario della scoperta del cannocchiale da parte di Galileo, è necessario – ha rilevato – accogliere la sfida che si pone su questo terreno”.Terza pista è la “via pulchritudinis”, “costante sfida posta nel sentiero della storia”. “La via della bellezza s’impone perché apre alla conoscenza mediante la contemplazione” e “tutti siamo consapevoli – ha riconosciuto mons. Fisichella – del rapporto tra bellezza e discorso su ‘Dio’. L’arte, la letteratura, la musica… scomparirebbero per i quattro quinti se Dio non esistesse”. Quarto elemento per parlare di “Dio” è stato offerto dall’analisi sulle religioni e il monoteismo. Emarginare questa dimensione sarebbe “illusorio” ed “equivarrebbe a eliminare tutto il tema del linguaggio dei segni e dell’evocazione per accedere all’interno di un mondo che non trova altra risorsa per esprimersi se non quella del rito”. Infine, “una quinta pista di riflessione” risiede nel “mistero”, dato che “Dio è colui a cui appartiene di non poter essere confrontato con nulla”. “Nel mistero dell’enigmaticità della propria esistenza personale, del cosmo e di quanto ci circonda deve sorgere l’interrogativo che tocca il senso e il significato dell’esistenza”. Ricorrere, al “fato”, ha detto, “potrebbe essere una scappatoia facile e già utilizzata nel passato, ma si verrebbe a compromettere il valore della libertà personale”. “Senza Dio – ha concluso – viene meno la possibilità dell’autocomprensione, dell’esercizio della libertà e della responsabilità sociale”.RICCI SINDONI (FILOSOFA), UNA “DISCIPLINA ALL’ASCOLTO” La “formula” di questo evento internazionale, di una “disciplina all’ascolto”, con un programma intenso di interventi di specialisti di diversa formazione, dovrà essere “il modello felice” anche per i prossimi eventi ecclesiali, in particolare, di quelli promossi nell’ambito del progetto culturale della Chiesa italiana. È il commento al SIR della filosofa morale Paola Ricci Sindoni a margine dell’evento internazionale “Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto”, che si è appena concluso a Roma. Tra i “temi che potranno essere approfonditi”, la filosofa suggerisce “la mistica”, anche in considerazione del “pullulare esoterico nella cultura popolare contemporanea”. “Dio fa notizia oggi”, afferma Ricci Sindoni. “L’importanza che il messaggio religioso ha nella comunicazione sociale testimonia che la marcia della secolarizzazione ha subito una battuta d’arresto”. Tuttavia, in questo contesto, bisogna evitare “il rischio che Dio-Persona sia confuso con il divino generico”. “Bisogna far conoscere Cristo”, il Dio dei cristiani, che “non è un oggetto da comprare o da vendere, ma una Persona che ama e va in cerca dell’uomo”, che “ci interroga e si lascia interrogare”. CARD. RUINI, “SULLA STRADA DI UN NUOVO UMANESIMO INTEGRALE” La Rivelazione, la “kenosis” nel pensiero cristiano, di un Dio che s’incarna fino alla croce ma rimanendo Dio e non diminuendo la sua divinità, il richiamo alla liturgia: sono questi i passaggi che meritano particolare attenzione nella relazione di sintesi di mons. Rino Fisichella. È quanto afferma il card. Camillo Ruini, presidente del Comitato per il progetto culturale della Cei, che ha promosso l’incontro. “Dall’esperienza di questo convegno, che ha registrato oltre 2.500 partecipanti”, il porporato trae un insegnamento per “fare meglio” un successivo appuntamento, ad esempio dando spazio “alla Parola di Dio su Dio, nelle Scritture”. Il “presupposto” per altri appuntamenti sarà sempre lo stesso: “affrontare temi ‘duri’, sostanziali, essenziali, come il tema di Dio”. Essi rappresentano “le questioni di sempre”, che interessano “l’uomo di oggi come l’uomo di ogni tempo”, e dunque “non sono alla moda” perché “coinvolgono la ragione e i sentimenti degli uomini di ogni epoca”. Così, ha concluso il card. Ruini, potremo “metterci sulla strada di un nuovo umanesimo integrale, che abbia l’uomo sempre come fine e mai come semplice mezzo”.