Cultura & Società

Due testimoni giudicano il Papa Giovanni televisivo

DI LORELLA PELLISIn tv non l’ha seguito dall’inizio alla fine. Ma quel po’ che è riuscito a vedere non l’ha convinto del tutto. Giovanni Bianchi, classe 1918, vescovo emerito di Pescia, ha conosciuto personalmente Papa Roncalli. Forse per questo davanti al piccolo schermo ha prevalso in lui il giudizio critico.

«La verità è che ho avuto un’esperienza dal vivo con Papa Giovanni, l’ho incontrato e udito parlare. Di conseguenza ho durato fatica a vederlo “rifatto” in tv. Senza tuttavia togliere niente alla bravura dell’attore che lo ha interpretato».

Da Collevalenza, in provincia di Perugia, dove risiede da otto anni, monsignor Bianchi ci racconta del suo incontro con Giovanni XXIII.

«L’ho conosciuto nel ’62 quando con monsignor Florit, allora arcivescovo coadiutore di Firenze, siamo andati in pellegrinaggio a Roma con il Seminario. Io ero vicario generale. Siamo stati ricevuti in udienza: io ero in prima fila. Poi Papa Giovanni ci dette l’impressione di voler incontrare in separata sede l’arcivescovo Florit e anche me. In realtà – ricorda monsignor Bianchi – quando arrivammo nel corridoio per andare nelle stanze del Papa, il suo segretario, monsignor Capovilla, mi disse: “no, lei no, monsignorino”. Ci rimasi molto male e così dovetti rinunciare al “faccia a faccia”». Quel «no» e quel «monsignorino» procurarono un bel dispiacere nell’animo del vicario generale che però ebbe modo di rifarsi quando, da vescovo, andò a Roma da Paolo VI. «Guarda caso – precisa l’emerito di Pescia – colui che mi introdusse all’udienza di Paolo VI fu lo stesso Capovilla». E questa volta senza fare storie.

Legato a un’udienza «originale e indimenticabile» è anche uno degli aneddoti che Pietro Fiordelli, 86 anni, vescovo emerito di Prato, ricorda a proposito di Giovanni XXIII. L’udienza gli fu concessa nel 1958, dopo soli tre mesi che Roncalli era stato eletto Papa.«In genere non si doveva stare col Papa più di 15 minuti. Tanti altri attendevano il loro turno. Appena mi vide – racconta Fiordelli – con santa bontà e col sorriso in volto mi chiese se ero in buona salute e sereno. Gli dissi di sì. Ne fu lieto. Poi poche cose sulla diocesi di Prato, che pure lo rallegrarono. Poi iniziò a parlare del suo e mio amato Seminario Romano. Entrambi avevamo studiato lì. L’udienza durò circa 45 minuti, nei quali almeno 40, ma forse 41 o 42, parlò sempre lui, io forse tre o quattro minuti. Ora il tempo passava – continua il vescovo emerito di Prato – e tanti altri dovevano entrare. Dopo circa 17-18 minuti, entrò uno dei segretari. Passando davanti al Papa fece un grande inchino e poi andò in fondo allo studio, aprì un armadio e prese alcune carte, ma era tutta una astuzia. Il suo scopo era solo far capire al Papa che il mio tempo era passato. Il Papa però continuò tranquillo a parlare con me».

Mezz’ora dopo, da una porta in fondo allo studio del Papa entrò un altro Segretario. Il solito profondo inchino, la solita ricerca di fogli, il solito scopo: far capire che il tempo per quell’udienza era scaduto. E invece Papa Giovanni proseguì tranquillo a parlare.

«Sono sincero – confessa monsignor Fiordelli – se dico che ero un po’ preoccupato anch’io. Ed ecco che, dopo circa 45 minuti, all’improvviso si apre la porta ed entrano, potrei quasi dire “irrompono”, il segretario del Papa, il mio segretario, il fotografo e alcuni seminaristi. Papa Giovanni solo allora si rese conto. Si alzò, mi disse le ultime parole e tracciò una grande benedizione per me, per i sacerdoti, per tutti i pratesi. Delicatamente i segretari ci portarono fuori. Nelle sale e nei corridoi c’era un’aria poco propizia verso di me. Io salutavo sorridendo a destra e a sinistra, ma si vedeva chiaro che erano inquieti per la mia udienza col Papa, così enormemente fuori dalle regole. Io invece ero pieno di gioia».

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