Cultura & Società

Fra storia e leggenda: le città toscane scomparse

di Carlo Lapucci

Oggi, anche volendo, non sarebbe più possibile andare a Canossa: non solo Matilde si trova a far terra per ceci, ma anche il Papa ha altro da fare che aggirarsi tra le rovine del castello, di cui restano solo poche pietre. Eppure fu una rocca imprendibile e famosa per l’umiliazione, nota in tutto il mondo. Le città prima o poi scompaiono, o rimangono di loro solo piccoli villaggi: Troia, Sparta, Micene, Tebe, Susa, Persepoli, Selinunte, Pompei, Nora. Il fenomeno attualmente con l’espansione straordinaria che ha avuto la popolazione del globo non è avvertito: le città, se non aumentano il numero di abitanti, rimangono stabili, pure l’esperienza dice che quel che è avvenuto avverrà, anche se in maniera lenta, che per i contemporanei è quasi inavvertibile.

Dante aveva sotto gli occhi questo fenomeno e fa dire al suo avo Cacciaguida (Paradiso XVI, 73):«Se tu riguardi Luni ed Urbisagliacome son ite, e come se ne vannodirietro ad esse Chiusi e Sinigalliaudir come le schiatte si disfannonon ti parrà nuova cosa né forte,poscia che le cittadi termine hanno.Le vostre cose tutte hanno lor mortesì come voi; ma celasi in alcunache dura molto, e le vite son corte».

Luni, grande colonia romana nel II secolo, fu pressoché una metropoli raggiunse 10.000 abitanti, poi decadde. Ubisaglia, nella provincia di Macerata, conobbe antichi splendori, ma era già in grave decadenza. Chiusi fu una delle più potenti città etrusche e regno di Porsenna; della gloria di Senigallia rimane appena la proverbiale fiera, dove, come si dice, valeva la regola: chi ha avuto ha avuto.

Semifonte e altre cittàDante non cita, chi sa perché, un’altra città morta nel secolo in cui egli nacque: Semifonte che in un paio di decenni era divenuta tanto potente e ricca, al punto che i fiorentini non ebbero pace finché non l’ebbero distrutta, cosa che fecero nel 1202, tanto bene che oggi si conosce a malapena l’ubicazione dell’infelice città.A ben guardare le città toscane scomparse o quasi, comunque ridotte d’importanza sono tante, cominciando da quelle etrusche Fiesole e Cortona, potentissime ai loro tempi. Di qualcuna è rimasta solo la leggenda, come di Ginevra. Sul monte Amiata una fiorente città di nome Ginevra sorgeva poco lontano da luogo dove c’è ora il paese di Santa Caterina. Una regina, donna bellissima, detta la Bella Antiglia, s’insuperbì al punto di credersi una dea per cui s’attirò l’ira divina: Ginevra fu sommersa in un attimo da una frana che non ne lasciò traccia. Nei luoghi dove le rovine sono sommerse si sentono a volte affiorare voci, gridi d’una piazza col mercato, muggiti, rumore di zoccoli e di ruote sul selciato.

Molte storie mitologiche e leggendarie sorsero durante il Rinascimento. Ogni epoca ha le sue manie e quel tempo ebbe l’idea che non potesse esistere una cosa degna di considerazione se non aveva rapporti con il mondo classico e dove non c’erano s’inventavano. La tendenza andò avanti e si sviluppò nei secoli successivi, finché il Romanticismo gli dette l’ultimo tocco inventando anche le rovine, che venivano costruite ex novo nei parchi all’inglese, come elemento suggestivo. Oggi, qualunque cosa serva a incrementare il turismo, trova subito seguaci devoti e accesi sostenitori, per cui si va avanti così. Spesso qualche base di verità esiste.

Cosa per la storia fu un’antica e fiorente città dell’Etruria, devastata nel V secolo forse dai Visigoti. Nel IX risorse sulle sue rovine Ansedonia, a sua volta distrutta. Testimoniano la sua potenza opere imponenti come la celebre Tagliata etrusca, che corre per cinque chilometri sboccando al mare in una zona rocciosa. Il Bagno della Regina è una serie di cunicoli allagati, sotto cupole rocciose, illuminate da aperture nascoste dalla vegetazione. Forse fu un luogo di culto collegato alle acque; resta un mondo di suggestiva bellezza. Già Fazio degli Uberti scriveva nel Dittamondo (Libro III, cap. 9):«Là è ancora dove fu Ansedonia, / là è la cava dove andar a torme / si crede i tristi, ovvero le demonia». La leggenda vuole che il canale sia stato fatto scavare da una regina, bella quanto perversa, la quale vi fece il luogo dei suoi piaceri nuotandovi nuda con cortigiani e cortigiane e dandosi a ogni sorta di perversità. L’ira divina permise che si precipitasse nello Spacco, proprio mentre vi si svolgeva un’orgia, un’orda di demoni i quali distrussero la città e la reggia. I peccatori furono tutti trascinati all’inferno per le voragini spaventose che ancora si vedono.

Altra città leggendaria è Apua, sugli Appennini della Lunigiana, che fu distrutta probabilmente dai Romani, ma può darsi anche dai Saraceni. Si vuole che prima che la abitassero i Liguri apuani sia stata fondata dalla Regina di Saba, deviando il fiume Magra per trovare lo spazio utile all’insediamento. Ma non si saprebbe neppure dire con precisione dove si sia trovata quella città. La storia si confonde con quella di Pontremoli, che qualcuno vuole sorga sopra le rovine di Apua.

La storia sa essere anche ironica quando vuole. Col curioso toponimo di Poggio Buco, nei pressi di Manciano, pare che sia da identificare il pochissimo che rimane di una città fantasma detta Statonia, che ebbe, secondo la leggenda, i suoi grandi fastigi in tempi imprecisati, ma antichi certamente. Non si sa nemmeno se Poggio Buco fa sul serio, perché alcuni esperti vorrebbero che Statonia sorgesse invece fuori della Toscana, nella zona di Ischia di Castro.

Meno leggendaria, ma assai sfuggente è la storia di Vivinaia, in Val di Nievole. Sorgeva qui il castello del Marchese Bonifazio, padre della Contessa Matilde di Canossa, che vi accolse ospiti il pontefice Benedetto IX e l’imperatore Corrado col suo seguito. Nel luogo dove sorgeva tanto splendore sorse poi il cimitero di Montecarlo e nulla più si ritrova.Si favoleggia anche che dove oggi si trova Magliano sorgesse ai tempi dei tempi la città di Heba di cui rimangono solo le dicerie e neppure un sasso. Solo un olivo era rimasto pare per due millenni a segnare il luogo, ma da pochi anni anche questo è morto.Una città fantasma invece si è rivelata dopo che se ne era favoleggiato tanto per secoli. Si tratta di Vetulonia la cui localizzazione è stata individuata nel 1887. Non mancavano i documenti che ne attestassero l’esistenza come grande città etrusca potente e ricca, ma solo poco tempo fa Isidoro Falchi è risuscito a identificate il luogo dell’antico insediamento nel piccolo abitato medievale di Colonna e l’archeologia ha dato consistenti conferme. La decadenza nel nostro tempoIl mondo della civiltà industriale forse ha scelto un’altra strada per condurre alla sepoltura le città, i centri dal passato glorioso, consistente nella devitalizzazione: una lenta eutanasia che sembra una glorificazione e invece è la riduzione progressiva del complesso cittadino a una larva, meglio ancora a una spoglia, man mano che una città diventa il museo di se stessa. Pian piano l’autocompiacimento della popolazione per la propria storia l’allontana dall’attività, dal gusto di fare, creare, rischiare, innovare e rinnovare: nessuno vuol più mettere le mani nella creta, sentendosi chiamato a chi sa quali destini. Questo male passa da una generazione all’altra aggravandosi: spariscono le attività innovative per far posto a quelle conservative, amministrative, turistiche con l’occhio rivolto a un meschino profitto di sfruttamento. Salgono i prezzi: la popolazione minuta, come gli artigiani, ma sana e impegnata nelle attività primarie, abbandona la città. Gli speculatori acquistano i palazzi e le catapecchie, bonificano e rendono di lusso quello che prima era di uso abitativo, lasciando le zone irrecuperabili al loro destino, che è quello di quartieri in abbandono, zone di immigrazione, miseria e di degrado. Gli abitanti rimasti aggrappati alle loro mura le sfruttano quanto possono: diventano affittacamere, ristoratori, albergatori, commercianti, bottegai, venditori di ricordi, di gite turistiche, organizzatori di spettacoli, speculatori, mentre gli appartamenti passano pian piano, ma inesorabilmente nelle mani di gente facoltosa che abita lontano, spesso stranieri che ne fanno la sede occasionale per i loro affari, per i loro divertimenti silenziosi e segreti, vacanze, pensioni: luoghi vuoti, con persiane per lo più chiuse, finestre senza fiori, portoni sprangati per mesi e mesi, dove gli abitanti appaiono improvvisamente e scompaiono immediatamente, strisciando come ombre. Tutto coperto dal carnevale turistico che impazzisce nelle strade principali.L’anima della città svanisce: nessuno più la ama, abitata com’è da estranei che la sfruttano, sia che ci abitino in incognito, sia che vendano le loro merci nei santuari del consumismo, sia che lo facciano sul selciato delle strade: poco importa a loro della vita della città, della sua salute, della morale, dell’economia, della pulizia, della cultura, del suo destino.

Il seguito e l’esito della vicenda non si immagina: è un capitolo che forse non è stato ancora mai scritto nella storia, ma non pare che preveda un lieto fine.

La leggendaria fine di LuniNella grande Luni e del suo porto, oggi frazione di Ortonovo, non restano che poche rovine in Liguria e il nome Lunigiana. Si racconta che un capo barbaro, di nome Astingo, giunto a Bocca di Magra, risalito il fiume che credette il Tevere, prese Luni e la distrusse nella convinzione che fosse Roma. Il destino fu davvero beffardo con la città, che non risorse. È questa una delle diverse leggende sulla fine di Luni, variamente narrata, anche da Ettore Cozzani nelle Leggende della Lunigiana. L’altra celebre leggenda riguarda la Regina Tamaris, ultima storia, mutila, del Novelliere di Giovanni Sercambi. Un capo barbaro, di nome Astingo, aveva giurato al padre morente che avrebbe conquistato Roma e prese il mare con molte navi cariche d’armati. Costeggiando la Spagna, poi la Francia, quindi l’Italia, giunse a Bocca di Magra e risalì quanto poté il fiume. Sbarcato, avanzò sulla terra scoprendo una bellissima città, difesa da alte mura. Era Luni, città ricchissima e fiorente che dominava la Lunigiana, regione circostante, che da questa aveva preso nome. Luni era talmente bella, grande e forte che i barbari credettero d’essere giunti a Roma e d’aver risalito il Tevere invece del Magra. Astingo comprese che con le sue poche forze non avrebbe avuto ragione dell’esercito e delle difese d’una simile città. Fece allora abbrunare le bandiere del suo esercito, issare sulle navi le insegne del lutto, calare a mezz’asta i vessilli. Inviò quindi al Conte di Luni e all’Arcivescovo messaggeri di pace, chiedendo di poter onorare e seppellire nella cattedrale il loro capo, morto durante la navigazione, dopo aver fatto voto di farsi cristiano. Tanto erano devoti e umili i messaggeri, che il parlamento di Luni concesse l’autorizzazione di portare il corpo del capitano nel Duomo. Sfilarono i soldati, gli ufficiali e i generali portando sulle spalle la bara col corpo di Astingo. Quando questo fu deposto davanti all’altare, al canto del Libera me, Astingo balzò su come uno spettro e coi suoi uccise tutti coloro che erano nella chiesa.Presa la città, Astingo disse contento:– Finalmente Roma è nostra!– Ma questa non è Roma, è Luni, disse una donna che passava tirando un carretto.Accortisi dell’errore i barbari furibondi saccheggiarono la città e la bruciarono, spiantandola dalle fondamenta.

Le altre città scomparse fuori della Toscana

Basta un’occhiata fuori della Toscana per avere l’idea che le cose in Italia non vanno poi diversamente. Molte leggende avvolgono l’origine e l’esistenza di Calubria che si sarebbe trovata nell’attuale provincia di Mantova tra Vallimpente e Ostiglia, si dice che sia stato un insediamento gallo-umbro che avrebbe lasciato nel corso del fiume Tione arcate e murature superstiti di uno spaventoso cataclisma.Pompei – Di origine osca, sorse nell’VIII sec. a.C. Passò agli Etruschi, ai Greci, ai Sanniti, ai Romani. Ricca e fiorente fu distrutta da un terremoto (62 d. C.), risorse per finire sepolta nel 79 dalla grande eruzione del Vesuvio sotto sette metri di cenere. Insieme a Stabia ed Ercolano. Abbandonata e dimenticata restò una collina deserta fino al XVI secolo, ma gli scavi veri e propri iniziarono solo nel secolo XVIII.Badia Sommersa – Una voragine ha fatto sprofondare la Badia sommersa di San Giacomo in Cella Volana, a Vacolino, nella laguna di Comacchio. Si racconta che fu Dio stesso una notte a dire allo splendido paese: – Il tuo compito è giunto alla fine. La chiesa, ormai abbandonata da tutti per l’aria insalubre, sprofondò nella terra dal tramonto all’alba, quando il sole illuminò le onde del mare, là dove la sera c’erano i marmi e le guglie.Tisana – Sul monte San Primo, in Brianza si racconta della scomparsa e mai più identificata città di Tisana che un tempo aveva ospitato anche Bacco e Sileno i quali, a detta di qualcuno, ne furono anche i fondatori. Ma non si trova ormai più nulla.Ardea – Fondata secondo le leggende da Ardeas, figlio di Ulisse e di Circe (di Danae e Pilumno, secondo altri) fu città latina fiorentissima, capitale dei Rutili, allo sbarco di Enea in Italia. Decotte dopo le Guerre Puniche. Oggi è una borgata sulle rovine dell’antica città, con ricordi maestosi dell’antica gloria.Rocca d’Anversa – Rocca d’Anversa negli Abruzzi si dice sia scomparsa per causa del feudatario Titta di Capua, il quale uccise un amico, Fusco; per prendesi la moglie. Il fratello dell’ucciso una notte venne da Napoli e, sparso una gran quantità di liquido infiammabile, dette fuoco al feudo e al castello riducendo l’omicida e tutta la sua terra in cenere. Dall’incendio non risorse neppure una capanna e oggi restano solo rovine.Suasa – Suasa, nella Valle del Cesano, fu una città potentissima della VI regione augustea che per la sua ricchezza e il suo splendore fu detta La piccola Roma, La Roma dell’Adriatico. Ebbe legami strettissimi con i Romani che la potenziarono, favorendo la presenza della popolazione romana, per tenere a bada Sanniti, Etruschi e Galli, sui quali dominò per secoli in nome di Roma. Alarico la colpì proprio per questo: distruggendola sperava di sollevare le popolazioni animate dall’antico odio verso Roma. Questo non avvenne, ma Suasa, dopo nove secoli di storia, non risorse mai più dalle sue rovine e anche di quelle poco rimane.Castro – Un destino singolare ha avuto Castro, sorto improvvisamente e ben presto improvvisamente scomparso. Sorgeva su una rupe cosiddetta inaccessibile, tra due corsi d’acqua, l’Olpeta e il Fosso delle Monache, nella Maremma laziale. Piccolo e cadente paese fu eretto a capitale del Ducato di Castro dal papa Paolo III Farnese nel 1537 e, per opera, danaro e volontà papali, raggiunse rapidamente lo splendore d’un centro rinascimentale. Una quantità enorme di operai, insieme all’architetto Antonio da San Gallo il Giovane, la rese una meraviglia. Ben presto gl’interessi dei Farnese volsero verso Parma e Piacenza e Castro dopo il 1589 cominciò a decadere. Rimase come una scomoda inespugnabile fortezza in mezzo alle Maremme, sempre pronta a sollevarsi. Innocenzo X arrivò alla decisione di metter fine all’esistenza di Castro. Dopo la conquista una nuova folla di persone furono al lavoro per la distruzione di Castro, che fu spiantata dalle fondamenta, rotolando le pietre nei fiumi e i dirupi sottostanti. In poco tempo l’opera fu compiuta e il 3 dicembre 1649 la meraviglia architettonica era scomparsa. Rimase in piedi solo una colonna con la scritta Qui fu Castro. Era durata poco più d’un secolo.