Cultura & Società

Francesco? Un pacifico e non un pacifista

E’ toccato al vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini il compito di rappresentare il governo italiano il 4 ottobre ad Assisi. Nel suo “Messaggio agli Italiani” il presidente di An ha proposto anche una sorta di rilettura della figura di Francesco. “Sceglie la povertà ma continua ad ammirare i beni terreni, e da vero operatore di pace – è la puntualizzazione di Fini – considera la pace non un fine ma un mezzo a servizio del bene comune”. Poi, con un evidente riferimento all’attualità, il vicepremier puntualizza che il santo di Assisi “non condannò mai l’uso delle armi per legittima difesa”, mentre la regola francescana “proibì l’aggressione armata”, e ricorda che terziario francescano era anche un capo militare come Giovanni di Brien. Quasi a confutare i ritratti di un Francesco “rivoluzionario”, Fini tiene a sottolineare che “il santo, grande riformatore sociale del suo tempo, non istigò mai alla rivolta sociale né aizzò l’invidia dei deboli contro i potenti, né predicò la lotta di classe, tenendo con i potenti un atteggiamento di sano realismo”. Abbiamo chiesto di commentare queste dichiarazioni al prof. Franco Cardini, docente di Storia medievale all’Università di Firenze e autore di una biografia del Santo.

di Andrea FagioliProfessor Cardini ha voglia di commentare il discorso di Gianfranco Fini ad Assisi?

«Le sue intenzioni politiche non le condivido perché mirano a salvare l’anima all’intervento italiano in Iraq, ma storicamente il discorso è corretto».

Chi meglio di Franco Cardini, storico stimato, autore di una delle più belle biografie di San Francesco e, almeno fino a qualche tempo fa, con dichiarate simpatie per il partito dello stesso Fini, può commentare il discorso del vicepresidente del Consiglio per cui Francesco non condannò mai la legittima difesa e non dissuase mai dal portare armi e difendere deboli e umili?

«Francesco – spiega Cardini – ha un atteggiamento molto preciso che dipende da due presupposti, che sono altrettanto precisi: l’obbedienza e la pace. Il primo atteggiamento significa che in un mondo come quello del XIII secolo in cui la Chiesa ribadisce la legittimità dell’uso delle ami secondo giustizia, Francesco non può pensarla diversamente. Bisogna per questo rifarsi al concetto agostiniano di guerra legittima sottolineando che Agostino non parla mai di guerra giusta, che vorrebbe dire guerra fatta da chi ha ragione. Agostino dice che si possono prendere le armi per difendere il proprio paese o anche perché un principe legittimo ce lo ordina. Il soldato che va alla guerra non fa peccato. Diverso è il discorso del purificarsi dopo aver ucciso, ovvero di chi sente il bisogno di confessarsi perché ha sparato addosso al nemico. L’andare in guerra è dunque legittimo ma quando ci si è bisogna comportarsi da cristiani. C’è un bellissimo diario di un cappellano militare austroungarico della prima guerra mondiale che dice ai suoi soldati: “Badate che voi non dovete sperare di cavarvela con così poco facendo i buoni cristiani non sparando sul nemico perché Dio non vi chiede di non uccidere, vi chiede qualcosa di molto più difficile: vi chiede di non odiare”. La Chiesa non ha mai derogato dal V secolo in poi che è legittima la guerra giusta, quindi quella che noi potremmo definire la guerra di difesa. Certo, poi, bisogna stare attenti al concetto di difesa perché anche Bush ritiene di aver fatto la guerra all’Iraq in quanto forma di difesa preventiva e ha trovato anche qualche teologo cattolico che gli ha dato ragione, per fortuna pochi».

Torniamo a Francesco. Dell’obbedienza si è detto. Resta il secondo presupposto: la pace.

«Restando nel tema storico e canonistico, bisogna dire che Francesco rifugge dall’uso delle armi indipendentemente dalla sua volontà, che è senza dubbio la volontà di un uomo mite, di un uomo pacifico. Essendo diacono, tra l’altro, lui le armi non le poteva portare ed è anche chiaro che chiede anche ai suoi frati di non portarle, ma non perché, come si direbbe oggi, sono pacifisti, ma semplicemente perché il frate minore rinunzia a qualsiasi tipo di potere e quindi alla ricchezza, che è un potere, alla sapienza, che è un altro potere. Su questo Francesco era molto rigoroso: qualunque forma di potere doveva essere evitata, a cominciare dal potere delle armi».

Allora, la vera distinzione sta tra il concetto di pacifico e quello più moderno di pacifista.

«La profonda vocazione pacifica di Francesco consiste nel fatto che l’amore e la pace sono al centro della sua vocazione. Si pensi all’augurio di “pace e bene”. Francesco si impegna per portare la pace nella sua società, che allora voleva principalmente dire risolvere i problemi legati al principio della vendetta, che era giuridicamente accettata all’interno della società cristiana. Se dunque la pace è il principale ideale francescano ciò non significa che sia un ideale eversivo rispetto alle posizioni del tempo, ovvero non nega gli aspetti di guerra legittima che la Chiesa riteneva tali».