Cultura & Società

Gian Franco Corsi, in arte Zeffirelli

Potremmo iniziare con le credenziali artistiche, con le luci di una carriera internazionale, con i film, le opere liriche, il teatro. E invece ci piace ricordare che, a causa di un errore di trascrizione dell’anagrafe, il cognome Zeffiretti diventò Zeffirelli e che il cognome Zeffirelli al mondo l’ha avuto soltanto lui. Questo tanto per dire che, fin dall’inizio, c’era del materiale che poteva indurre a pensare a un personaggio unico.

Ora che se n’è andato a 96 anni, suscitando emozione in tutto il mondo, Franco Zeffirelli ci consente qualche riflessione sentita e sincera che di certo non gli toglierà il posto artistico che si è pazientemente costruito e che, dal teatro al cinema, ha reso il suo nome molto noto nei cinque continenti. Come lui soleva dire, non avrebbe mai potuto scegliere tra cinema e teatro, due figli amati con lo stesso amore e impossibili da abbandonare.

Al principio della sua carriera, d’altronde, fu assistente di Luchino Visconti sia in teatro (scenografo per Troilo e Cressida) sia in cinema (assistente alla regia in La terra trema e Senso).  Le due forme di spettacolo, quindi, lo chiamavano con uguale intensità. L’esordio alla regia fu in teatro, nel 1954, con La Cenerentola di Rossini e L’elisir d’amore di Donizetti messe in scena al Teatro alla Scala.

Per il cinema dovette attendere il 1957, quando diresse Camping con Nino Manfredi. Ma era una commedia leggera come andavano all’epoca, non esattamente nelle sue corde artistiche. Diciamo che l’esordio vero e proprio avvenne nel 1967 con La bisbetica domata, tratto dalla commedia di Shakespeare e interpretato da Richard Burton ed Elizabeth Taylor. Il che ci porta a una considerazione: forse era proprio il teatro il luogo nel quale Zeffirelli si muoveva con maggior sicurezza e competenza, anche quando come regista cinematografico metteva mano a classici come Romeo e Giulietta (1968), La traviata (1983) e Amleto (1990).

Certo, ci sono opere importanti dal forte contenuto spirituale come Fratello Sole Sorella Luna (1972) e Gesù di Nazareth (1977) , ma ci sono anche episodi interlocutori senza particolari memorabili come Il campione (1979), Amore senza fine (1981), Il giovane Toscanini (1988), Storia di una capinera (1993) e Callas Forever (2002). E poi c’è Un tè con Mussolini (1999),  nel quale Zeffirelli rievoca la propria adolescenza fiorentina e che contiene un episodio illuminante a proposito della sua vocazione di grande illustratore un po’ sconnesso dalla realtà: quando, per sfuggire ai nazisti, il giovane lascia Firenze in bicicletta dirigendosi verso San Gimignano, all’apparire della cittadina si ferma sulla salita ed esclama: “La città dalle cento torri!”. Cioè, una verità indiscutibile proclamata nel momento meno appropriato.

In teatro questi rischi non li correva a poteva dare libero sfogo al proprio talento scenografico circondandosi di grandi cantanti (Maria Callas e Placido Domingo, tanto per dire) e di attori importanti (Giorgio Albertazzi, Valentina Cortese, Rossella Falk, Anna Magnani, Laurence Olivier). La differenza tra cinema e teatro, purtroppo, è che il primo è quasi sempre reperibile in formati diversi, mentre del secondo restano i ricordi.

Per questo motivo consigliamo una visita alla Fondazione Zeffirelli situata a Firenze, in Piazza San Firenze: materiali di scena, costumi, filmati, scritti, fotografie possono dare di Zeffirelli un’immagine più veritiera e in un certo senso circoscritta alla sua parte migliore. Forse ci ha lasciati un grande talento italiano, ma preferiamo pensare a tutto quello che ci ha lasciato e che non ce lo farà dimenticare.