Cultura & Società

Giussani, padre non solo per Cl

di Marco Lapi«Finché era in vita, don Giussani è stato soprattutto il fondatore di Cl. La sua morte l’ha donato a tutti, è come se avesse svelato che la sua persona è stata un dono per tutti. Certamente noi che ne siamo figli siamo i primi a sentire la sua paternità, ma anche i primi a sentire che la sua paternità non ha i confini del movimento. Come ha detto anche il cardinale Antonelli e come ha dimostrato la stessa lettera inviata da Benedetto XVI al successore, don Julián Carrón, don Giussani è un dono non solo per noi che più da vicino lo abbiamo seguito in questi anni, ma per tutta la Chiesa e per tutto il mondo».

Mariella Carlotti – una dei responsabili toscani di Cl, nonché insegnante di Lettere in una scuola media superiore di Prato – si dice sorpresa anche dell’enorme mole di articoli apparsi in occasione del primo anniversario della morte del sacerdote brianzolo che nel 1954 con alcuni alunni del liceo Berchet, dove insegnava religione, dette vita a Gioventù Studentesca, movimento che quindici anni dopo avrebbe assunto il nome di Comunione e Liberazione. Un’attenzione, sia da parte del mondo laico che della stessa Chiesa, forse addirittura superiore a quella di un anno fa.

A Firenze, ad esempio, è stato impressionante il numero di partecipanti alla Messa celebrata la sera di mercoledì 22 febbraio alla Santissima Annunziata e presieduta dall’arcivescovo, che durante l’omelia si è espresso nei termini ricordati dalla professoressa. E così è avvenuto praticamente in tutte le diocesi, ma altrettanto grande è stata la partecipazione alla numerose presentazioni del libro Il rischio educativo, opera del «Gius» – come lo chiamavano i suoi – risalente a una trentina d’anni fa ma recentemente ristampata da Rizzoli e rilanciata dal movimento. Nel capoluogo toscano l’evento è quasi coinciso con l’anniversario della morte e sabato 25 oltre mille persone hanno affollato l’auditorium del Palazzo dei Congressi per ascoltare le parole di Andrea Simoncini, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Macerata, e Carlo Wolfsgruber, rettore dell’Istituto San Tommaso Moro di Milano e amico di Giussani per quasi 50 anni. Tutto iniziò quando Wolfsgruber, giovane studente del Berchet – liceo decisamente laico, come ha ricordato nel suo intervento – rimase colpito da quanto disse quel prete nella prima ora di lezione di una materia di cui, essendo di famiglia non cristiana e con nessun interesse religioso, solo per un intoppo burocratico non aveva fatto in tempo a chiedere l’esenzione: «Non voglio persuadervi ma darvi un criterio, e questo criterio è in ciascuno di noi: è la vostra esperienza elementare, quel complesso originale di evidenze e di esigenze di bellezza, di bene, di verità che è la dote che ciascuno riceve dalla natura per entrare nell’agone della vita».

«Mandateci in giro nudi ma non toglieteci la possibilità di educare», esclamò lo stesso Giussani nel corso di una conferenza sul suo libro risalente al 1985 e oggi riproposta in un dvd allegato al numero di febbraio della rivista Tracce, organo ufficiale del movimento: a tal punto, infatti, considerava essenziale la questione. Ma perché parlare di rischio? «Per don Giussani – spiega Mariella Carlotti – l’educazione è il rapporto tra due libertà: di chi educa e di chi è educato. Non ama chi, con la scusa della libertà dell’altro, non gli dice ciò che sente come vero, come bene, come giusto. E questo vuol dire correre un rischio, perché può essere solo proposto e non imposto, perché la libertà di chi educa deve dialogare con la libertà di chi è educato. In questo libro don Giussani riassume tutta la dinamica educativa nella necessità che venga proposta la tradizione, una storia passata che è un’ipotesi di significato. Si tratta innanzitutto di proporre intelligentemente questa tradizione dentro cui nasciamo».

«Nel mondo attuale – prosegue la professoressa – il problema dell’educazione diventa capitale, perché chi è educato, ovvero chi ha un’identità criticamente personalizzata, è capace di dialogo con un’altra identità, mentre chi non ha un’identità conosce come unica forma di rapporto la violenza. Oggi si parla di scontro di civiltà, ma a me sembra che ci sia piuttosto uno scontro in atto tra una posizione nichilista da una parte e una posizione fondamentalista o fanatica dall’altra. Ma nichilismo scettico e fanatismo violento non sono solo due definizioni di due culture diverse; sono spartiacque che passano all’interno di ogni cultura e – come dice don Giussani nel suo libro scritto 30 anni fa e assolutamente attuale – sono le due conseguenze più drammatiche di un’assenza di educazione, cioè di un rapporto critico con la tradizione, apparentemente diversissime ma in realtà molto contigue: perché un nichilista vive una critica senza tradizione, un fanatico vive una tradizione senza critica».

Ma la preoccupazione di Giussani, grazie a Dio, non pare destinata a restare inascoltata: a partire dal suo libro, una cinquantina di personalità del mondo del giornalismo, dell’Università e della cultura, sia cattoliche che laiche e di diverso orientamento ideale e politico, hanno recentemente promosso un appello dal titolo «Se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio». «Sta accadendo – si legge tra l’altro nel testo – una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli».

E ancora: «È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere». E proprio Il rischio educativo viene proposto come strada per uscire dall’emergenza, assieme all’invito a tutti a sottoscrivere il documento, scaricabile dal sito www.appelloeducazione.it.