Cultura & Società

I Bagatti, frati e fratelli geniali

di Sabina FerioliEssere in Terra Santa «per ricordare padre Bellarmino Bagatti, uno dei principali archeologi e studiosi delle origini del cristianesimo, assume un significato speciale in un momento così drammatico». Giacomo Conti, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, spiega così il senso della visita in Terra Santa, di ritorno da un pellegrinaggio che ha toccato Betlemme, Nazareth e Gerusalemme. Erano due anni che in Palestina non arrivavano stranieri. Oltre ai tanti morti, registrati pressoché quotidianamente dalle cronache, la guerra significa anche questo: un’assenza totale di visitatori, una sorta di «embargo del turismo» che sta mettendo in ginocchio la popolazione locale.

«Abbiamo intrapreso questo cammino per riportare un po’ di ottimismo e un messaggio di pace in una terra martoriata dalla guerra – sottolinea Conti –. Siamo orgogliosi di averlo fatto nel nome di un grande uomo e di un grande cristiano». In effetti è stato proprio «Un uomo di pace. Bellarmino Bagatti», il libro appena pubblicato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, a spingere una delegazione toscana in Terra Santa.

Dal 5 all’11 novembre settanta pellegrini delle diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza e di San Miniato guidate dai vescovi. Rodolfo Cetoloni, Edoardo Ricci e Vasco Bertelli hanno portato il loro messaggio di pace. Una presenza che ha immediatamente assunto i connotati dell’evento, ripreso dalle televisioni locali, rilanciato dalle radio e commentato dai quotidiani.

Prima tappa Nazareth, dove padre Bellarmino Bagatti scoprì la casa di Maria, proprio dove adesso sorge la basilica dell’Annunciazione. Tutto il pellegrinaggio ha confermato l’importanza del lavoro di padre Bagatti: i suoi scavi diffusi su tutto il territorio hanno dato validità e certezza storica ad alcune tradizioni cristiane rispetto ai luoghi del Vangelo, hanno dimostrato l’esistenza di una chiesa giudeo-cristiana in Palestina, nata con Cristo e gli Apostoli, prima quindi del IV secolo e dell’imperatore Costantino.A Gerusalemme, dove padre Bagatti riposa, la presentazione ufficiale del libro alla presenza dei confratelli custodi della Terra Santa. «Padre Bagatti si considerava un modesto studioso e un missionario – ha detto nell’occasione il sindaco di San Miniato Angelo Frosini – propongo che sul modello della sua figura il nostro Comune e quello di Betlemme stringano un patto di amicizia attraverso una serie di scambi culturali e di cooperazioni, per rafforzare una comune identità e piantare un ramoscello di pace». Il pellegrinaggio ha confermato ancora una volta il ruolo fondamentale svolto dalla comunità francescana.

«La nostra scuola di Betlemme – ha spiegato monsignor Cetoloni – ospita quasi duemila bambini e presto, accanto all’istituto, sarà operativa la nuova grande struttura sede di un centro sportivo, un teatro, un anfiteatro, un punto informazione turistica e un museo della cultura palestinese». Felice padre Ibrahim Faltas, direttore della scuola e rappresentante dello status quo della basilica della Natività. «Si tratta di un’opera molto importante per la città – ha detto – in particolare per i ragazzi che non hanno punti di ritrovo. Una risorsa fondamentale anche per l’economia di Betlemme dove il turismo dava lavoro all’85% della popolazione. Per questo chiediamo a tutti uno sforzo per incoraggiare i pellegrini a tornare in Terra Santa. Prego anche voi, al rientro in Italia, di farvi portatori di questo importante messaggio».

Parla la nipote:«Quei miei zii davvero speciali»Al pellegrinaggio in Terra Santa ha partecipato anche Corinna Bagatti, nipote di padre Bellarmino Bagatti. Un’occasione per conoscere qualche aspetto in più dell’uomo, ma anche per parlare di un altro Bagatti, lo zio Giosuè, fratello minore di Bellarmino, anche lui frate francescano.

È stata fortunata ad avere degli zii così particolari.

«In realtà da piccola pensavo di essere nata in una famiglia un po’ strana, tutti e tre i miei zii religiosi (anche Niccolo era un sacerdote), uno archeologo in Palestina. La cosa che ho sempre apprezzato è stata quella di non avere, per questo, mai dovuto subire condizionamenti di nessun tipo nella mia vita. Ho imparato ad apprezzare e capire la vocazione dei miei zii, la loro profonda fede con il tempo, con i miei tempi».

Che persone erano, cosa ricorda di loro?

«Giosuè era un allegrone, sempre pronto alla battuta; a Viareggio, dove viveva, era sempre circondato da ragazzi, dagli scout. Era un artista, un bravo pittore, ha dipinto tutti i ritratti di famiglia, ha fatto dei bellissimi quadri ad olio e alcuni affreschi come quello di Galceti. Ci teneva molto a raccontare il Vangelo, a fare catechesi attraverso l’arte, i suoi lavori erano “condensati teologici”. Sapeva anche scolpire, nella chiesetta del vecchio ospedale di Viareggio ci sono sue opere in ferro battuto molto belle».

Anche suo zio Bellarmino disegnava…

«Sì, ma non penso abbia mai realizzato dei quadri, i suoi erano piuttosto studi, disegni fatti a matita, sul cartoncino. Bellarmino apprezzava molto l’arte di suo fratello, ha scritto un libro in cui ha raccolto tutti i lavori di Giosuè e una volta ha anche organizzato una mostra dedicata a lui nel convento di Viareggio. Era una persona molto amata Giosuè, a dieci anni dalla sua scomparsa lo hanno ricordato a Viareggio con una bellissima cerimonia».

Che ricordo ha invece di suo zio Bellarmino e del suo lavoro in Palestina?

«Anche lui era molto solare, appassionatissimo del suo lavoro. Ricordo che ci raccontava delle sue scoperte, dei suoi scavi anche più difficili, con una leggerezza e una semplicità impressionanti. Quando tornava in Italia e veniva a trovarci raccontava se glielo chiedevi, rispondeva alle domande che gli venivano rivolte, non si vantava, ma era entusiasta quando illustrava le prove della veridicità delle sue scoperte».

Che effetto le ha fatto partecipare a questo pellegrinaggio?

«Questo viaggio è stato per me ricco di emozioni, era la prima volta che andavo in Terra Santa. Una volta arrivata mi sono accorta di conoscerla attraverso gli occhi dello zio, visitando i suoi scavi a volte mi sembrava di vederlo lavorare nel suo saio. È stato importante e commovente per me sentirlo raccontare dalle persone che lo avevano incontrato: i confratelli, le suore dell’ospedale di Betlemme, padre Rodolfo Cetoloni e tutti gli altri. Il libro a lui dedicato mette in evidenza non solo il valore scientifico delle sue scoperte archeologiche, ma anche la sua ricerca sulle origini comuni dei cristiani da cui forse si potrebbe partire per ricostruire la pace in questa terra martoriata».

Giosuè, il frate pittoredi Giovanni BensiCento anni fa, il 29 novembre del 1902, Giosuè Bagatti nacque a Perignano di Pisa ed ebbe il nome di Giovanni Battista che mutò al momento del suo ingresso nell’Ordine Francescano alla Verna. Nel 1926 fu ordinato sacerdote. Seguendo il suo temperamento d’artista si dedicò alla pittura sotto la direzione del pittore fiorentino Baccio M. Bacci. Ornò chiese ed altari con composizioni storico-religiose e liturgiche, preparò scenari teatrali e ornamentali, finché la guerra non gli distrusse lo studio nel convento di Viareggio. Nominato nel 1932 vicerettore del Collegio Serafico di Galceti, su suggerimento del Guardiano padre Cecilio Poggi si accinse a dipingere nella chiesa conventuale alcuni episodi della vita di S. Francesco. Iniziò quindi la sua opera maggiore, che si estese poi ad altri luoghi del convento come il refettorio, la cappella interna del Collegio, il tabernacolo esterno di S. Antonio. La chiesa di Galceti si prestava ad un’opera di grande dimensione per le pareti divise in scansioni, tre per parte. Il padre Giosuè vi dipinse: la predica di S. Francesco al Sultano, l’approvazione della Regola Francescana, il bacio al lebbroso, il presepio di Greccio, l’istituzione del III Ordine, le Stimmate sul monte Verna. Nella grande parete della controfacciata volle rappresentare la Morte e Glorificazione di S. Francesco. Una particolarità di queste pitture è data dal fatto che i personaggi sono quasi tutti ritratti di frati e di persone del luogo. Nella glorificazione di S. Francesco sono rappresentati Pio XI e Benito Mussolini come capo del governo italiano. Questa pittura, che aveva il suo valore storico, e quella del Bacio al Lebbroso sono definitivamente scomparse per la cattiva situazione delle pareti. È da notare che la scena della glorificazione di S. Francesco seguiva le solenni celebrazioni del VII centenario della morte del Santo, che erano state esaltate sia dall’enciclica di Pio XI «Rite expiatis» nella quale il Pontefice invocava dal Santo «dovizia di benefici», sia dal messaggio del Capo del Governo (Mussolini) che giudicava S. Francesco «il più santo degli italiani».Ecco come il P. Giosuè, scrivendo al fratello padre Bellarmino, anch’egli religioso francescano e a suo tempo allievo del Bacci, intende e commenta la sua opera: «Il quadro sarà come diviso in due da alcune nuvolette. In alto, sopra l’occhio, l’Eterno Padre che accoglie l’anima di S. Francesco dipinta nel rosone, il quale è come portato dagli angeli mentre altri angeli cantando e suonando gli fanno corona. In basso la scena della morte; nel centro: S. Francesco morto e disteso sopra il letticciolo; i frati piangenti e cantanti; frate Jacopa col seguito; nel mezzo, come affacciate ad una finestra inferriata, suora Chiara e compagne. Poi da una parte a questa scena un trono e seduto sul trono Pio XI che guarda la scena (quindi il papa di profilo o quasi) e sotto il pezzo più saliente dell’enciclica sul VII centenario della morte; dall’altra parte ritto Mussolini vestito da capo del governo che guarda la scena (quindi anche lui di profilo o quasi) e sotto un pezzo del messaggio». (Da notare che nella scena è ritratto anche il padre Bellarmino nel frate che regge i piedi al Santo). Il fratello Bellarmino così commenta la scelta di Fra Giosuè: «Alla distanza, ormai di molti anni, dopo tanti fatti sanguinosi successi in Italia, molti si meravigliano che il pittore abbia rappresentato Mussolini in chiesa ma egli, oltre ad avere davanti a sé la tradizione pittorica delle due autorità, pensava a S. Francesco. Egli infatti riuscì a mettere d’accordo il vescovo ed il potestà di Assisi che si facevano lotta per cose futili e P. Giosuè vedeva rinnovellato in questi anni francescani un accordo di più larghe dimensioni».

Era quello il periodo in cui dopo il Concordato, affioravano motivi di contrasto fra la Chiesa e Mussolini a causa dello scioglimento da parte del Governo delle Associazioni Cattoliche Giovanili. Nella visione di Padre Giosuè le due autorità civile e religiosa dovevano collaborare per il bene sociale nella strada intrapresa dal Concordato e i due documenti su S. Francesco, quello religioso e quello civile, gliene davano la speranza. Di questa grandiosa scena rimane soltanto una foto in bianco e nero, che è già significativa del valore pittorico e della forza narrativa dell’autore. Di particolare bellezza è la scena delle Stimmate, dove S. Francesco in piedi sul sasso della Verna, sembra volare sul mondo, che aveva esaltato ringraziando il Creatore nel suo Cantico delle Creature. Tutte le scene comunque sono un’esaltazione del francescanesimo, che egli visse in modo pieno e convinto.

Le pitture nella chiesa di Galceti terminarono nel 1934. Passò poi a dipingere l’ampia cappella interna del Collegio, rappresentando il presepio e molte figure di Santi francescani. Nel refettorio conventuale dipinse il miracolo dei pani e dei pesci.

Egli ha lasciato quindi a Prato un ciclo di pitture significative della prima metà del Novecento. Altre sue opere si trovano a Fiesole, Figline Valdarno, S. Francesco a Firenze, Sargiano, Ponte a Egola, Calci, Viareggio, Pisa.Giosuè Bagatti fu anche scrittore: parafrasò soggetti liturgici latini per adattarli al canto, compose poesie ed operette rappresentate più volte. Una personalità completa che seppe unire l’ideale francescano con lo spirito di artista. L’Associazione Corale S. Francesco di Galceti intende prossimamente commemorarlo con opportune iniziative nel centenario della nascita.