Cultura & Società

Il Bambino dei Padri

di Elena GiannarelliNella Chiesa antica alla Pasqua, la festa più importante dell’anno liturgico, si affiancava l’Epifania. Il 6 gennaio si celebrava il mistero della manifestazione di Cristo nella carne: il sostantivo greco epifàneia significa appunto «apparizione». In quella data si faceva memoria della nascita del Signore e del suo primo apparire alle genti, del battesimo nel Giordano e del miracolo di Cana.

Fu nell’arco di quattro secoli (I-IV d.C.) che questi differenti momenti della vita del Salvatore giunsero ad avere celebrazioni differenziate. Il Natale ebbe problemi ad affermarsi. In un primo tempo – e ce lo testimonia il vescovo Ottato di Milevi – il 25 dicembre segnò il ricordo dell’adorazione dei magi e della strage degli Innocenti. E solo nel Commento a Daniele IV, 23 di Ippolito (III secolo) che questa data compare come giorno della nascita di Gesù, ma si tratta di un passo sospetto di interpolazione. È con la Depositio martyrum del 336 che la festa cristiana risulta fissata in Occidente e prende nei calendari il posto della festività pagana del Sol invictus, cara agli ultimi imperatori legati al culto degli dei. Gli stessi sovrani presentavano se stessi come incarnazioni del sole, che dall’esegesi cristiana invece viene presentato come simbolo di Cristo. Questi nasce da Est, illumina il mondo, mette in fuga le tenebre, porta la vita, proprio come l’astro.

In Oriente, la festa solenne del Natale si stabilizzò nel IV secolo e fu il vescovo-teologo-poeta Gregorio di Nazianzo a celebrarla a Costantinopoli nel 380.

Cosa dicevano i Padri della Chiesa ai loro fedeli in quella occasione? Quali riflessioni proponevano? A distanza di tanti secoli le loro parole conservano un senso anche per noi, per quanto la nostra conoscenza della Scrittura sia, purtroppo, molto inferiore a quella dei meno colti fra i cristiani di allora. Ecco una mini-antologia, che inizia proprio con un frammento dalla Omelia 38 di Gregorio di Nazianzo: «Questo noi oggi celebriamo: l’avvento di Dio presso gli uomini, affinché a nostra volta noi andiamo presso Dio, o – come è più giusto dire – risaliamo presso di Lui; affinché deponiamo l’uomo vecchio ed indossiamo il nuovo e come tutti siamo morti in Adamo, così viviamo in Cristo, nascendo ed essendo crocifissi ed essendo sepolti e resuscitando insieme con Lui». Risultano qui evidenti echi da san Paolo, a cui si devono la contrapposizione fra uomo vecchio e uomo nuovo, simboleggiati da Adamo e Cristo: questa appare essere uno sviluppo del contrasto evangelico fra morte e vita.

Gregorio di Nissa, amico del Nazianzeno e fratello di san Basilio, nella sua Orazione sulla nascita di Cristo, sposta l’attenzione sull’Antico Testamento, sulle profezie di Isaia e sull’episodio del roveto ardente di Mosé (Es 3,1ss.). Ascolta l’acclamazione di Isaia: Ci è nato un fanciullo, ci è stato donato un figlio! (Is 9,6). Impara dal profeta stesso come ciò sia potuto accadere. Forse secondo la legge di natura? Niente affatto, risponde il profeta: non obbedisce, infatti, alle leggi di natura colui che della natura è Signore. In che modo allora, rispondi, ci è stato donato questo figlio? Ecco, replica il profeta, una vergine concepirà e partorirà un figlio cui sarà posto il nome di Emmanuele (Is 7,14) che significa «Dio con noi» (Mt 1,23). O evento mirabile: una vergine diventa madre, rimanendo vergine. Considera il nuovo ordine della natura…. Conveniva infatti che colui che faceva il suo ingresso nella vita umana per la salvezza degli uomini integri ed incorrotti, prendesse origine da un’integrità assoluta e dedita a lui senza riserve; ora, gli uomini chiamano abitualmente «incorrotta» una donna che non abbia avuto alcuna unione carnale. A me pare che il grande Mosé abbia conosciuto anzitempo questo avvenimento, attraverso la luce nella quale gli apparve Dio allorché, mentre il roveto ardeva di fuoco, le sue spine, tuttavia, non si consumavano…. Allo stesso modo come infatti il roveto,benché arso dal fuoco, non si consumò, parimenti la Vergine, pur generando la luce, non si corruppe».

E per finire non possono mancare le parole di Agostino, tratte dal Sermone 184, tenuto il 25 dicembre 411 o 412, parole che a distanza di tanti secoli sono ancora capaci di svelarci il senso profondo di quella che può essere definita la festa di ciascuno: «Celebriamo dunque il Natale del Signore con il dovuto concorso e solennità. Si rallegrino gli uomini, si rallegrino le donne; Cristo è nato uomo, da una donna è nato, ed entrambi i sessi sono stati onorati… Rallegratevi voi giovani santi che avete scelto di seguire Cristo in modo particolare, voi che non avete scelto il matrimonio… Rallegratevi voi sante vergini: una vergine vi ha generato chi potete sposare senza corruzione… Rallegratevi voi giusti: è il Natale di colui che giustifica. Rallegratevi voi deboli e malati: è il Natale del Salvatore. Rallegratevi voi prigionieri: è il Natale del Redentore. Rallegratevi voi schiavi: è il Natale del dominatore. Rallegratevi voi liberi: è il Natale del liberatore. Rallegratevi voi cristiani tutti: è il Natale di Cristo».