Cultura & Società

Il David di Michelangelo? Sulla cupola del Duomo

di Timothy VerdonDirettore dell’Ufficio dell’Arte Sacra e dei Beni Culturali Ecclesiastici dell’Arcidiocesi di Firenze

Il 12 novembre il David di Michelangelo torna nella posizione per cui l’artista lo scolpì: uno sprone del duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore, dalla parte di Via de’ Servi. Non sarà, ovviamente, l’originale marmoreo, che resterà al posto che occupa dal 1873 nella Galleria dell’Accademia, bensì una copia in vetroresina che – nel quadro degli eventi organizzati per Florens 2010, la Settimana Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali (www.florens2010.com) – verrà allestita prima su uno sprone del transetto nord della cattedrale (12 novembre), poi sul sagrato (13 novembre), davanti al Museo dell’Opera (14 novembre) e infine in Piazza della Signoria, dove venne effettivamente collocato nel 1504.

L’opera, commissionata al ventiseienne Buonarroti nel 1501 per la cattedrale e scolpita nel cortile dell’attuale Museo dell’Opera, venne «dirottata» a Palazzo della Signoria poco prima dell’ultimazione, all’inizio del 1504. Viso qualiter statua seu David est quasi finita, et desiderantes eam locare et eidem dare locum conmodum et congruum… («visto che la statua o David è quasi finita, e desiderando attribuirle una collocazione e darle un luogo facilmente accessibile e adatto») ai componenti di una commissione convocata dall’Opera di Santa Maria del Fiore il 25 gennaio del 1503 more florentino (1504 nell’uso comune) discussero a lungo sulla possibilità di mutare la destinazione del capolavoro, decidendo finalmente per la posizione accanto all’ingresso del palazzo comunale dove oggi vediamo la copia realizzata nel 1882. Fu la particolare situazione politica di Firenze nel 1504 che spinse a valorizzare il David in senso civico, trasformando l’eroe biblico in un simbolo della libertas repubblicana allora minacciata da più parti.

Ma per Michelangelo, sia nella fase concettuale sia per quasi tutto il corso della realizzazione dell’opera, il David era un personaggio religioso: il re-pastore d’Israele che desiderava costruire a Gerusalemme il tempio (2Sam7,1-2) materialmente eretto poi dal suo figlio Salomone (1Re5,15-6,36); l’antenato di Gesù, il cui corpo risorto è dai cristiani considerato il nuovo tempio di quanti adorano il Padre in spirito e verità (Gv2,19-23; 4,23). Gesù infatti proveniva «dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide» (Gv7,42) e accettava il titolo «Figlio di Davide» (Mt9,27; 20,30; 21,9), ricordando a chi glielo attribuiva che il rapporto tra l’antico re e il futuro Messia era tuttavia complesso, perché Davide, mosso dallo Spirito, chiama questi suo Signore (Mt22,43). La statua era pensata originalmente come parte di un programma di grandi statue per gli sproni dei transetti e dell’abside del Duomo già avviato nel 1410, poco dopo l’ultimazione delle stesse tribune e almeno 8 anni prima dell’inizio dei lavori per la cupola. La prima di queste – come ha rilevato Charles Seymour in un importante saggio del 1967, Michelangelo’s David. A Search for Identità – era un Giosué almeno tre volte grandezza naturale, eseguito da Donatello e collocato sulla tribune nord, cioè verso Via de’ Servi, dove rimase almeno fino al ‘600, quando l’incisore francese Israel Silvestre lo documenta in quella posizione.

Simili programmi di statue a tutto tondo lungo la sagoma superiore delle cattedrali erano comuni alla fine del Medioevo, e già negli anni 1360 l’immagine dell’erigendo duomo fiorentino nell’affresco di Andrea di Bonaiuto, nella Sala Capitolare di Santa Maria Novella, prospetta questa soluzione. I personaggi evocati da queste serie di statue erano normalmente veterotestamentari e rappresentavano, all’esterno della chiesa, gli antenati e annunciatori ebraici del Salvatore. Tale specificità biblica sembra qualche volta aver ceduto però a una lettura più ampia, di tipo antropologico: in un documento del 1412, ad esempio, il Giosué donatelliano viene denominato «homo magnus et albus», come nel 1502 il Davide in corso di realizzazione è chiamato «homo ex marmore»; del resto, Cristo stesso era noto anche come il «Figlio dell’uomo». Più curioso il progetto elaborato qualche anno dopo, nel 1415, di includere nella serie di statue una figura di Ercole, venerato patrono della Toscana precristiana insieme a Marte; fu fatto un modello ma la statua stessa non venne realizzata.

Il Giosué donatelliano era di terracotta dipinta bianca – una scelta dovuta ai problemi tecnici legati al peso del marmo. L’Ercole invece – come l’antico Colosso di Rodi – doveva consistere in un’anima di macigno rivestito di lastre metalliche dorate: tecnica, questa, successivamente usata da Donatello per il San Lodovico di Tolosa commissionata per Orsanmichele.

Ma la storia di questa serie di statue per il Duomo è ancora più complessa. Anche il marmoreo Davide donatelliano oggi al Bargello, databile al 1409, era probabilmente destinato a uno sprone della cattedrale; sarebbe stata l’inadeguatezza di scala di questa a spingere l’Opera a chiedere una figura colossale, il Giosué, nel 1410. Una seconda statua di Davide è menzionata nei documenti nel 1412, da fare da Donatello, ma non fu mai realizzata. Così, però, tra il 1409 e il 1415, ci furono quattro tentativi di avviare il programma di grandi statue per gli sproni.

Il programma viene riattivato nel 1463, con la commissione a Agostino di Duccio per un colossale Ercole di terracotta, forse sul modello donatelliano risalente al 1415; fu realizzato e montato sulla tribune sud nel 1464, dove fu visto dal medico di Donatello, Giovanni Chellini. Nello stesso anno, 1464,  venne allora commissionata al medesimo  Agostino una statua in marmo, originalmente intesa come fatta in 4 parti; anche in questo caso Agostino doveva forse solo eseguire una statua concepita dal vecchio Donatello, tornato a Firenze nel 1461 e allora occupato ai «pulpiti» di San Lorenzo. Poco dopo la morte di Donatello a metà dicembre del 1466 venne infatti disdetto il contratto con  Agostino di Duccio, senza querelle da parte sua – come se fosse evidente sin dall’inizio che questo scultore dovesse funzionare solo come l’esecutore di un’idea del vecchio maestro. Il marmo iniziato da Agostino rimase nella bottega dell’Opera fino a 1501, quando Michelangelo prese in mano il blocco per il suo colosso.

Chi era allora questo personaggio per Michelangelo? L’eroe biblico che sfidò Golia? L’antico protettore pagano di Firenze Ercole? O  la raffigurazione eroica dell’uomo tout court, una traduzione plastica del De hominis dignitate di Pico della Mirandola? Ciò che sappiamo della cultura del Buonarroti invita a immaginare una sintesi di queste tre letture, a cui dobbiamo forse aggiungere un elemento personale, come sottolineava Seymour. Consapevole di lavorare su un blocco iniziato molti anni prima da un alunno di Donatello e sotto la guida del vecchio maestro, Michelangelo infatti sembra essersi identificato personalmente con il giovane Davide chiamato a sconfiggere un gigante: in un foglio autografo conservato a Parigi dove l’artista abbozza una versione del Davide di bronzo del Donatello e, accanto a questa, il braccio destro del Davide suo, troviamo, nella calligrafia del Buonarroti, le parole: «Davicte cholla fromba/ e io chollarco/ Michelagniolo» (Louvre 714, recto). Il senso sarebbe: «Ciò che Davide ha fatto con la fionda, io, Michelangelo,  farò con l’arco», ossia col trapano da scultore.

Era però la originale destinazione religiosa dell’opera a suggerire l’armoniosa interpenetrazione di queste idee. Umanisti credenti quale il canonico di Santa Maria del Fiore Marsilio Ficino scorgevano nel paganesimo antico riflessi chiari e leggibili anticipazioni della veritas christiana, e la stessa tradizione  ecclesiastica invitava sia a letture antropologiche in senso lato, sia all’immedesimazione «autobiografica» con i personaggi esemplari della storia della salvezza. Nel giovane Davide che, con l’aiuto di Jahvé e a rischio della propria vita, sconfisse il nemico del suo popolo, Michelangelo – cresciuto nella Firenze del Savonarola -  doveva poi riconoscere una prefigurazione di Cristo, difensore di ogni popolo, pienezza di ogni eroismo collettivo, meta di ogni positiva aspirazione individuale.

Il programma di Florens 2010

La collocazione di una copia in vetroresina del David di Michelangelo su uno sprone del transetto nord della Cattedrale, venerdì 12 novembre, poi sul sagrato del Duomo (sabato 13) e infine in Piazza della Signoria, dove la statua fu effettivamente collocata nel  1504. La realizzazione, nella giornata di sabato 13, di un grande prato che coprirà una parte di piazza Duomo, intorno al Battistero. Sono questi i due eventi artistici più eclatanti e più vistosi di «Florens 2010», la Settimana internazionale dei Beni culturali e ambientali che vedrà Firenze diventare, dal 12 al 20 novembre, il crocevia mondiale della riflessione sulla tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, paesaggistico, naturale. Le due istallazione artistiche richiameranno, rispettivamente, il dibattito che animò la Firenze del Cinquecento sulla collocazione dell’opera di Michelangelo e il «miracolo di San Zanobi» che nel IX secolo vide fiorire un olmo secco al passaggio della reliquia del santo vescovo di Firenze. Ma Florens 2010 non sarà limitato a questi «eventi spot»: si tratterà, ha spiegato il Presidente di Confindustria Firenze Giovanni Gentile, di «un nuovo modo di reinterpretare la tutela e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali». Convegni, laboratori, mostre e incontri vedranno coinvolto anche l’Arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori che sabato 13 novembre terrà, alle 11, una «lectio magistralis» in Battistero sul sacro nell’arte seguita da un «dialogo spirituale ed arristico» con lo scultore Mimmo Paladino.L’incontro sarà anticipato dal saluto di Anna Mitrano, Presidente dell’Opera di S. Maria del Fiore di Firenze e si concluderà con l’intervento di Cristina Acidini, Soprintendente per il patrimonio storico, artistico e per il Polo museale di Firenze che presenterà l’opera di Bernardo Poccetti «San Zanobi benedice il popolo fiorentino» per la prima volta esposto al pubblico dopo un delicato intervento di restauro.Il calendario delle iniziative è disponibile sul sito www.florens2010.com.