Cultura & Società

John Kennedy, un cattolico alla Casa Bianca

di Ennio CicaliE’ il 22 novembre 1963. Il presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy è ucciso a Dallas. Alle 12,30 il corteo di auto percorre le vie della città texana. A bordo della vettura presidenziale, alla quale è stato tolto il tettuccio antiproiettile perché è una magnifica giornata, oltre al presidente sono la moglie Jacqueline e il governatore del Texas Connally con la consorte. Improvvisamente echeggia una rapida sequenza di colpi. Tutto avviene in pochi secondi. Kennedy è colpito alla gola e alla schiena. Anche il governatore Connally è ferito. Dopo un’altra frazione di secondo Kennedy è colpito ancora alla testa, frammenti della calotta cranica sono proiettati all’indietro. Jacqueline Kennedy, nello slancio istintivo di raccogliere quei frammenti, si arrampica sul bagagliaio mentre l’auto corre verso l’ospedale. Tutto è inutile: alle 13 il presidente della «Nuova frontiera» muore. Si concludono nella tragedia i mille giorni della presidenza Kennedy. Ad ucciderlo sarebbe stato Harry Lee Oswald, in circostanze mai del tutto chiarite.

John Fitzgerald Kennedy era stato eletto presidente degli Stati Uniti nel novembre 1960, battendo il repubblicano Nixon. È il primo e finora unico cattolico che gli elettori americani abbiano mandato alla Casa Bianca ed è anche il più giovane, ha appena 43 anni.

IL suo margine di vittoria è stato davvero esiguo: ha vinto col 46,7 per cento dei suffragi mentre il suo avversario ha ottenuto il 46,6. La differenza è di soli 120 mila voti di vantaggio. Gli elettori sono stati 69 milioni. Il paese è diviso in due: ci si domanda se sarà possibile a Kennedy governare con un margine così esiguo di voti.

Cominciano così i «mille giorni» di Kennedy, il presidente della «Nuova frontiera», un appellativo derivato da un suo discorso destinato a passare alla storia: «ci troviamo oggi ai margini di una nuova frontiera – aveva detto – una frontiera degli anni ’60, una frontiera di ignote opportunità e pericoli, una frontiera di irrealizzate speranze».

Una «nuova frontiera» da conquistare, nell’educazione nazionale, nell’assistenza agli anziani, nell’aiuto economico alle nazioni sottosviluppate – Alliance for progress – nell’integrazione razziale.

L’essere cattolico costituiva un ostacolo di non poco conto, ma a chi gli chiedeva se avrebbe accettato le direttive della Chiesa nella vita pubblica Kennedy dette una risposta molto ponderata: «Se la mia Chiesa tentasse di influenzarmi in maniera indebita o in modo tale da influire negativamente sulle mie responsabilità di servitore della cosa pubblica, impegnatosi con un giuramento ad osservare la Costituzione, in tal caso risponderei che questa sarebbe un’azione indebita da parte loro, un’azione che non potrei sottoscrivere, alla quale mi opporrei: un’interferenza nel sistema politico americano… Sono peraltro convinto che non ci sarebbero mai interferenze simili».

I «mille giorni» di Kennedy sono dedicati al raggiungimento degli obiettivi alla base dell’ideologia della «Nuova frontiera». Nel 1961 crea i Peace Corps (corpi della pace) per realizzare programmi economici, educativi e sociali nei paesi sottosviluppati, che due anni dopo erano presenti in 46 paesi. Verso l’Unione sovietica alterna fermezza e disponibilità alla distensione. Promuove il rafforzamento della potenza statunitense, vara il piano Apollo per la ricerca spaziale. Dopo il fallito sbarco nella baia dei Porci all’origine della crisi dei missili decreta il blocco dei rifornimenti stranieri a Cuba. D’altra parte partecipa ai colloqui di Berlino con Krusciov nel 1962, negoziando e ratificando il trattato contro gli esprimenti nucleari nell’atmosfera.

Sul versante interno Kennedy vara programmi di assistenza sociale e per i diritti civili dei neri, facendo approvare l’integrazione in campo scolastico negli stati segregazionisti del sud.

John Kennedy possedeva lo straordinario dono di piacere. Il suo fascino – il suo carisma – agiva naturalmente su vecchi e giovani, bianchi e neri, americani e stranieri. Sono caratteristiche che hanno influenzato – e ancora influenzano – i giudizi sul suo operato. Se il trattato per la moratoria nucleare può essere considerato il suo successo più importante, il Vietnam è la prova più deludente in politica estera. Ebbe però il merito di valorizzare parole come «speranza» e «promesse», usate ancora oggi per esaltarne la gloria, per ricordare quello che fu, ma anche quello che avrebbe potuto essere. Un cammino interrotto dalle fucilate di Dallas.

Martin e Robert, destini incrociatiNel giro di pochi mesi, nel 1968, sono assassinati due uomini-simbolo della «Nuova frontiera»: Martin Luther King e Robert Kennedy.

Il 4 aprile nel Tennessee una fucilata uccide Martin L. King, uno degli esponenti della leadership nera, pastore della chiesa battista a Montgomery, premio Nobel per la pace nel 1964. La sua formazione intellettuale si è costruita attraverso diverse componenti: la dottrina sociale cristiana, la teoria della disobbedienza civile, la strategia non violenta di Gandhi, il pacifismo.

King non si propone di sovvertire l’ordine sociale: la sua lotta è nata nel sud, dove le leggi federali e lo spirito liberale ed egalitario della Costituzione americana sono ignorati e irrisi, dove vige la più rigida segregazione razziale. Il suo obiettivo è l’elevazione morale dei neri, la loro integrazione nella società bianca. È un obiettivo giuridico, legalitario, anche se deve attuarsi attraverso la disobbedienza civile (scioperi, marce, sit-in con preghiere collettive).

Il raggiungimento di questi obiettivi è ancora lontano quando una fucilata mette fine al sogno di Martin L. King.Pochi mesi dopo, nel giugno ’68, Robert Kennedy è assassinato a 43 anni da un immigrato palestinese durante un comizio elettorale. Era stato ministro della giustizia e consigliere personale del fratello John Fitzgerald. L’assassinio del fratello, nel novembre 1963, ne interrompe la carriera ma, tornato alla vita politica, diviene in breve tempo una delle figure più importanti degli Stati Uniti. Senatore dal 1964 al 1968, leader del gruppo liberal-democratico, avversa la guerra nel Vietnam.

Quando, nell’aprile ’68, si candida alla presidenza degli Stati Uniti, sono in molti a pensare che sia finalmente giunto il momento di cancellare quattro brutti anni di involuzione politica e riprendere il cammino così tragicamente interrotto a Dallas.

Ma non è possibile rimettere l’orologio della storia. I tempi sono cambiati, il mondo occidentale appare già segnato dalle tensioni e dai fermenti del ’68; l’ondata di consenso popolare che accompagna la candidatura di Robert Kennedy è assai diversa da quella che aveva segnato l’inizio della «Nuova frontiera».

Molti hanno azzardato che se RFK fosse giunto alla Casa Bianca il corso della storia sarebbe cambiato. Per questo piaceva alla gente comune, ai giovani. Sapevano che Bob affrontava gli avversari, così come i problemi, con determinazione. Per questo non piaceva a molti, a cominciare dai boss della malavita che aveva combattuto quando era ministro della Giustizia. Che non potevano permettersi un Robert Kennedy presidente. Le circostanze del suo assassinio non sono ancora molto chiare. È una storia che molti hanno affrontato e che presenta molti lati oscuri.