Cultura & Società

LIVORNO, DOMENICA 26 NOVEMBRE VERRA’ COLLOCATO IN CATTEDRALE IL CRISTO DEL BEATO ANGELICO

Domenica 26 novembre – nella festa liturgica di Cristo re – sarà finalmente visibile il “Cristo coronato di spine”, capolavoro del Beato Angelico, restaurato e collocato sull’altare della cappella sinistra del duomo di Livorno. Nell’anno giubilare in cui la diocesi di Livorno ricorda i suoi primi 200 anni di vita, torna al culto e alla devozione popolare questa tavola, di proprietà della parrocchia S. Maria del Soccorso, per anni rimasta nascosta nel caveau del museo Fattori. Lo scoprimento dell’opera avverrà nell’ambito di una celebrazione presieduta da monsignor Diego Coletti, che avrà inizio alle 17.30 in cattedrale. Saranno presenti i rappresentanti della Sovrintendenza, della parrocchia proprietaria del quadro e della Fondazione Maurizio Caponi, che ha sostenuto le spese di restauro, allestimento e messa in sicurezza.

Chiara DomeniciE’difficile restare indifferenti davanti a questo Cristo coronato di spine: è un primo piano del volto di Gesù negli ultimi momenti del suo calvario, quando, dopo essere stato flagellato, per scherno, viene coronato di spine e coperto con una veste scarlatta, simbolo della regalità. Tutta l’immagine è pervasa dal colore rosso: gli occhi, il sangue che scende dalle ferite del capo e che si mischia alle lacrime e al sudore; la veste ed il diadema che l’adorna. Questa tavola, nonostante le dimensioni contenute (cm 55 x 39 realizzata in tempera e oro) sembra scavare nelle profondità dell’animo di chi la guarda: l’espressione triste e interrogativa di Cristo è lo specchio della fragilità e della sofferenza umana, ma racchiude allo stesso tempo la dolcezza di un Dio che si è sacrificato per amore e che è disposto a perdonare tutto il male commesso.

L’icona rappresenta un unicum nella produzione del frate di Fiesole, al punto che la sua paternità è stata riconosciuta solo in un secondo tempo, dopo essere stata attribuita per molti anni alla «Scuola di Giotto». Non si conosce la destinazione originaria del dipinto né dove fosse stato conservato fino al 1837, quando giunse a Livorno attraverso il mercato antiquario e fu donato all’erigenda chiesa di S. Maria del Soccorso (piazza della Vittoria) da Silvestro Silvestri.

È stata dunque la critica moderna a considerare il dipinto come opera del Beato Angelico. Fu Roberto Longhi («Un dipinto dell’Angelico a Livorno», 1928) che per primo attribuì a lui il dipinto, avanzando una possibile datazione fra il 1430 ed il 1435, accostandolo ad una delle opere più note del periodo giovanile dell’artista: il «Tabernacolo dei Lanaioli» (1433). Successivamente gli esperti hanno ipotizzato uno spostamento della datazione al 1438, basandosi su un confronto con una copia del «Volto del Cristo» del pittore fiammingo Jan Van Eyck realizzata nello stesso anno e oggi conservata a Berlino.

Ma le rocambolesche vicende di questa tavola non finiscono al 1837: durante la seconda guerra mondiale venne trafugata e ritrovata solo dopo alcuni anni. Fu portata per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale nel 1955, nella mostra celebrativa del Beato Angelico, tenutasi a Firenze nel Museo di San Marco. Ma anche dopo questo evento l’opera venne come dimenticata. Il timore di un nuovo furto costrinse i proprietari ad affidarla al caveau del Museo Fattori, dove è rimasta praticamente nascosta.

Se ne innamorò monsignor Vincenzo Savio, allora vescovo ausiliare di Livorno, che alla fine degli anni ’90 la fece esporre proprio nella chiesa di S.M. del Soccorso. E poi, una volta vescovo di Belluno, la fece portare da Livorno per una mostra nella diocesi del Triveneto: fu proprio davanti a questo quadro che pochi giorni prima di morire monsignor Savio scrisse una toccante poesia.

In seguito, questo capolavoro è stato protagonista in varie occasioni: nell’esposizione dedicata al volto di Cristo, a Colonia per la XX Giornata mondiale della Gioventù; nella mostra «Il Male. Esercizi di pittura crudele» a Torino, curata da Vittorio Sgarbi; e al Metropolitan Museum di New York, come opera centrale della mostra monografica sul Beato Angelico.

In questi anni però ci sono state altre persone che si sono innamorate di questo volto e si sono prodigate perché potesse essere reso fruibile al grande pubblico: Nino Caponi e la sua famiglia. All’indomani della scomparsa del figlio Maurizio, giovane imprenditore livornese, hanno dato vita ad una fondazione (www.fondazionemauriziocaponi.it ) per sostenere iniziative di solidarietà e di valorizzazione dei beni artistici cittadini; un impegno che ha richiamato amici e finanziatori da tutto il mondo. L’opera della Fondazione ha permesso il restauro del quadro e della cappella del duomo dove sarà collocato, nonché l’illuminazione e la messa in sicurezza.