Cultura & Società

La Pieve nel mondo medievale

di Franco Cardini

Nell’architettura sacra del nostro Occidente, che coincide con le sue grandi espressioni tardoantiche, medievali e protorinascimentali – si può dire che, con la Modernità, i grandi cànoni simbolico-sacrali nella nostra cultura si perdano, sopraffatti dalla sperimentazione artistica individuale di artisti e di committenti –, le tre grandi forme-guida degli edifici ecclesiali, sviluppo tutte di quella basilicale ereditate dalla romanità, sono la cattedrale, l’abbaziale e la pievanile. Solo alcuni grandi santuari, dalla caratteristica pianta centrale, costituiscono una categoria a parte che esula dal modello basilicale (si pensi alla «rotonda» del Santo Sepolcro di Gerusalemme, a Santo Stefano al Celio di Roma, a Santa Sofia di Costantinopoli).

La chiesa cattedrale, centro dell’autorità episcopale, ha uno stretto rapporto con la funzione del vescovo: in questo senso hanno importanza speciale sia la sua responsabilità magistrale e omiletica, quindi la predicazione, sia quella propriamente sacramentale, che nello spazio ecclesiale si esprime soprattutto in rapporto ai due sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. In particolare, per quel che attiene il battesimo, è importante il fonte battesimale, che si afferma molto per tempo la tradizione di erigere al centro di un edificio speciale, in genere a forma circolare o ottogonale, sito dinanzi all’ingresso della cattedrale, quindi a ovest di essa. L’autorità del vescovo sui catecumeni e sui battezzati si esprime in modo evidente attraverso lo stretto rapporto architettonico tra cattedrale e battistero.

In rapporto alla chiesa cattedrale quella abbaziale, sede per eccellenza dell’autorità liturgica dell’abate in un Ordine monastico (vale la pena di ricordare che tutte le abbazie sono per loro natura dei monasteri; ma che non tutti i monasteri sono abbazie, in quanto tale qualifica è riservata, ovviamente, solo a quelli che ospitano l’abituale residenza del capo dell’ordine, vale a dire appunto dell’abate) non ospita ordinariamente un fonte battesimale, in quanto la chiesa abbaziale non è centro di cura animarum.

Quando, a partire dai secoli X-XI, le città dell’Occidente ricominciarono a crescere dopo la lunga fase della decadenza durata un buon mezzo millennio circa, le cattedrali non furono più in grado di bastare a tutte le necessità dei fedeli ad alcune delle quali si rispose con una serie di provvedimenti di decentramento, che dettero origine ai populi, alle parrocchie. Lo stesso accadde anche nelle aree rurali, dove l’aumento della popolazione e l’allontanarsi dal centro cittadino richiesero la nascita di nuove sottocircoscrizioni ecclesiali e la costruzione di nuovi edifici sacri. Tali furono appunto le «pievi» (dal termine latino, plebs, con il quale s’indicavano le popolazioni rurali, contrapponendole a quello populus che si usava per gli abitanti dei centri demici maggiori): dove però, date le necessità di decentramento, a differenza che nelle parrocchie dove ciò non era ancora ordinariamente consentivo, si permetteva di celebrare il rito battesimale.

La pieve si connotò quindi, fin dall’origine, come detentrice di un fonte battesimale o addirittura di un vero e proprio edificio apposito, un battistero; e il sacerdote titolare di chiesa pievanile fu detto, appunto, plebanus, un rango che con il tempo si caricò di significati e di attributi onorifici. Dopo il secolo che per eccellenza è quello della fondazione delle pievi, il X-XI, divenne sempre più frequente che attorno ad alcune di esse si andasse organizzando un centro demico (un caso tipico, denunziato dal suo stesso nome: Città della Pieve in provincia di Perugia) e che essa si qualificasse, data la necessità di un più numeroso clero che la servisse, come «collegiata» o come «canonica», prima che alcune pievi finissero a loro volta col divenire cattedrali di una nuova sede vescovile.

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