La Quaresima e la sobrietà
Siate sobri. Ovvero siate tristi, mesti, mogi. Sciatti. Cenere in capo, abito usato e informe, spesa esclusivamente al discount o dal contadino, niente televisore, automobile a gas con la vecchia targa dalle lettere arancioni su campo nero, niente cellulare, il pc sì ma soltanto per scrivere, perché i nastri della Olivetti sono introvabili, ma niente internet né social network perché sono infidi mangiatempo
DI UMBERTO FOLENA
di Umberto Folena
Siate sobri. Ovvero siate tristi, mesti, mogi. Sciatti. Cenere in capo, abito usato e informe, spesa esclusivamente al discount o dal contadino (evitando quelli che ti fan pagare le zucchine il doppio perché «le ho tirate su con le mie mani», manco fossero figlie partorite da lui, pardon: da sua moglie), niente televisore (quello a valvoloni, senza decoder digitale, non funziona più: meglio, consumava un sacco, era antico ma non sobrio), automobile a gas con la vecchia targa dalle lettere arancioni su campo nero, niente cellulare, il pc sì ma soltanto per scrivere, perché i nastri della Olivetti sono introvabili, ma niente internet né social network perché sono infidi mangiatempo
Siate sobri. Ovvero siate allegri, sorridenti, ottimisti. Eleganti, sia pure a buon mercato: è possibile. Un bel televisore per godersi buoni film, belle partite e certi jolly come le performance di Marco Paolini o l'irresistibile, esilarante, commovente clown e filologo Roberto Benigni. Il pc? Internet? Certamente, il tempo se lo fa mangiare chi non sa darsi regole e limiti, e non è più lui a controllare la tecnologia, ma la tecnologia a controllare lui. Sobrio è semplicemente chi non è ebbro. Ma ebbro di che cosa?
Per capirlo bisognerebbe andare al cinodromo.
Il cinodromo sta ai cani come l'ippodromo sta ai cavalli. Nell'ippodromo i cavalli corrono. Non è difficile far correre i cavalli. Hanno un innato spirito competitivo. Metti dieci cavalli l'uno accanto all'altro con una pista davanti, loro si scrutano e pensano all'unisono: dai, vediamo chi è più veloce! Il fantino è importante ma, con tutto il rispetto per una professione raffinata, fino a un certo punto. Lo sanno bene a Siena, dove il Palio può essere vinto anche da un cavallo scosso, il cui fantino è finito per le terre: il cavallo non si ferma certo ad aspettarlo. I cavalli corrono per il gusto di correre.
I cani invece è molto più difficile farli correre. Intanto non ci puoi mettere un fantino sopra, anche se il fantino fosse molto piccolo e il cane molto grande. Poi, i cani non hanno lo spirito competitivo innato dei cavalli. E allora? Ai cani si dà quello che gli strateghi del marketing chiamano incentive: una lepre qualche metri innanzi a loro. I cani vedono la lepre e pensano: l'acchiappo e me la pappo io, ma per farlo devo arrivare prima dei colleghi qui a fianco. E via di corsa.
Il cinodromo è la perfetta metafora della consumerist society tanto ben dipinta dal sociologo Zygmunt Bauman.
I cani pensano che il fine sia la lepre e il mezzo (per acchiapparla) sia la corsa. Non sanno che cosa sia un cinodromo; né sanno di esserci dentro. In realtà è tutto il contrario. Per chi ha organizzato il gioco, per chi scommette, la lepre è il mezzo necessario per far correre i cani; e la corsa è il fine.
I cani sono i consumatori compulsivi ebbri, ossia incapaci di sobrietà, osteggianti la sobrietà. Che considerano la sobrietà un disvalore. Costoro pensano che il fine sia acquistare beni e merci e servizi, e il mezzo sia spendere denaro per ottenere quello scopo. Ma è tutto il contrario. Le merci e i servizi sono il mezzo per far loro spendere il denaro, e «spendere denaro» è il fine. Il denaro infatti deve circolare sempre più vorticosamente, per la gioia del dio mercato e le mirabili sorti del Pil, il Prodotto interno lordo, che deve crescere all'infinito, e se si ferma ahi, siamo in recessione, siamo tristi e infelici.
Essere sobri può voler dire fare ciao ciao al cinodromo e uscirne. È Quaresima? Un impegno potrebbe essere questo: riconoscere i cinodromi umani e far loro ciao ciao, arrivederci a mai.
Le corse dei cani sono riti collettivi. Un cane non corre mai da solo, nel cinodromo, ma sempre e soltanto accanto ad altri cani, colleghi e rivali al tempo stesso. Gli umani ebbri si comportano allo stesso modo. Alla domenica si incolonnano diligentemente sulla Firenze-Mare. Sanno che staranno in coda per 100 chilometri; fingeranno irritazione moderata; in cuor loro saranno soddisfatti di partecipare al Grande Rito. La colonna di carne umana inscatolata, andata e ritorno, è una colossale laicissima liturgia di cui essi sentono bisogno.
I sobri non ne sentono bisogno. Preferiscono un pic-nic con pollo arrosto e patatine, crostini e tartine, macedonia e crostata, vinello e aranciata, tovaglia a quadrettoni e un occhio all'insù: signore nuvole, niente scherzi oggi, okey? I sobri non giudicano la carne umana inscatolata, perché non hanno la stoffa del giudice inquisitore mai e in nessun caso; però lasciate che sorridano della laica, e un poco laida, liturgia del serpente di metallo con la gente in pancia, molte ore tra i fumi di scarico per poche ore ansimanti in riva al mare o in una pineta. Meglio la morbida campagna fuori porta, per i sobri.
Gli ebbri esagerano. Se non esagerano stanno male. Soffrono, ma soffrono sul serio. Soffrono se non possiedono il nuovo modello di telefonino; e pazienza se l'ultimo l'hanno acquistato sei mesi prima. Il telefonino serve loro per telefonare? Marginalmente. Serve loro a farli sentire bene; a mostrarlo maneggiandolo in pubblico con nonchalance. L'ebbro può anche essere un analfabeta di ritorno; può non possedere alcun libro, in casa, escluso l'elenco telefonico; può sentirsi a disagio quando in un film per pericolosi intellettuali scorrono i sottotitoli, perché sono troppo maledettamente veloci e non riesce a sillabarli. Però l'ebbro sa parlare, ha voce da vendere; e racconta i fatti suoi urlandoli in pubblico al telefonino, meglio se sul bus, in treno, in sala d'aspetto, al bar, al ristorante, insomma dove ci sia un pubblico a cui sia impedita la fuga: il massimo è l'ascensore, se il segnale non è assente.
Chi è sobrio, sussurra al telefonino poche parole aggiornando la conversazione a quando potrà non disturbare nessuno. Il suo apparecchio è proprio «suo»: vi è legato da un curioso, particolarissimo affetto. Evoca ricordi, spesso belli, raramente meno belli. Finché la batteria pulsa, non lo cambia. E pazienza se ha una memoria non sterminata e pochi videogiochi (quali, neppure lo sa: non ci ha giocato mai, perché per il sobrio il telefonino serve a telefonare).
Chi è sobrio non vive al di sopra delle proprie possibilità. Chi è sobrio risparmia. Chi è sobrio non avverte l'impulso malefico a esibire la propria opulenza, a volte (spesso) fatta di debiti. Nessun demone lo abita, spingendolo a correre nel cinodromo fino a sfiancarsi. Soprattutto, chi è sobrio sa che i cani sono simpatici, ma ignorano un fatto fondamentale: per quanto forte corrano, non acchiapperanno mai la lepre, perché chi controlla il gioco gliela farà sempre annusare e agognare, ma mai possedere. Gli ebbri sono destinati all'insoddisfazione perenne, celata maldestramente dietro smorfie assomiglianti a sorrisi nelle loro scatole con motore sulla Firenze-Mare. I sobri qualche possibilità di essere felici ce l'hanno, se vivranno la sobrietà con soavità. Lenti e leggeri, ma dritti allo scopo. Loro, la lepre, l'hanno acchiappata tanto tempo fa, senza tanto chiasso.
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