Cultura & Società

La Resurrezione sulle tavole italiane

DI GIAN MARCO MAZZANTILa Pasqua cade in un periodo dell’anno molto propizio, cioè quando la natura manifesta i segni della propria «resurrezione». È quindi facilmente intuibile come questa festività si richiami al mondo pastorale e agricolo nel momento in cui si celebra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Non a caso il termine inglese «Easter» (Pasqua) ha origine dal nome della mitica dea della primavera «Ostre».

In terra toscana c’è una simpatica filastrocca che dice: «Domenica mattina… una grossa gallina… un quarto di capretto… un uovo benedetto… una fetta di schiacciata… e la Pasqua è già passata».

Ingredienti antichi, legati alla tradizione, ai quali aggiungerei gli aromi come il rosmarino e il finocchio, perché, oltre ad essere utilizzati in tante ricette di questo periodo, ricordano gli oli aromatici con i quali fu unto il corpo di Cristo dopo la deposizione.

Cominciamo proprio dall’uovo che evoca, più di altri cibi, l’immagine della Pasqua. Un tempo la domenica della Resurrezione era chiamata anche pasqua d’Uovo, perché si festeggiava mangiando, ma anche donando, uova sode che erano state benedette in chiesa (d’altra parte l’uovo è simbolo di nascita). Ma oltre che da solo l’uovo (sempre sodo) è utilizzato anche come decorazione di dolci (il reggino cudduraci o la friulana gubana) oppure posto all’interno di torte salate come il casatiellocampano, la cresciadelle Marche o la torta pasqualina ligure.

Anche la tradizionale presenza dell’agnello sulla tavola pasquale, conferma il richiamo di questa festività ai riti agricoli e pastorali (la tradizione vuole che già al tempo degli ebrei, proprio a primavera, si sacrificava un agnello a Dio per chiedergli prosperità per i greggi dopo gli stenti dell’inverno). E forse sarà proprio per questa tradizione che agnelli, pecore e capretti, pur avendo carni assai più saporite dei bovini o dei suini, si utilizzano in cucina quasi esclusivamente in questo periodo. Tra i tanti piatti della tradizione pasquale, mi piace ricordare l’agnello con i finocchietti e pane carasau (Sardegna), l’agnello alla Valdostana, l’agnello in fricassea, l’agnello al cartoccio con i lampascioni (Puglia), l’agnello con patate e funghi (Trentino) e il famosissimo abbacchio alla romana.

Tra i primi piatti, molte sono le ricette che si ispirano ai timballi o comunque a preparazioni «pantagrueliche», tipo le sagne chine (piatto calabrese che prevede un condimento per le lasagne con carne, piselli, pecorino, funghi, carciofi, mozzarella) o la bomba di riso alla piacentina (praticamente un timballo di riso condito con il sugo di piccione) o il timballo di crespelle abruzzese (crespelle ripiene di mozzarella, carciofi, carne, spinaci, fegatini). Mentre come zuppe sono da ricordare la minestra di fave e carciofi (Friuli) e la zuppa di finocchi selvatici (Sardegna).

I piatti serviti come contorno sono rappresentati in primis dai carciofi alla Giudia (Lazio), dalle fave al prosciutto (Puglia), dagli asparagi in salsa (Veneto), dalle puntarelle con le acciughe (Lazio) e dai piselli cucinati in varie maniere in ogni regione.

Un cenno ai dolci. Torte che sembrano pani, focacce che sembrano torte, dolci quasi salati, salati un poco dolci. Oltre a quelli già rammentati prima, ricorderei il panettone pasquale e la schiacciata di Pasqua con il tradizionale Vin Santo (Toscana), la torta di Pasqua con le perline (Molise), il salame del Papa (Piemonte), la ciambella di Pasqua (Romagna), la pastiera napoletana e la colomba pasquale (Lombardia) che hanno caratteristiche ben precise e si distinguono dalle miriade di dolcetti che ogni regione sforna, dalle schiacciate alle focacce, dai biscottini (e tra questi come non fare a rammentare i quaresimali e i pazientini) alle ciambelline.

A questo punto possiamo proprio dire… è Pasqua!!!