Cultura & Società

La scultura sacra del primo Quattrocento fiorentino sbarca a New York

Il 20 febbraio s’inaugura a New York, alla presenza del cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, una mostra di scultura del primo Quattrocento fiorentino, Sculpture in the age of Donatello. Masterpieces from Florence cathedral, presso il Museum of biblical art, fondato come sede espositiva della American bible association – l’associazione protestante di promozione della conoscenza delle Scritture giudeo-cristiane.

Le opere, prestate dal Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (attualmente chiuso per lavori), infatti sono per la maggior parte di soggetto biblico, eseguite originalmente come arredi monumentali della Cattedrale e del Campanile di Giotto. Inusuale in questo contesto l’aggettivo «monumentali»: normalmente le sculture prestate per mostre internazionali sono di piccole dimensioni, statuine o rilievi prodotti per il settore privato – per le abitazioni dei collezionisti. In questo caso invece sono state concesse statue grandi commissionate da un ente pubblico, la fabbriceria del Duomo fiorentino, per il maggiore tempio della città. Si tratta cioè di alcuni dei capolavori storici che definiscono l’idea stessa del Rinascimento e che sono riprodotti in tutti i manuali perché fondamentali ed influenti. È innovativa poi la lettura in chiave biblica delle opere e dei programmi di cui facevano parte – un saggio di restituzione del contenuto cristiano a un periodo spesso presentato come paganizzante.

Tra i capolavori che l’Opera del Duomo ha mandato a New York sono due Evangelisti scolpiti tra il 1408-1415 per nicchie a destra e sinistra della porta maggiore del Duomo: il San Luca di Nanni di Banco e il San Giovanni di Donatello. Il movimento dell’una e dell’altra statua corrisponde alla collocazione prevista: San Luca inclina la testa verso sinistra e guarda verso destra, come se osservasse chi s’avvicinava all’ingresso del Duomo; San Giovanni invece, similmente osservatore, volge lo sguardo verso sinistra.

Al San Luca Nanni di Banco ha dato una capigliatura e una barba ispirate alla scultura antica e un’aria da intellettuale corrispondente alla tradizione, che vuole Luca uno scienziato – un medico –, e all’affermazione del santo stesso d’aver scritto il suo vangelo in base ad «attente ricerche» (Lc1,3). Al San Giovanni invece Donatello ha dato un dinamismo del tutto nuovo, coordinando il movimento verso destra delle gambe con quello verso sinistra della testa così da suggerire l’autonomia psicofisica di una persona vivente. Quest’integrazione del movimento corporeo con quello dello spirito, insieme all’aspetto maestoso dell’Evangelista e all’intensità del suo sguardo, un secolo più tardi forniranno a Michelangelo la prima idea del suo Mosè.

In mostra è anche il cosiddetto Zuccone di Donatello – forse raffigurante Eliseo – in cui la gravitas della posa, la veste togata e il volto mutuato dalla ritrattistica romana trasformano il profeta d’Israele in un oratore romano, equiparando interiore fortitudo con coraggio stoico-una statua a tutto tondo la cui posa si sviluppa davanti e dietro come un movimento corporeo integrato ed unitario.

L’opera forse più drammatica inviata a New York è il gruppo del Sacrificio d’Isacco, dove l’intreccio delle figure di Abramo e del suo figlio definisce per la prima volta quella che i teorici del manierismo chiameranno la «figura serpentinata e moltiplicata»: la composizione di più figure, cioè, in uno schema spirale in ascesa. Il bellissimo Isacco inginocchiato davanti al padre è il primo nudo di grandezza naturale della scultura rinascimentale.

Il Sacrificio d’Isacco, scolpito con l’aiuto di un collaboratore, Nanni di Bartolo chiamato «Rosso», è un capolavoro soprattutto sul piano interpretativo. Il soggetto, in cui l’amore paterno, piegatosi con sofferta obbedienza a Dio, viene premiato, affascinava i fiorentini: era stato questo il tema assegnato ai finalisti del concorso per la Porta Nord del Battistero, di cui si conoscono le formelle di prova del Brunelleschi e del Ghiberti, conservate al Museo Nazionale del Bargello. Ghiberti aveva illustrato allora il momento prima della risoluzione del dramma, con Abramo ancora convinto di dover uccidere il figlio, e Brunelleschi il momento risolutivo, quando l’angelo ferma la mano del patriarca. Donatello invece sceglie invece il momento immediatamente dopo l’annuncio dell’angelo, facendo vedere ancora tesa la sinistra di Abramo, che tira indietro i cappelli d’Isacco per scoprire la nuca del ragazzo, ma rilassata la destra col coltello. Coglie cioè l’inimmaginabile istante in cui, essendosi armato di fede per obbedire a un comando terribile, Abramo viene disarmato dall’amore che egli scopre in un Dio che, padre pure lui, non gli chiede di sacrificare il figlio.

È soprattutto nel volto di Abramo, innalzato a Dio con stupore e gratitudine, che Donatello si rivela interprete originale e ispirato. In realtà la Scrittura non descrive la reazione del patriarca, parlando invece di quella di Dio, che, sorpreso alla disponibilità di Abramo a obbedire fino a tal punto, esclama: «…perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni…» (Gen 22,16-17).

Donatello ha quindi trasferito al volto di Abramo la reazione di Dio, forse pensando al parallelismo suggerito da san Paolo tra l’eterno Padre  che risparmiò il figlio di Abramo ma non il proprio (Rm 8,32); del resto la tradizione cristiana vedrà in Isacco, che aveva portato la legna destinata alla propria immolazione, una figura del Cristo che portò la croce. Questo parallelismo era chiaro quando la statua era nella sua nicchia sul lato est del Campanile e Abramo guardava il Duomo; l’«ariete» sostitutivo a cui l’angelo chiamò l’attenzione del patriarca veniva allora associato con Cristo, «Agnello di Dio», il cui sacrificio è reso presente ogni giorno all’altare della Cattedrale.

*Direttore, Museo dell’Opera del Duomo, Firenze, e curatore della mostra «Sculpture in the Age of Donatello»