Cultura & Società

Laicità dello Stato e dignità della persona

di Andrea Driganidocente di Diritto canonico e Teoria e storia dei rapporti tra Chiesa e Statoalla Facoltà teologica dell’Italia centraleLa prima volta che troviamo l’espressione «laicità dello Stato» in un testo del Magistero della Chiesa è nel discorso pronunciato dal Papa Pio XII, il 23 marzo 1958, nella Basilica Vaticana, per la circostanza dell’omaggio dei marchigiani residenti a Roma. In quell’allocuzione Pio XII ebbe a dire: «Vi è in Italia chi si agita, perché teme che il cristianesimo tolga a Cesare quel che è di Cesare.

Come se dare a Cesare quello che gli appartiene, non fosse comando di Gesù; come se la legittima sana laicità dello Stato non fosse uno dei principî della dottrina cattolica; come se non fosse tradizione della Chiesa il continuo sforzo per tener distinti, ma pure, sempre secondo i retti principî, uniti i due Poteri; come se, invece, la mescolanza tra sacro e profano non si fosse il più frequentemente verificata nella storia, quando una porzione di fedeli si è distaccata dalla Chiesa».

Pio XII, con questo intervento, che possiamo realmente dire di portata storica, riconosceva possibile e legittima una «sana laicità dello Stato», formula che non solo accoglieva la distinzione fra «laicismo» come filosofia sociale e «laicità» quale metodo di organizzazione statale, ma apriva, nell’ambito del pensiero cattolico, una riflessione sul ruolo e sul senso dell’autonomia del laicato in genere e dello Stato in specie. Mi piace rammentare che questa tematica sulla laicità dello Stato fu affrontata esplicitamente da Giorgio La Pira all’Assemblea Costituente, nella seduta dell’11 marzo 1947. Rispondendo, infatti, alla domanda del deputato Pietro Nenni, che aveva chiesto : «Lo Stato deve o non deve essere laico?», elaborò una precisazione di questo concetto; innanzitutto ricordava che ogni azione dell’uomo è sempre diretta da un’idea, perciò non può esistere uno Stato agnostico o laico, infatti come si concepisce la realtà umana e la società, così si costruisce la volta giuridica. Poiché la persona umana – continuava La Pira – ha un’intrinseca orientazione religiosa che si esprime necessariamente nelle confessioni religiose, lo Stato doveva essere rispettoso di questa orientazione religiosa e di queste formazioni religiose associate. Perciò osservava la contraddittorietà dell’espressione «Stato laico» dichiarando, però, anche il rifiuto dello «Stato confessionale» (uno Stato, cioè, nel quale i diritti civili, politici ed economici derivano da una certa professione di fede). La Pira concludeva sostenendo, dunque, che si doveva costruire uno Stato rispettoso dell’orientazione religiosa del singolo e delle collettività. I principî chiariti da Pio XII, in materia di sana laicità dello Stato, vengono ripresi e sviluppati dal successivo magistero pontificio e conciliare; in particolare dal Beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris (pubblicata l’11 aprile 1963), il cui criterio ispiratore, per la sua retta comprensione, lo troviamo nella prime parole del documento: «La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può essere instaurata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio». È dunque il concetto di ordine (ordo), così caro al pensiero di Sant’Agostino, peraltro espressamente citato nel testo dell’Enciclica, che muove e sviluppa il magistero di Papa Roncalli. Nella lingua e nella cultura latina il termine ordo si riferisce all’ordito, alla trama di una tela, dunque, per traslato, ad un sistema organico, ad una linea di condotta. Nei paragrafi 22 e 23 della Pacem in terris si riafferma la necessità dell’autorità civile e la sua origine divina. La convivenza tra gli esseri umani – dice il Papa – non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente. Citando la celebre espressione di San Paolo Apostolo nella Lettera ai Romani (13,1): «Non vi è infatti autorità se non da Dio», Giovanni XXIII riporta il commento, che di questo passo, fece San Giovanni Crisostomo: «Che dici? Forse ogni singolo governante è costituito da Dio? No, non dico questo: qui non si tratta infatti di singoli governanti, ma del governare in se stesso. Ora il fatto che esista l’autorità e che vi sia chi comanda e chi obbedisce, non proviene dal caso, ma da una disposizione della Provvidenza divina». L’autorità – proseguiva il Pontefice – non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione, trae quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio che ne è il primo principio e l’ultimo fine.

Ribadendo la dottrina di San Tommaso d’Aquino, Giovanni XXIII riafferma che qualora le leggi civili fossero in contrasto con l’ordine morale, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare, poiché la legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è contro la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza. Pertanto un ordinamento giuridico in armonia con l’ordine morale e rispondente al grado di maturità della comunità politica, di cui è l’espressione, costituisce, non è dubbio, un elemento fondamentale per l’attuazione del bene comune. Sulla «comunità politica» (termine con il quale il magistero della Chiesa preferisce denominare lo «Stato») interviene il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et spes, laddove si dice che la comunità politica esiste in funzione del bene comune , nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico originario e proprio. Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali, che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e spedito del loro perfezionamento. È dunque evidente che la comunità politica e l’autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all’ordine prestabilito da Dio, anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini. Ancora nella Gaudium et spes, segnatamente al paragrafo 76, si richiama alla grande importanza di avere una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa. Si dichiara, a tal riguardo, che la Chiesa, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, poiché è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana; pertanto la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti ed autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse – prosegue il testo conciliare – svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo.

Ma in un altro documento del Vaticano II, la Dichiarazione Dignitatis humanae, si affronta l’argomento della laicità dello Stato con particolare riferimento alla promozione ed alla tutela del diritto di libertà religiosa. La Dignitatis humanae, infatti, proclama il diritto della persona umana e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia di religione. Nell’esordio della Dichiarazione si fa presente che tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa, e una volta conosciuta, abbracciarla e custodirla, e si afferma che la verità non si impone se non in forza della verità stessa, la quale penetra lo spirito soavemente e insieme con vigore; si fa, inoltre, presente che il documento, intende sviluppare la dottrina degli ultimi Pontifici intorno ai diritti inviolabili dell’uomo e all’ordinamento giuridico della società. I soggetti del diritto alla libertà religiosa sono ogni essere umano e le comunità religiose, quest’ultime vengono, infatti, postulate dalla natura sociale della persona e dalla religione stessa. Si tratta di un diritto, fondamentale e naturale, da considerarsi sia nella forma individuale che in quella associata. Non è un diritto che gli esseri umani posseggono perché loro conferito dallo Stato è, invece, come si è detto, un diritto umano che lo Stato deve riconoscere ai cittadini, sia come singoli che nelle formazioni religiose, perché ad essi inerisce in quanto persone. Il contenuto di questo diritto è duplice: non essere forzati ad agire in materia religiosa contro la propria coscienza; non essere impediti ad agire in conformità ad essa.

Nella Dignitatis humanae si precisa che tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell’uomo compete essenzialmente ad ogni autorità civile, cioè allo Stato il quale deve intervenire per regolare e ordinare l’esistenza ed il libero esercizio dei diritti dei diversi gruppi sociali, ma non può impedire il diritto di associazione, né i diritti al libero sviluppo di questi raggruppamenti. In particolare la Dichiarazione elenca una serie di diritti delle comunità religiose che lo Stato deve, appunto, riconoscere e garantire. Il diritto, anzitutto, della comunità religiose di non essere impedite di scegliere, educare, nominare e trasferire, i propri ministri e di comunicare con le autorità e di godere dei beni patrimoniali adeguati. In secondo luogo il diritto di non essere impedite di insegnare e testimoniare pubblicamente la fede. In terzo luogo il diritto di manifestare la propria dottrina nell’ordinare la società e nel vivificare ogni attività umana. La Dichiarazione Dignitatis humanae configura il concetto di laicità dello Stato (anche se non usa esplicitamente questa espressione) nel senso di riconoscimento di tutti i diritti delle persone e dei gruppi sociali in materia religiosa e come garanzia giuridica per le religioni ed il loro esercizio, senza pretendere di avanzare competenze in merito ai giudizi di verità e di coscienze sulla singole dottrine e comunità religiose. Come tutti i diritti, anche quello di libertà religiosa – osserva il documento conciliare – deve essere contenuto entro determinati limiti, che vengono indicati nel criterio di «ordine pubblico», peraltro presente sia nelle Costituzioni di molti Stati che nelle Convenzioni internazionali promosse dal Consiglio d’Europa e dall’Onu.

Nella Dignitatis humanae il principio di «ordine pubblico» viene definito non come una situazione di fatto, bensì come un convivere ispirato all’esigenze dell’ordine morale obiettivo, che contiene gli elementi fondamentali del bene comune quali l’efficace tutela dei diritti, la difesa della pubblica moralità, la salvaguardia della pace pubblica, la quale pace non è solo assenza di perturbamenti, ma un’ordinata convivenza nella vera giustizia. Per l’insegnamento sociale cristiano «Stato laico» significa, dunque, uno Stato che non sia indifferente, bensì incompetente, dinanzi alle confessioni religiose e che garantisca giuridicamente, nel rispetto dell’ordine pubblico, la libertà di religione. La dottrina sulla libertà religiosa, presentata dal Concilio Vaticano II, è radicalmente diversa dal pensiero illuministico. Per l’illuminismo, infatti, la libertà di religione, intesa soltanto in senso individuale, presupponeva l’indifferentismo ed un razionalismo naturalistici; era una libertà concepita in modo negativo, che conduceva un atteggiamento agnostico di fronte alla legge morale ed alla verità naturale e soprannaturale.

La Dichiarazione Dignitatis humanae ponendo come fondamento della libertà religiosa la dignità della persona umana da un lato e la forza intrinseca della verità dall’altro, pone la coscienza e la libertà umana in materia religiosa in una luce cristiana e positiva. Mi sembra assai opportuno concludere con quanto ha affermato, il 18 maggio scorso, Papa Benedetto XVI nel suo discorso all’assemblea generale dei vescovi italiani: «Una sana laicità dello Stato – ha detto – comporta senza dubbio che le realtà temporali si reggano secondo norme loro proprie, alla quali appartengono però anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo e pertanto rinviano in ultima analisi al Creatore. Nelle circostanze attuali – ha proseguito il Pontefice – richiamando il valore che hanno per la vita non solo privata, ma anche soprattutto pubblica, alcuni fondamentali principî etici, radicati nella grande eredità cristiana dell’Europa ed in particolare dell’Italia, non commettiamo dunque alcuna violazione della laicità dello Stato, ma contribuiamo piuttosto a garantire e promuovere la dignità della persona e il bene comune della società».