Cultura & Società

Le grotte sacre

di Carlo Lapucci

C’è ancora una credenza, non estranea al mito della grotta sacra, per cui affacciandosi a un pozzo e facendo ad alta voce una domanda, si possono udire, tra gli echi che tornano alla bocca dal fondo della voragine, parole che sono la risposta certa a quanto è stato richiesto. Il gioco è ancora ripetuto dai bambini in cerca di risposte ai loro misteri, da bambine che vogliono sapere quando, come, dove verrà l’amore.

Come dire che le voci della verità escono dalla tenebra, dal silenzio, dal profondo, il resto è quasi tutto chiasso. Qui si ha modo di capire il senso profondo d’un proverbio sibillino: La verità sta in fondo al pozzo.

Accade spesso che queste ingenue e innocenti usanze popolari nascondano ben altro che stravaganze di ignoranti e perdigiorno: sono le tracce di antiche meditazioni dell’umanità, fatte nei secoli nelle solitudini dei deserti, delle praterie, delle foreste, condensate in miti, in simboli, che hanno costituito spesso la ricognizione primaria del mondo e della vita e che l’avanzare di altri sistemi di pensiero hanno relegato poi in una parte dimenticata o disprezzata della memoria, ma contengono spesso i germi vitali, i punti di appoggio, le basi essenziali per un lavoro fecondo della mente.

Questo mito, cioè che la vita si formi, si rigeneri, prenda slancio e nuova energia nel profondo, sotto uno strato inerte che nasconde la luce, il suono, il movimento, lo ritroviamo nel patrimonio di riflessioni accumulato nei secoli: dalle favole, all’interpretazione dei fenomeni naturali, alle metafore della vita spirituale in molte e diverse culture, ma è ormai dimenticato come  un’idea vecchia e balorda fino a quando non ce lo viene a dire qualche celeberrimo scopritore d’acqua calda e d’ombrelli d’oltre oceano, o un dottor Freud, che si accorge come l’uomo porta un abisso dentro di se (l’aveva già gridato ai quattro venti il religiosissimo Pascal), oscuro, tenebroso (l’inconscio) da cui escono voci misteriose d’oracolo (i sintomi), pressoché indecifrabili, ma capaci d’alludere, di aprire uno spiraglio verso la verità.

Il mistero della vita si anima in una grotta: dal seme  che sprofonda nella terra invernale per germinare nella tenebra e quindi generare a primavera la nuova pianta che esce piena di vita nella luce, all’embrione che si forma nel seno materno per rinnovare la vita, all’eremita che si seppellisce nel suo antro per espiare, meditare, perfezionarsi, rigenerarsi: tutto ciò che è vitale passa dalla tenebra e anche la rigenerazione del mondo, nella tradizione cristiana ha inizio in una grotta, nel buio della notte di Betlemme in cui nasce Cristo. Per di più egli sprofonderà ancora nel sepolcro, nel simbolico periodo di tre giorni, e di là, scenderà nell’abisso della tenebra, nel mondo dei morti, per risorgere nel potente anelito della seconda vita nella Pasqua.

L’ANTRO O LA GROTTA DI TROFONIOGuardando leggende, miti, favole, storia, infinite sono le apparizioni del motivo della grotta, che se non è sacra è legata sempre al soprannaturale non si contano. Varrà la pena di considerare il più antico e celeberrimo nell’antichità, che ormai è stato travisato e dai più dimenticato: la Grotta di Trofonio. Fu questo l’oracolo più prestigioso nell’interpretazione dei sogni fino al tardo periodo romano, sopravvivendo a lungo alla crisi del paganesimo. La fama sussiste, tanto che l’immagine dell’antro o del dio appare nei libri di magia, di divinazione. Oggi l’espressione è conosciuta come nome d’una sorta di cabala per individuare i numeri del lotto: quamtum mutatus ab illo!

Questa figura del culto greco è difficilmente identificabile: alcune tradizioni lo vogliono un eroe, altre un masnadiero o figlio di Apollo. Comunemente lo si dice figlio di Ergino, re degli Orcomeni, fratello di Agamede, onorato in Beozia. Col fratello ebbe fama di architetto valente tanto che i due costruirono il tempio d’Apollo a Delfi. Irieo li incaricò di costruire il suo palazzo e i fratelli lasciarono una pietra mobile dall’esterno nel muro della stanza del tesoro e per quel varco andavano a rubare. La storia è simile a quella che narra Erodoto a proposito di Rampsinito e del Faraone. Un giorno, durante un furto, una trappola posta dal re afferrò Agamede e Trofonio, per non essere scoperto, gli tagliò la testa e la portò via. Qui la leggenda si fa oscura: la Terra inghiottì Trofonio che fuggiva in fondo alla caverna: il suolo si aprì sotto i suoi piedi, e l’uomo divenne una pura e sola voce, dotata da Apollo di spirito profetico. Fu un semidio al quale venne innalzato un tempio che divenne il più famoso tra quelli nei quali s’interpretavano i sogni.

L’Antro di Trofonio ebbe fama di emettere oracoli infallibili. Nel popolo in passato era diffusa la credenza in questo mitico oracolo, detto anche Trifonio, come se esistesse ancora, mentre se ne trovano solo le rovine a Labadea in Beozia. L’importanza di questo oracolo consiste nel fatto che il suo prestigio ha diffuso una tecnica, un metodo per interpretare i sogni nell’antichità, che ha lasciato segni consistenti anche nel nostro mondo attuale. Elemento ancora più importante è che Pausania, nel suo Viaggio in Grecia (IX, 39) ci ha lasciato la descrizione di tutta la procedura usata dai sacerdoti del tempio per questa operazione che lo storico fece personalmente. Così oggi si sintetizza la descrizione: «Per consultare Trofonio si entrava nella sua grotta attraverso un angusto crepaccio. Là dentro si aspettava di vedere Trofonio in persona, oppure di udire i suoi avvertimenti. Egli come spirito legato al luogo della sua esistenza incantata, abitava appunto col suo corpo nella profondità di quella caverna» (E. Rohde, Psiche – Il culto delle anime presso i Greci, Bari 1989).

In realtà l’antro era profondissimo: inizialmente assai ampio andava poi restringendosi fino a diventare quasi un cunicolo. Non vi si accedeva semplicemente, anzi coloro che non osservavano il rituale erano segnati dal destino di morte, che avveniva in poco tempo. L’aspirante doveva purificarsi per diversi giorni nel recinto del tempio e quindi, quando era pronto era portato a bere alla fonte di Lete, la cui acqua aveva la virtù di cancellare tutti i cattivi pensieri che lo assillavano, quindi beveva alla fonte di Mnemosine, della memoria, perché potesse ricordare in seguito le parole e le visioni ricevute nel sacello. Doveva pregare lungamente, quindi dalla voragine posta sulla cima d’un colle cominciava a scendere nelle viscere del suolo finché un vento improvviso lo portava addormentato per antri di tenebra fino a una grande cavità sotterranea, illuminata a tratti da un ago sottile di luce. Là soggiornava per giorni e notti nel silenzio e nel buio, finché il dio si manifestava con la voce, ovvero con visioni che mettevano il postulante di fronte non solo a eventi futuri, ma anche passati, capiva cose inspiegabili che erano accadute senza che se ne fosse conosciuto il perché, i particolari, i segreti, i misteri, nonché quello che della vita rimane ignoto. Una corrente d’aria lo riportava all’inizio dell’ambulacro e, tornando a rivedere la luce, rimaneva stordito, assente, come folgorato da un’altra verità che annichiliva la realtà dei sensi e si diceva di coloro che erano risaliti dall’Antro di Trofonio che non ridevano più, e restavano per sempre incapaci di sorridere (E. Paoli, Cane del popolo, Le Monnier, Firenze 1947). L’INCUBAZIONE E ALTRI RITIMolti scrittori antichi si sono occupati di Trofonio: Zenobio, Luciano, Strabone, Cicerone, Plutarco, Gellio, lo scoliaste di Aristofane. Talvolta si collega questo strano rituale con quello dell’Incubazione, un uso pagano per ottenere la guarigione di una malattia o conoscere l’esito del suo decorso. Consisteva nel porre il malato a dormire nella notte in un tempio chiuso e buio di una divinità guaritrice. Il dio, se voleva, poteva apparire in sogno al malato e rivelargli quanto voleva conoscere, ovvero poteva anche rivelarsi e guarire la malattia. La pratica si poteva ripetere anche più volte, nel caso che la divinità non esaudisse subito la richiesta.

Anche coloro che andavano alla ricerca della verità, come Edipo, Enea, per consultare oracoli e Sibille dovevano scendere in voragini oscure nelle  viscere della terra. Le grotte degli eremiti e delle Sibille hanno costellato il mondo civile fino a qualche secolo fa e ancora nei romanzi cavallereschi i cavalieri come il Guerin Meschino scendevano negli antri pericolosi e oscuri al fine di conoscere, sapere, scoprire la verità che nessun altro poteva rivelare.

Tutta l’area cristiana è disseminata di grotte di penitenti, beati, apparizioni, santi ritiratisi in solitudine a pregare e meditare: le Grotte dei Sette Santi fondatori a di Montesenario, la Grotta di S. Brigida a S. Brigida presso Firenze, ai Bagni di San Filippo la Grotta di San Filippo Benizzi, a Chiusi le Catacombe di S. Mustiola e quelle di S. Caterina, a Montepulciano le Buche del Beato.

Il contatto con il mondo sotterraneo genera diversi fenomeni: l’oscuramento dei sensi e l’esaltazioni della voce interiore, il timore di non poter più emergere, lo smarrimento dell’io che coglie immediatamente la sua precarietà, la sua fragilità e perde la superbia, arroganza la presunzione d’essere sufficiente a se stesso e poter fare a meno d’ogni forza confidando solo nella propria.A questo aspetto del mondo sotterraneo se ne associa un altro non meno importante: il cammino del mondo infero si snoda per meandri in cui si perde ogni possibilità d’orientamento, vale a dire si affaccia il motivo del labirinto, altro nodo simbolico fondamentale che appare anch’esso con frequenza nei pavimenti, negli ornamenti, nei mosaici e nelle pitture di chiese e cattedrali, pressappoco con lo stesso significato. Questo elemento, oltre ad accentuare la perdita delle capacità orientative, unisce quello della via, dell’itinerario, dell’ubicazione del luogo dove si trova la salvezza. L’uomo, immerso in questa tenebra, sperimenta la completa cecità dei sensi e acquista, nel suo totale disorientamento, la coscienza della propria condizione di creatura, assolutamente incapace di salvarsi senza un intervento superiore, come venne a Teseo dal filo che gli offerse Arianna. IL PURGATORIO DI SAN PATRIZIOA riprova e chiarimento di quanto andiamo dicendo, citeremo tra i tanti un altro mito cristiano, quello del Il Purgatorio di San Patrizio.

Nell’Isola di Derg, in Irlanda, vi è un’apertura che nel Medio Evo e in seguito fu ritenuta l’accesso al Purgatorio. Era una caverna, in una piccola isola del lago che secondo la leggenda Cristo indicò a San Patrizio per vincere l’incredulità degl’irlandesi. Si riteneva che, chiunque vi entrasse restandovi un giorno e una notte avrebbe ottenuto il perdono di tutti i propri peccati; sembra però che molti vi entrassero e pochi ne uscissero e il papa, considerata la cosa, decise di far chiudere la caverna nel 1457.

Tale luogo fu detto Purgatorio o Pozzo di San Patrizio. Con Pozzo di San Patrizio si è indicato poi, in seguito ogni abisso o scavo di straordinaria profondità, come il celebre pozzo d’Orvieto. San Patrizio, apostolo dell’Irlanda, avrebbe passato una notte in quella voragine, visitando il regno ultramondano, del quale non volle mai parlare. La stessa cosa fece in seguito un cavaliere, che invece raccontò la sua visita straordinaria in una delle visioni più celebri della letteratura devota. Calderon de la Barca scrisse El purgatorio de San Patricio (1628). L’Ariosto ne parla così: «E vide Ibernia favolosa, dove / Il santo vecchiarel fece la cava, / in che tanta mercé par che si truove / Che l’uom vi purga ogni sua colpa prava» (Orlando Furioso X, 92).

LA GROTTA COME LUOGO DELLA GRANDE EPIFANIAQuesti processi suggestivi e vagamente confusi col magico altro non vogliono dire se non che è nell’isolamento, nell’annientamento di desideri e passioni, nell’annullamento dei bagliori accecanti delle cose, nell’abbattimento della superbia dell’io fino a farlo sentire una cieca voce smarrita nel buio, incapace soltanto di disperazione e d’errore, che si attua il vero contatto con la Vita, la cui grande voce si anima non appena si sono fatte silenziose tutte le altre, futili e insignificanti, e finalmente si manifesta, all’anima spoglia di ogni sollecitazione effimera e dissipatrice dei fenomeni, la Verità, la sola che riesce a pacificarla, a renderla cosciente del senso della propria esistenza e partecipare in pieno al dono della Vita.

Si capisce quindi come la tradizione, nello sforzo di comprendere certi misteri, possa aver accentuato l’aspetto della capanna di Betlemme (Luca – II, 7 – parla di una stalla che nell’ambiente del tempo poteva essere una grotta) con particolari di povertà, freddo oscurità, portandolo all’essenzialità d’una grotta, in quanto questo rende immediatamente comprensibile, almeno inconsciamente, il collegamento tra la Nascita del Salvatore e il mistero della ricerca della Verità e della Salvezza.

Le gallerie del Duomo di PienzaOltre alle cripte, alle cantine, dove per ben altre ragioni si può perdere l’orientamento e la coscienza di sé, vi sono altri luoghi, reali o fantastici, non segnati dal carisma del religioso, ma ricercati per il fascino della suggestione, dato che l’esperienza del mondo sotterraneo, dello smarrimento e della vertigine ha sempre qualcosa da dire anche fuori della ricerca della verità suprema. Spesso si tratta di realtà ignorate o quasi come i Bottini idrici di Siena, le Buche dei ladri a Lucignano (Montespertoli), il Duomo di marmo nelle Cave di Carrara, le Miniere della Montecatini a Rosignano Solvay, i Sotterranei e il Pozzo di S. Patrizio di Orvieto, la Grotta del Vento, la Grotta Giusti di Monsummano, le Grotte Vaticane, i Sotterranei del Battistero di Firenze. Poi ci sono i luoghi fantastici come il Labirinto di Porsenna e la Tomba di Porsenna a Chiusi, a Firenzuola la Buca di Tiberio, l’Abisso di Kubla Kan, le Cantine di Sussi e Biribissi, i Laghi senza fondo, il Maalestrom, le Carceri del Piranesi. Perfino il cielo ha i suoi abissi con i suoi buchi neri. Come fenomeno singolare e recente si presentano oggi, dopo decenni di oblìo i Sotterranei della Cattedrale di Pienza, opera singolarissima per entità e struttura, richiesta dalla necessità di consolidamento del bellissimo tempio fatto costruire da Papa Pio II (1462). Subito dopo il completamento dell’edificio si mostrarono problemi si stabilità che richiesero interventi per fermare movimenti del terreno e dalla struttura e così nel tempo si ebbero vari lavori di manutenzione e preservazione, finché a partire dal 1911 fino al 1934 fu operato sistematicamente sotto la cattedrale, con scavi e murature per consolidare, drenare, fermare le fondamenta. Da questi lavori di sottofondazione e consolidamento sono nate le Gallerie del duomo di Pienza: un complesso veramente straordinario che attualmente la Fabbriceria della Chiesa Cattedrale di Pienza si ripromette di valorizzare e far conoscere, consentendone le visite, come opera singolare di architettura, luogo di grande suggestione per la profondità straordinaria dei vari piani e l’entità dello sviluppo delle gallerie che si dipanano e scendono in stretti cunicoli a volte per oltre 700 metri sotto il tempio.

Cosa singolare che un edificio sacro, che già si connota per la cripta, abbia richiamato, al modo d’un santuario dell’antichità, la creazione di un simile labirinto che al visitatore dà proprio quelle sensazioni di smarrimento e disorientamento che abbiamo descritto per gli ambienti antichi. Le gallerie, rivestite di mattoni o blocchi di travertino, larghe circa 60 centimetri, alte appena due metri, si snodano in curve continue e si affacciano improvvisamente su pozzi che sprofondano vertiginosamente per più piani, mentre il suono d’un ruscello sotterraneo accompagna continuamente il percorso, ingrossandosi con la profondità, con echi arcani che coinvolgono ancor più emotivamente il visitatore.