Cultura & Società

Lo «Stabat Mater» di Franco Simone: Jacopone da Todi incontra il rock

Per Franco Simone (di origine salentina, ma residente in toscana da sempre) l’approdo alla musica sacra non è una novità: un percorso parallelo che ha accompagnato i successi come cantautore (i festival di Sanremo, i milioni di dischi venduti in sudamerica…) e dopo essersi misurato come maestro di canto di suor Cristina (la vincitrice di «The Voice»). Lo Stabat Mater però è un grande passo, la realizzazione di un progetto in testa da tanti anni.

Possiamo dire che inizia una nuova tappa della tua vita artistica?

«Più che cambiare strada è un ritorno alle origini: ho sempre frequentato il mondo religioso, anche come interesse culturale. La teologia, la religione mi hanno affascinato fin dai tempi del liceo classico».

Al liceo è nata anche la tua passione per il latino?

«Ho dato anche lezioni di latino e greco: io penso in latino, è la mia lingua del cuore, più dell’italiano: sento che il mio cervello è conformato sul latino. Dovrebbe essere studiato con più rispetto, perché il latino ha la possibilità di illuminare le menti. Mi dispiace che le nuove generazioni non abbiano la possibilità di studiarlo bene, perché con quelle che hanno chiamato riforme hanno demolito anche lo studio del latino».

Quello di Jacopone da Todi è un latino particolare, siamo nel XIII secolo: lo Stabat Mater è un testo con cui si sono misurati i grandi della musica, da Verdi a Vivaldi…

«Ovviamente non posso pensare di gareggiare con loro. Anzi ringrazio i vari Rossini e Pergolesi perché loro mi hanno fatto innamorare di questo testo. Solo che a un certo punto mi è diventato naturale pensare di mettere della mia musica su questo testo bellissimo».

Un’opera «rock sinfonica»: cosa significa?

«Rock ma anche sinfonica: io ascolto molta più musica “seria” che quella pop, è una cosa utilissima a chiunque faccia musica. Mi viene in mente una donna toscana che amo molto come Gianna Nannini, che non nasconde il suo amore per Puccini. Oppure un grande come Sting, che ha un grande rispetto per la nostra tradizione italiana».

Viene in mente, per restare in Toscana, una figura come Bocelli…

«Esatto, lui ha dato una forma a questo genere. Il tenore che canta con me, Gianluca Paganelli, ha una voce meravigliosa che si sposa molto bene a queste sonorità».

Questo progetto era nel cassetto da tanti anni?

«Sapevo che prima o poi lo avrei fatto, tanto grande era il desiderio. A un certo punto ho cominciato a dire a mia moglie: ogni mattina quando ti svegli mi devi dire: l’hai fatto lo Stabat Mater? Poi la sorpresa è stata che al momento in cui mi sono messo a comporre mi è venuto fuori con una facilità incredibile, più che se fosse stato un testo scritto da me. Diceva Jannacci: l’importante è esagerare. Che non è una frase a effetto: gli artisti devono esagerare, i nostri sentimenti sono sempre esagerati, anche quelli religiosi».

E l’artista deve esprimere questi sentimenti al massimo della loro forza…

«Qui c’è il massimo del dolore che si possa esprimere: il dolore della madre, della Vergine Maria, di fronte al figlio in croce. Un dolore epocale, sconvolgente, ma anche la sintesi e la metafora di tutti i dolori del mondo».

Accanto al tema religioso quindi c’è l’umanità di Maria…

«Infatti nei video che stiamo girando si vede la mamma del tossicodipendente, del ragazzo in carcere, del bambino malato… Il dolore della Vergine che diventa il dolore umano, rappresentato in una meravigliosa esagerazione. Mi sono mosso con sacrificio, ho anche sofferto. Se mi permetti, azzardo anche una spiegazione del perché la creatività artistica maschile è storicamente più sviluppata di quella femminile: perché le donne nel mettere al mondo un figlio fatto un atto creativo così alto che non hanno bisogno di altro. Gli uomini hanno bisogno di “partorire” in altro modo, ma l’atto creativo richiede sempre sofferenza. Notti insonni a cercare la nota giusta… Poi alla fine ti accorgi di essere strumento di qualcosa che non ti appartiene. Non è questione di superbia o modestia: se uno ha un dono deve ringraziare e lavorare perché questi doni diano dei frutti».

Tutto questo approderà in un cd e in un dvd. Intanto arriva nella basilica di San Lorenzo, anche con uno scopo benefico: finanziare il restauro del Pulpito della Passione di Donatello.

«Ci hanno permesso di guardarlo da vicino e siamo rimasti tutti incantati, è un capolavoro di altri tempi, quando le cose si facevano per passione, per il fuoco sacro dell’arte che diventava un sentimento religioso. L’arte ha questa caratteristica di saper esprimere il divino: e Donatello senza dubbio ha questa illuminazione».

Sei stato il maestro di canto di suor Cristina: ma una parte per lei non l’hai prevista?

«Io l’avevo previsto per la verità, la voce femminile poteva essere la sua. Adesso invece la parte è affidata a Rita Cammarano, un soprano fantastico che ha lavorato con Nicola Piovani e Woody Allen. A suor Cristina avevo fatto proposte già in tempi non sospetti: purtroppo mi pare che adesso, dopo la vittoria, non abbia capito niente di quello che deve cantare, sta facendo tutto quello che non dovrebbe fare. Lo dico con affetto perché credo che le farebbe bene tornare con i piedi per terra. La canzone di Madonna che ha scelto, a parte tutti i ragionamenti che si possono fare, è una brutta canzone. E poi quando si ringrazia il Signore per i doni ricevuti bisognerebbe ricordarsi che tra noi e il signore c’è un mondo in mezzo, tante persone che ci stanno intorno, e ringraziare anche loro».

La prima venerdì 6 marzo a Firenze per il restauro del Pulpito di Donatello

Lo Stabat Mater va in scena, in prima assoluta, venerdì 6 marzo alle 21 nella basilica di San Lorenzo: insieme a Franco Simone cantano il tenore Gianluca Paganelli e Michele Cortese, vincitore con il gruppo degli Aram Quartet della prima edizione di X Factor, oltre alla corale polifonica San Michele. Gli incassi della serata serviranno a finanziare il restauro del Pulpito della Passione di Donatello.

Il testo di Jacopone da Todi è un classico della letteratura oltre che una bellissima preghiera: un testo già musicato da autori come Verdi, Pergolesi, Rossini, Vivaldi… Quella di Franco Simone (con gli arrangiamenti di Alex Zuccaro) è una versione della quale un critico esigente come Mario Luzzato Fegiz ha scritto: «musica accattivante, arrangiamento e impasto vocale perfetti…  un’opera rock sinfonica in latino da manuale».

Per informazioni e prenotazioni: 380.2439798, smalzi@libero.it