Cultura & Società

Lunigiana e Garfagnana: il fragrante profumo della Via dei pani

di Gian Marco Mazzanti

Lunigiana e Garfagnana: due lembi di terra toscana. La Lunigiana, dal nome di Luni, antica colonia forse etrusca e certamente romana, è una zona dai caratteri peculiari: sa di Liguria, ma non è Liguria, forse sa anche di Emilia, ma non è neppure Emilia; è Toscana, ma sa poco di Toscana. Geograficamente la Lunigiana è come un triangolo isoscele capovolto dove il vertice basso è individuabile tra la fine del golfo della Spezia e l’inizio della costa tirrenica e la sua superficie si allunga e si distende nell’intero bacino del fiume Magra. Le antiche popolazioni di quest’area, sia per l’interramento del porto con l’avvento della malaria, sia per le frequenti incursioni saracene, avevano spostato l’asse primario dei loro interessi agricoli e commerciali, nell’entroterra. Da questa singolare situazione è nato un mondo agricolo-pastorale che è fortemente influenzato dalle condizioni pedoclimatiche ma, ancor più, da quelle tradizioni esistenziali che hanno profondi legami con le radici liguri. Innanzitutto nell’uso dei cereali: in Lunigiana domina il frumento e il mais non ha mai avuto un posto d’onore; la polenta è nota e rispettata, ma niente di più. I pani di frumento, al contrario, hanno rappresentato un pilastro dell’alimentazione locale; ma non solo pani, anche tutta una serie di prodotti a base di farina di grano tenero che rimane il cereale più vocato per il territorio. In Lunigiana, nel 1887, esistevano ben 427 mulini ad acqua; oggi ne sono rimasti 144 come ruderi e solo 18 attivi che lavorano i frumenti locali, compreso il famoso mais otto file, il farro e le castagne.

Ed è proprio per la presenza di questi mulini che si è cercato di ricostruire una filiera completa del pane. E su questo argomento è necessario comprendere, se vogliamo continuare a mangiare queste tipologie di pane, che tutta la filiera debba funzionare: la coltivazione delle materie prime (grano, granturco, castagne, patate, farro, ecc.) deve avvenire in loco con tecniche e colture tradizionali, che la trasformazione di questi prodotti in farine debba comunque avvenire sempre in loco con mezzi e metodi tradizionali, e che infine la manualità, l’artigianalità della realizzazione di questi pani sia quella tradizionale fatta da panettieri e artigiani della zona.

E proprio quest’ultimo punto, l’artigianalità, è molto importante soprattutto nella produzione del pane. In particolar modo mi riferisco alle tecniche di cottura con i tradizionali forni a legna e non con i mega forni industriali atti solo a produrre grandi quantità di pani commerciali, e alle tecniche di lavorazione con l’impiego di lievito naturale (cosiddetto lievito madre) e di acqua sorgiva (siamo in mezzo alle Apuane).

Spendiamo anche due parole sull’utilizzo del lievito madre che rappresenta il più antico agente lievitante e che conferisce a qualsiasi impasto lievitato leggerezza, morbidezza e fragranza, rendendolo quindi adatto a qualsiasi preparazione che preveda una lunga lievitazione come appunto il pane, la pizza, il panettone e così via. I primi prodotti a base di grano che l’uomo produceva, erano certamente non lievitati; chissà quante volte sarà successo che uno di questi prodotti sia stato «dimenticato» crudo, lasciato all’aria aperta, e quindi fermentato, finché qualcuno non avrà pensato di cuocere questo pezzo di pane: pertanto, il ripetersi di queste circostanze, accidentali prima e volute poi, ha permesso la realizzazione di un prodotto lievitato.

Ed è appunto questa caratteristica della lievitazione che spesso differenzia questi pani; per esempio nella parte più ad est della Lunigiana, ai confini con la Garfagnana, ci sono tanti paesini e ognuno ha il suo tipo di pane ma non perché utilizzano farine o impasti diversi: anche, ma semplicemente perché usano tecniche diverse di lievitazione che poi conferiranno al pane forme, consistenze e, non ultimo, anche sapori diversi tra i vari tipi di pane.

Qualcuno ha voluto parlare di una vera e propria «via dei pani» delle Apuane che si svilupperebbe da Montignoso, sito sulla costa, per risalire la valle del fiume Magra, passando dapprima da Aulla e Podenzana, ancora abbastanza vicine al mare e finire nell’entroterra a Fivizzano, Regnano, Agnino, Vinca e infine Casola. Da qui la «via dei pani» cambia «targa» e prosegue in Garfagnana, la valle adiacente, dove altre culture e altre tradizioni, sfornano (è proprio il caso di dire) altri pani. Ma ne parliamo dopo, anche se è bene rilevare subito un punto di contatto tra le due valli decisamente diverse tra loro: la castagna.

Ma cominciamo questo itinerario della «via dei pani» partendo da Seravezza, piccolo paesino posto nell’entroterra versiliese a pochi chilometri da Forte dei Marmi e dal centro di Massa, e percorriamo un ipotetico cerchio aggirando il Parco delle Alpi Apuane.

Partendo appunto da Seravezza, troviamo non proprio un pane, ma una focaccia: la focaccia di Seravezza. Si tratta quindi di una focaccia realizzata con un impasto di farina di grano tenero e farina di granturco, macinate a pietra, acqua, sale, oltre ad un pesto di lardo, aglio e basilico; la cottura è in forno a legna.

Andando verso Massa, arriviamo a Montagnoso dove troviamo il pane Marocco. Un pane tipicamente invernale (si produceva da novembre a gennaio in coincidenza della raccolta delle olive, ma ora è disponibile tutto l’anno), di colore scuro e dorato in superficie che ricorda il colore della pelle degli abitanti del Marocco, da cui probabilmente il nome. Si tratta di un tipo di pane speciale le cui origini si perdono nella memoria della gente che forse o per variare i gusti della tavola quotidiana o perché la farina di mais era più facilmente reperibile, ai normali ingredienti del pane, unì appunto la farina di granoturco, l’olio e le olive, che venivano prodotti in abbondanza da queste parti, insieme agli aromi mediterranei quali il rosmarino, la salvia, l’aglio e il peperoncino; l’impasto, una volta pronto, veniva posto su foglie di castagno e cotto nel forno a legna.

Da Montignoso ci spostiamo verso il fiume Magra ed entriamo in Lunigiana nella zona di Aulla e Podenzana dove troviamo alcuni prodotti che non sono dei veri e propri pani, ma prodotti che si usano a mo’ di pane. Furono probabilmente i Romani a diffondere, lungo la via Francigena, il loro cibo base, la «puls», una polentina di farina di grano cotta in una pentola di pietra ollare colma d’acqua; è dall’incontro di questo cibo con l’usanze locali della Lunigiana di cuocere gli alimenti in recipienti di terracotta che nascono il «panigaccio di Podenzana» e la «focaccetta di Aulla».

Il «panigaccio», lontano parente del testarolo, si prepara amalgamando la farina di grano con acqua, fino ad ottenere un impasto denso che viene versato in testi di terracotta (convessi), ben arroventati, che a loro volta vengono impilati gli uni sugli altri, formando una pila anche di 10 testi; si consumano caldi con formaggi molli o salumi oppure semplicemente conditi con olio e formaggio grattugiato e poi mangiato a mo’ di tortilla. C’è anche la possibilità di rinvenirli in acqua bollente e condirli con pesto o sugo di funghi. Si racconta che l’usanza di cuocere i panigacci (nome che probabilmente deriva per la contrapposizione al più delicato e soffice pane) su testi di terracotta, sia dovuta ad un errore: mentre una donna versava la pastella in un recipiente, ne cadde un po’ sui caldissimi fornelli e si cosse, poi, siccome non si buttava via niente, venne recuperata e mangiata.

Anche le «focaccette» sono delle specie di schiacciatine di farina grano e di granturco cotte su testi di terracotta; le due farine vengano mescolate tra loro con l’aggiunta di acqua e lievito e, dopo la lievitazione, l’impasto è ridotto in piccole porzioni che vengono poi schiacciate fino ad ottenere delle formelle alte circa un cm; si consumano calde, accompagnate da formaggi freschi e salumi.

Da Aulla e Podenzana, ci dirigiamo nell’entroterra della Lunigiana dove troviamo una miriade di paesini sparsi qua e là, alcuni dei quali abbarbicati su cucuzzoli.

Cominciamo da Po, Signano e Agnino, tre frazioni di Fivizzano, dove soltanto quattro fornai producano un tipo di pane caratteristico di queste parti. Si tratta di un pane che si realizza amalgamando la farina di grano tenero con crusca, acqua, lievito e sale; dall’impasto si formano pagnotte rotonde di circa 800 grammi che vengono cotte esclusivamente in forni a legna.

Proseguiamo verso Vinca, dove troviamo il noto Pane di Vinca. Questo pane deve le sue peculiarità a due fattori: alla sapiente combinazione delle materie prime, la farina di grano tenero e la crusca macinate da un mulino locale secondo procedure tradizionali, e alla lunga lievitazione (12 ore) che conferisce al prodotto maggior fragranza; la pezzatura è di oltre 2 kg e la forma è rotonda.

Da Vinca ci dirigiamo verso Casola, dove troviamo la Marocca di Casola. Siamo in zona collinare-montuosa, quindi ricca di castagneti e, di conseguenza di farina di castagne che, appunto, viene utilizzata per fare questo pane, perché, soprattutto una volta, era il tipo di farina che si trovava più facilmente. E oltre alla farina di grano (una volta era veramente poca) e a quella di castagne, si amalgamo anche delle patate lessate e ridotte a purea; quindi latte, lievito e sale. La consistenza spugnosa è dovuta, appunto, alla presenza delle patate. Pare che il nome derivi dalla parola mediterranea «marra» (=mucchio di sassi) e da «marrone» (=castagno) parola alpina col significato originario di ciottolo. Nel senso corrente locale, il termine sta ad indicare una cosa di consistenza dura, come doveva essere stata la marocca in origine senza l’aggiunta di farina di grano e di latte. La varietà di castagna utilizzata è la «Carpanese», una castagna piccola, ma che si presta molto bene alla produzione di farina; infatti, come dice un proverbio locale… «Castagna piccola, polenta grossa». Il peso è circa mezzo chilo e si conserva molto a lungo. Il suo utilizzo è con miele o marmellata, o con lardo appena scaldato, o con la ricotta.

Nei pressi di Casola c’è un altro paese, Regnano, dove si sforna un altro tipo di pane: il pane di Regnano. Pane ottenuto da un impasto di farina di grano e patate lessate. E sono proprio le patate, una varietà coltivata secondo la tradizione (sagra a fine luglio), che permettono al pane di mantenere una particolare fragranza e sapore.

A questo punto, lasciamo la provincia di Massa e rientriamo in quella di Lucca e più precisamente in Garfagnana.

Probabilmente, nella straordinaria varietà del territorio toscano, esiste una sola vallata che, per particolari caratteristiche del territorio e per il carattere delle sue genti, è unica nel suo genere.

Questa terra è la Garfagnana, posta tra le Alpi Apuane e l’Appennino Tosco-Emiliano, lungo il corso del fiume Serchio, ricca di castagneti e faggeti, ma anche di ampie radure dove si coltiva uno dei cereali più antichi e rinomati: il farro. Questo antichissimo cereale, già in uso in Egitto nel settimo millennio avanti Cristo e poi introdotto in Europa dai Greci, è coltivato in pochissime zone; una di queste è la Garfagnana dove si è ben adattato nei poveri terreni della media e alta collina. Nei territori più fertili della Garfagnana, si coltiva anche un altro cereale: il «granoturco otto file», in loco chiamato formentone. In questo caso si tratta di un cereale coltivato, per lo più, per la produzione di un tipo di farina particolarmente fine e profumata, con la quale si realizzano, oltre al pane, delicatissime polente o zuppe come l’infarinata. Ma c’è anche una altro tipo di farina, questa volta non ricavata dai cereali, ma dai frutti dei castagni che in queste zone abbondano veramente. Le castagne, raccolte in autunno ed essiccate lentamente al fuoco dei caratteristici «metati», una volta macinate, si trasformano in una farina (la cosiddetta farina di neccio) con la quale si preparano pani, dolci tipici e una polenta del tutto originale per sapore e profumo.

Ma vediamo un po’ più da vicino queste varietà di pane cominciando da quello più raro: il pane di farro. Raro perché, nonostante che il farro sia ampiamente diffuso e apprezzato, il «pane di farro» è preparato in quantità molto limitata e può considerarsi a tutti gli effetti a rischio d’estinzione. L’impasto è formato da una mescola di farina di farro (55%) e farina di grano tenero (45%), lievito, olio, acqua e sale.

Un altro tipo di pane insolito e particolarmente ricercato è il pane di granturco otto file, così chiamato perché la varietà di mais usato ha una pannocchia dotata di otto colonne di semi. Con la farina ricavata dai suoi chicchi, gonfi e tondeggianti, di un acceso colore arancione, si produce, ormai solo su ordinazione, il cosiddetto «pan di formenton». L’impasto prevede una miscela di farina di granoturco (70%) e grano tenero (30%) oltre a lievito, acqua di sorgente e sale.

Il pane, probabilmente, più antico della Garfagnana, che vanta una tradizione almeno 150 anni, è il pane di patate, chiamato anche «garfagnino» o «panon». L’impasto si ricava mescolando farina di grano tenero, patate lesse (15%), lievito, acqua, olio e sale. Per questo tipo di pane è nato anche un presidio Slow Food proprio perché questo pane è fortemente legato ai prodotti dell’agricoltura locale ed è quindi ancora possibile ricostruire una filiera che ricolleghi aziende agricole, mulini a pietra e forni a legna.

Infine concludiamo questa rassegna di pani con un pane legato alla tradizione della farina di castagne che, da queste parti, ha radici antiche: il pane di neccio della Garfagnana. Per «neccio» si intende la farina di neccio che non è altro che il nome comune della farina di castagne. Si dice che la ricetta di questo pane fosse già nota in epoca romana e prevede un impasto costituito da farina di castagne (60%) e di grano tenero (40%), lievito, acqua e sale. Il segreto della bontà di questo prodotto è da ricercare nell’attenta lavorazione della materia prima, cioè delle castagne; la farina ottenuta da questa varietà ha un colore che va dal bianco all’avorio scuro, e ha un sapore dolce ma caratterizzato da un leggero retrogusto amarognolo.

Dove comprare

  • Pane di Vinca – Panificio Achilli, Via Tedesca 1, loc. Vinca, Fivizzano (MS), tel. 0585-949910.

  • Pane di Signano – Panificio Traversi, loc. Signano, Fivizzano (Ms), tel. 0585-92216.

  • Pane di Regnano – Assoc. Amici di Regnano, fraz. Regnano, Casola (Ms), tel. 0585-983017.

  • Pane di Azzano – Panificio Folini, Via Pianello 31, Azzano-Seravezza (Lu), tel. 0584-773377.

  • Pane marocco – Panificio Bonotti, Via Roma 71, Montignoso (Ms), tel. 0585-349382.

  • Pane di Agnino – Panificio Santini, loc. Agnino, Fivizzano (MS), tel. 0585-984034.

  • Pane Marocca – Forno «La Marocca di Casola», loc. Casciana, Casola (Ms), tel. 0585-949122.

  • Pane di patate – Panificio Angela, Via Garibaldi 12f, Castelnuovo Garf. (Lu), tel. 0583-62656.

  • Pane di patate – Panificio Lazzeri, Via Provinciale, Pontestazzemese (Lu), tel. 0584-777194.