Cultura & Società

Maggio musicale fiorentino, grande successo della giornata inaugurale

La giornatona della Prima diffusa dell’83° Maggio Musicale Fiorentino era iniziata la mattina con la lectio di Magris, poi ha visto protagonisti vari complessi (del teatro e non solo) in varie parti della città, rendendo davvero «festa» questa inaugurazione, che ha assunto questo clima così piacevole da quando è stato insediato il Sovrintendente Cristiano Chiarot.

Ma all’aspetto piacevole si è affiancato anche quello di grande qualità, perché il pomeriggio e la serata hanno offerto ben tre composizioni contemporanee (come deve essere nelle corde del nostro festival fiorentino, che è anche il più antico d’Italia): due dedicate a Leonardo Da Vinci, Leonardesca di Luca Giovanni Logi (eseguita ottimamente presso la Fondazione Zeffirelli, insieme ad altri brani, dal Coro delle Voci Bianche del Teatro del Maggio, diretto da Lorenzo Fratini) e  Visione musicale per 500 ottoni e percussioni di Giorgio Battistelli, eseguita sul Piazzale Vittorio Gui, cioè quello antistante al Teatro stesso, che ha creato un momento di grande suggestione, sia per la mole dell’organico (che ha richiesto tre direttori) sia per la presenza del pubblico tutto attorno agli esecutori, in un clima di vicinanza alla musica che certo ha entusiasmato gli ascoltatori.

Poi, nel teatro, l’opera inaugurale ufficiale: Lear di Aribert Reimann, compositore tedesco che è riuscito dove nell’Ottocento nessun altro ci era riuscito, neppure Verdi, che tanto amava Shakespeare. Reimann, su libretto in lingua tedesca  di Claus H. Hennenberg, è riuscito a rendere in musica una delle più difficili tragedie shakespeariane, restituendo con i suoni tutto il pathos del King Lear, ma (grazie anche al suo librettista) a far scorrere le vicende parallele del testo originale, che tanto avevano scoraggiato Verdi stesso, che aveva scritto a Cammarano «così vasto, così intrecciato sembra impossibile cavarne un melodramma». Massiccio l’uso delle percussioni con tutta la tavolozza timbrica che esse offrono e che il maestro Luisi, concertatore e direttore, è riuscito ad amalgamare perfettamente nella tavolozza sonora, nella trama della partitura, difficile da tenere in equilibrio, soprattutto con le voci. Sì, perché la vocalità con cui Reimann ha dato vita ai personaggi è impervia, molto, ma per fortuna erano schierati nel cast dei calibri ottimi, che hanno garantito una esecuzione  entusiasmante. In particolare Bo Skovhus, nel ruolo del protagonista,  ma anche il finissimo controtenore Andres Watts nel ruolo di Edgar, nonché le tre protagoniste femminili  Ángeles Blancas Gulìn, Erika Sunnegård e Agneta Eichenholz. E loro, come anche il resto del cast e il coro maschile (preparato da Lorenzo Fratini con la consueta cura e qualità di risultato) sono stati mirabilmente guidati da Fabio Luisi, che ha dimostrato ancora una volta di essere un grande direttore novecentesco (oltre che di altro repertorio), che restituisce partiture anche complesse come quella di Reimann (piena di suggestioni espressioniste) con grande nitore.

Con una essenziale ma efficacissima scenografia  di Rebecca Ringst, in cui le luci di Franck Evin sono state determinanti, ha avuto gran successo anche la regia di Calixto Bieito che si è avvalso dei costumi Ingo Krügler  (anche lui assai apprezzato). Un trionfo.