Cultura & Società

Manzoni e la Toscana, amore a prima vista

Dopo la Lombardia – dove nacque e visse – la Toscana era indubbiamente la regione prediletta di Alessandro Manzoni. Fu un «innamoramento a prima vista». Fin dall’estate 1927, quando – per risolvere la tormentosa questione della lingua – portò per tre mesi lungo le rive dell’Arno e sulla costa labronica tutta la famiglia (la mamma Giulia Beccaria, la moglie Enrichetta, otto dei nove figli: mancava solo il più piccolo, Filippo), accompagnata da tre domestici. Fu un viaggio a tappe avventuroso (una delle carrozze finì in una scarpata) sulla rotta stradale Pavia- Genova-Pisa-Livorno-Firenze. All’ombra del Cupolone il romanziere – quarantaduenne e da più di dieci anni convertito al cattolicesimo – si trattenne per quasi tutto settembre. Una vacanza allo stesso tempo di lavoro, che gli consentì di far conoscere agli esigenti intellettuali toscani la prima edizione dei Promessi sposi fresca di stampa. E di preparare il terreno per più intense relazioni con esponenti del mondo della Cultura e della politica (sua nuova passione, insieme all’interesse per la botanica e l’agricoltura), poi intensificate negli anni cruciali del Risorgimento con frequenti contatti epistolari e nuovi soggiorni in Toscana: nel 1852, nel 1856 e l’ultimo nel 1864, a 79 anni.

Sul «Manzoni toscano», dopo gli studi del professore Pietro Floriani dell’ateneo pisano, sono appena venuti alla luce carteggi inediti curati da un altro pisano di origine ma fiorentino di adozione, il professor Alessandro Panajia, che ci consentono di ripercorrere in modo più completo ed organico la rete di amicizie di «don Lisander» (in un volume è ricostruita pure quella con il «poeta di Monsummano» Giuseppe Giusti) e di capire com’è maturata la sua scelta linguistica «unitaria», poi adottata in tutt’Italia.Professor Panajia, la Toscana ha certamente esercitato un influsso fondamentale sulla svolta linguistica di Alessandro Manzoni. Ha trovato conferme anche dal carteggio di Lyda Prini Aulla Trotti Bentivoglio?

«Sin dal suo primo viaggio, nel luglio 1827, Manzoni portò in Toscana il suo romanzo appena stampato Ed il soggiorno – giustificato dalla declinante salute della moglie Enrichetta, che fece dei bagni di mare a Livorno – in realtà era stato organizzato con il progetto di correggere la lingua degli appena editi Promessi Sposi. Molte sono i riferimenti che ho potuto riscontrare nel carteggio di Lyda Prini Aulla alla famiglia Manzoni. Importante, poi, è stato lo stretto rapporto lavorativo con la coautrice del volume Paola Winsemann Falghera Bassi, discendente diretta dei Trotti Bentivoglio e del poeta lombardo. Un prezioso aiuto mi è stato fornito dalla dottoressa Jone Riva, attenta e premurosa vestale di quella prestigiosa Istituzione milanese che risponde al nome di Casa del Manzoni di via del Morone».

Possiamo dire allora che Lyda Prini abbia avuto un rapporto particolarmente intenso con la «famiglia manzoniana»? Tra l’altro le figlie di Alessandro, Matilde e Vittoria, hanno vissuto a lungo in Toscana…

«Lyda Prini ebbe un rapporto privilegiato con i Manzoni: suo fratello Lodovico nel 1838 aveva sposato Sofia Manzoni. Alla morte di Sofia (1845), Lyda ed il marito si presero cura dei figli maggiori della coppia, Antonio e Alessandro, che erano stati posti nel collegio pisano diretto dal poeta satirico Antonio Guadagnoli. Molte nelle lettere di Lyda sono le parole affettuose verso questi fanciulli, spesso ospiti nel suo palazzo o nelle sue residenze di campagna. Altro motivi che legava Lyda a casa Manzoni era la presenza a Pisa di Vittoria Manzoni, sposato al professor G. B. Giorgini, e della sorella minore, l’infelice e sfortunata Matilde. Nella corrispondenza di Lyda, spesso si leggono riferimenti a Vittoria per le quotidiane visite o alla malferma salute di Matilde. Altre volte apprendiamo, invece, di occasioni mondane che le videro protagoniste. Altro legame con i Manzoni era costituito dalla sincera amicizia e consuetudine che Lyda ebbe con Massimo d’Azeglio, genero del Manzoni, e con la seconda moglie Luisa Blondel Maumary durante i loro frequenti soggiorni pisani. Spesso l’adolescente figlio di Lyda, Pietro, scortava “tante” d’Azeglio nelle “trottate” a cavallo. Vorrei far notare che nel suo primo soggiorno a Firenze Manzoni abitò a palazzo Gianfigliazzi di lungarno Corsini 4, dove Lyda Prini disponeva del mezzanino per i suoi pernottamenti fiorentini».

Ma nel breve soggiorno del Manzoni a Pisa nel 1827 – dopo l’uscita della prima edizione dei «Promossi Sposi» – non fu importante anche l’incontro con lo scrittore spiritualista Xavier de Maistre?

«Non sappiamo con certezza se i due scrittori si incontrarono in occasione del soggiorno del 1827, ma la presenza dello scrittore savoiardo a Pisa è testimoniata da un elenco degli Stranieri di Distinzione, conservato nell’Archivio di Stato di Pisa. Una congiunta di De Maistre, Elisa, aveva sposato un aristocratico pisano, parente dei Prini. Ritengo che tale conoscenza abbia avuto luogo, magari nei saloni di palazzo Prini».

In quel primo viaggio, dopo la vacanza a Pisa e Livorno, Alessandro Manzoni si fermò quasi un mese a Firenze. Quali furono i contatti decisivi per preparare la nuova e definitiva versione del suo romanzo-capolavoro, pubblicata dopo il 1840?

«Per “risciacquare i panni in Arno” ( cioè per liberarsi da un tipo di lingua ancora troppo legata a quella “morta” dei puristi) fu la frequentazione fiorentina del Manzoni del circolo del Vieusseux. Tra i tanti che si raccoglievano nelle stanze di Palazzo Buondelmonti, importanti per tale revisione furono il medico, chimico, filologo e lessicografo Gaetano Cioni ed il commediografo Giovan Battista Niccolini. Altro personaggio al quale Manzoni chiese aiuto fu la signora Emilia Luti. Il romanziere pensava che il fiorentino dei “ben parlanti” potesse fare al caso. Si avvalse così dell’aiuto della Luti che seguì, poi, la famiglia Manzoni a Milano come istitutrice delle figlie. Dopo casa Manzoni, la Luti passò in casa Litta Modignani e poi in quella Bassi, come ricorda sia il carteggio di Lyda e la tradizione familiare dei discendenti Bassi. La Luti morirà a Milano assistita dalle signorine Bassi da lei educate».

Manzoni ritornerà poi altre volte in Toscana, nel 1852 e nel 1856. Fu una presenza dai risvolti significativi?

«Bisogna precisare che nel 1852, quando Manzoni tornò in Toscana per la seconda volta, la sua situazione personale e familiare era mutata, così come molto era cambiato nella politica del Granducato (scosso dai moti del 1848) dal quale si era congedato 25 anni prima. Erano morte (1833) la moglie Enrichetta, la madre Giulia Beccaria (1841), la figlia Giulia Claudia, infelice sposa di Massimo d’Azeglio e due altre figlie: Cristina e Sofia. Nel 1837, poi, don Lisander si era risposato con Teresa Borri, vedova del conte Stampa. Questo fu un viaggio improntato ai sentimenti familiari, quasi risarcitorio di una lontananza fisica nei confronti delle figlie Vittoria e Matilde. Non mancò però l’aspetto intellettuale: una visita a Gino Capponi nella villa di Varramista e la partecipazione a Pisa ad una colazione in casa del professore Ranieri Sbragia, conosciuto anni prima a Lesa, ed in compagnia dei coniugi Prini, presenza “quasi” familiare. Il turista Manzoni fece, inoltre, l’esperienza del suo primo viaggio per “strada di ferro” (Pisa-Siena) in compagnia del filantropo livornese Enrico Mayer. Il viaggio del 1856 fu, invece, contraddistinto da lunghe permanenze a Varramista, ospite di Gino Capponi. I due autorevoli vecchi lavorarono ad un esperimento di vocabolario italiano che aveva anche un profondo “senso” politico. In questa occasione Manzoni ebbe l’occasione di visitare a Pisa, oltre alla piazza del Duomo, il Museo di Storia Naturale con Cicerone il professor Paolo Savi, amico del genero Giorgini».

Nel carteggio di Lyda Prini ha però trovato interessanti riferimenti ad un’altra sosta del romanziere presso Pisa: nel 1864, allora aveva 79 anni, era vedovo e Senatore del Regno.

«Sì, questa visita alla villa settecentecesca dei Prini a Pontasserchio sino ad oggi era rimasta sconosciuta agli studiosi di Manzoni. In una lettera di Lyda alla sorella Margherita Provana di Collegno del giugno 1864 così scrive: … Sai che uno di questi giorni avremo a passare la giornata da noi in Campagna D. Allessandro (sic) Manzoni? È stato Bista che si è invitato da sé con suo Suocero, io non avevo avuto il coraggio di invitarlo…».

Questo epistolario disegna indubbiamente un bell’affresco dell’aristocrazia risorgimentale che circondava i Prini Trotti Bentivoglio e la «famiglia manzoniana». Ce lo può sintetizzare?

«Le lettere di Lyda Prini alle sorelle Maria Bassi e Margherita Provana di Collegno sono scritte da una donna di grande sensibilità e di ottima cultura, che – nel narrare gli incontri o descrivere le passeggiate in carrozza o a cavallo e la natura che la circonda – usa indifferentemente l’italiano e il francese. Nel suo salotto Lyda riceve sempre vecchi e nuovi amici fra i nomi più importanti dell’aristocrazia dell’epoca e del nostro Risorgimento. La raffinata signora appare una spettatrice attenta e prudente degli avvenimenti politici degli anni risorgimentali. E ne segue da vicino i dibattiti che le vengono relazionati, in particolare, dalle sorelle Costanza e Margherita, dai cognati Provana di Collegno, Arconati Visconti e da una ristretta cerchia di amici che rispondono al nome di Giuseppe Montanelli, Giovan Battista Giorgini, Ottaviano Mossotti, Massimo e Luisa d’Azeglio, abituali frequentatori del suo salotto».

Professor Panajia, in un’altra sua ricerca appena pubblicata ci fa scoprire alcuni aspetti inediti del legame di amicizia e di stima tra Manzoni e Giuseppe Giusti. Quando e come è nato?

«Il rapporto tra Giusti e Manzoni fu dapprima epistolare ed ebbe inizio nel 1844. Dal tono formale delle missive iniziali si passa al “tu” della maggior parte delle lettere. Stima, amicizia e confidenza furono i sentimenti che unirono i due scrittori. La fama di Giusti – che all’epoca ebbe un successo travolgente – aveva raggiunto anche Manzoni. Don Lisander era incuriosito da quella lingua di tono popolare che Giusti sapientemente sapeva usare nei suoi “scherzi” satirici; e ammirava quei versi scritti in uno stile familiare che sapeva di prosa, quei ritmi svelti che sembravano improvvisati e non lo erano; insomma, ammirava quello scrittore che aveva restituito la poesia satirica alla sua funzione morale, civile e patriottica».

Una trentina di lettere bastano per capire le loro preferenze letterarie. Chi erano gli scrittori e poeti che gravitavano attorno al loro mondo?

«Di tutte le figure manzoniane al Giusti la più cara era quella di Padre Cristoforo. In una lettera al Manzoni del 1845, di poco antecedente alla sua partenza per Milano, il poeta di Monsummano così scriveva … appena trovato padre Cristoforo, ritrovai quella parte di me che stimavo smarrita o rimasta fuori dall’uscio … A Milano Giusti ebbe modo di conoscere e di entrare in dimestichezza con gli scrittori che facevano capo a Manzoni, in particolare con Giovanni Torti, Tommaso Grossi e Antonio Rosmini».

Quale tracce ha lasciato il soggiorno del «poeta di Monsummano» a Milano?

«Nel medesimo archivio privato milanese ho rinvenuto alcune carte autografe del Giusti. La consistenza di questo fondo archivistico è formata da due lettere autografe, una delle quali è indirizzata a Alessandro Manzoni e già nota con alcune varianti nella trascrizione di Giovanni Frassi, mentre la seconda, è inedita ed è indirizzata a Lodovico Trotti Bentivoglio, genero del Manzoni. Il fondo conserva, inoltre, dei versi inediti del Giusti dal titolo Lodi e Consigli al mio Vecchio amico Battista (Giorgini). Il nucleo di documenti del poeta di Monsummano è, infine, completato da un raro fascicolo a stampa dello scherzo L’Amor Pacifico edito nel 1846 da Le Monnier, con dedica autografa di Giusti a Margherita Provana di Collegno, moglie di Giacinto, uno dei più importanti fautori dell’Unità d’Italia e sorella di Lodovico e di Lyda».

Le sue ricognizioni, riportate in due volumi, come sono state accolte dagli studiosi?

«Ambedue le pubblicazioni si onorano del logo e del patrocinio delle prestigiose Istituzioni di Casa Manzoni e di Casa Giusti. La mia incursione nel mondo manzoniano è stata accolta in modo quanto mai lusinghiero ed entusiastico dal professor Angelo Stella, massimo studioso del Manzoni nonché Presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani. In ottobre il mio volume avrà l’onore di una presentazione a Casa Manzoni, alla presenza di studiosi e del sindaco di Milano. Anche il Direttore del Museo di Casa Giusti, architetto Stefano Veloci, si è fatto promotore di una illustrazione a Monsummano, che avrà luogo nel prossimo autunno con la partecipazione dell’Associazione degli Amici di Casa Giusti. Tra gli studiosi di Manzoni per ora conosco, oltre al giudizio del professor Stella, quello di Piero Floriani dell’Ateneo pisano, che in occasione di una prima presentazione nell’ambito delle manifestazioni del “Giugno pisano” così mi scrive: il tuo interessantissimo lavoro meritava molto più tempo e dettaglio…. Ma Floriani è un vecchio amico e quindi aspetto, con trepidazione, l’esito della presentazione milanese»!

LA SCHEDA: Il prof e la sua impresa in due volumiPrima tante «escursioni» nella storia toscana, soprattutto pubblicazioni dedicate alla natia Pisa ed ai suoi Caffè letterari, al costume della Belle Epoque ed ai tempi dei Savoia a San Rossore; alla Firenze aristocratica e ai personaggi vip (basterebbe ricordare D’Annunzio, De Amicis, Carducci, la Duse, Gianni Agnelli, Émile Zola, Sthendal, i  reali d’Inghilterra, Farah Dibah, lo scià di Persia Reza Pahlavi, Grace e Ranieri di Monaco, Audrey Hepburn, Franco Zeffirelli) che nel Novecento ruotavano attorno a «Doney» nel salotto di via Tornabuoni. Poi il professor Alessandro Panajia ha orientato i suoi approfondimenti sul periodo pisano di Giacomo Leopardi: a lui si deve il ritrovamento di un’inedita lettera del poeta recanatese e di altri documenti della famiglia Leopardi. E quando ha lasciato l’insegnamento e l’incarico di vicepreside al Liceo scientifico «Da Vinci» – con il rammarico di colleghi ed allievi fiorentini – si è immerso in un’impresa che sembrava impossibile: quella di ricostruire – aggiungendovi novità – le visitazioni toscane di Alessandro Manzoni e di tutta la sua numerosa famiglia, il rapporto con gli intellettuali che lo hanno aiutato a «sciacquare i cenci in Arno» ed a scrivere in una lingua «unitaria» la seconda e definitiva versione dei «Promessi sposi», a tessere relazioni di amicizia e confidenza con il poeta Giuseppe Giusti, che aveva una «ammirazione sconfinata» per don Lisander.

Studi, epistolari raccolti ed analizzati in due volumi, appena diffusi dalle Edizioni ETS. Il primo (Dal Lungarno ai Navigli – Il carteggio di Lyda Prini Aulla Trotti Bentivogli, pagine 274 euro 28) curato insieme a Paola Winsemann Falghera Bassi, discendente diretta dei Trotti Bentivoglio e dello stesso poeta lombardo.

La vita di Lyda – ricca di avvenimenti, il suo far parte per nascita dell’aristocrazia internazionale e la consanguineità non solo con i Manzoni ma con altri personaggi di spicco del Risorgimento – fanno delle sue lettere una miniera impareggiabile di informazioni sulla società e sui protagonisti della seconda metà dell’Ottocento in Italia e in Toscana. Come scrive in una autorevole introduzione il professor Angelo Stella, nel carteggio «la “famiglia Manzoni” si allarga, silenziosamente, alla “parentela Manzoni”, e la supera; raggruppando generi, nuore, cognate, nipoti, cugini, conoscenti, su cui le donne di casa Trotti Bentivoglio, indipendentemente dai palazzi di approdo nuziale, governano da signore e Lui, nella sua lontananza, appare con fisionomia quotidiana ma come ibernato nel limbo degli uomini intoccabili».

Non meno coinvolgente ed importante è il secondo volume pubblicato sempre da ETS, la moderna Casa editrice pisana di Gianfranco, Gloria e Sandra Borghini che ha già superato il mezzo secolo di vita: Giuseppe Giusti a Milano – Tracce del poeta in un archivio privato lombardo, pagine 74, euro 10. Qui spiccano alcuni inediti, come la lettera in versione integrale scritta al Manzoni nell’agosto 1845, prima di partire per Milano, in cui descrive la figura di Padre Cristoforo come «un gran rifugio quando mi sento freddo e inaridito»; o la missiva – ritrovata sempre da Panajia – che il «poeta di Monsummano» inviò, accompagnandola con alcuni versi, all’amico Lodovico Trotti Bentivoglio. Scoperta che fa riproporre ad Elisabetta Benucci (svolge da tempo attività di ricerca presso l’Archivio dell’Accademia della Crusca e ne coordina le attività ed i progetti dal 2003) l’antica e non risolta questione dell’Epistolario: «C’è la necessità di rimettere mano a un censimento completo di tutti i manoscritti di Giusti dentro e fuori i confini della Toscana. L’auspicio è che si possa dar vita presto a queste operazioni con lo scopo di giungere a un’Edizione nazionale delle opere e delle lettere di Giusti, nel loro nucleo centrale testimonianza fra le più significative dell’epistolografia ottocentesca». Un appello che gli studiosi di letteratura non possono non sottoscrivere.