Cultura & Società

Marco Masini e il Covid: “Speriamo di uscirne del tutto perché siamo fatti per stare insieme”

Marco, com’è andato il lockdown? Come hai vissuto questo periodo?«Come tutti: sono stato a casa. Abito vicino all’Impruneta; sono uscito solo per andare a trovare mio padre, che è disabile e a letto, per assisterlo insieme a mia sorella. Avendo la fortuna di avere uno studio mio di registrazione, ho approfittato di questo tempo per cercare di scrivere qualcosa e aggiornare la mia libreria di suoni, i miei software per essere domani più preparato. Poi un po’ di lettura, serie tv, giardinaggio… Per il resto ho vissuto stando sempre attento alle notizie, leggendo riviste mediche e tenendomi informato sul virus, almeno per quello che ci hanno detto». Personalmente hai dovuto rinunciare a un sacco di appuntamenti dopo Sanremo. Come prevedi la tua ripartenza?«Dopo Sanremo ho dovuto rinunciare a tutto e questo fa dispiacere, però quando guardi le scene di Bergamo non pensi più agli appuntamenti, cerchi di sperare che possa finire al più presto. La mia ripartenza non so neppure quando sarà; credo l’anno prossimo. Il problema non è convincere noi artisti a fare un concerto in un teatro con 300 persone invece di 1800 ma è convincere gli organizzatori perché ci rimetterebbero anche se l’artista dovesse andare gratis, perché tutto l’incasso andrebbe a favore dell’affitto del teatro, dei tecnici, dei facchini e di tutti quelli che si muovono per 300 persone». In effetti una bella botta l’hanno avuta anche i collaboratori, tutto lo staff che permette di mettere in piedi gli eventi…«È vero, noi artisti siamo un po’ la punta dell’iceberg ma dietro c’è tutta una manovalanza di liberi professionisti, non garantiti, senza nessun tipo di cassa integrazione o tutele di altro tipo. I ragazzi che vediamo ai concerti devono sapere che dietro al nostro lavoro c’è quello di tantissime altre persone, dai tecnici a chi guida il camion e a chi monta il palco, che devono stare a stretto contatto per riuscire a garantire il concerto per la sera. Se pensi che dietro a un concerto di Vasco Rossi ci sono duemila persone che lavorano, capisci che è un’industria a tutti gli effetti. Dietro alla musica ci sono tanti ruoli e la crisi si ripercuote anche sugli autori, che non sono protagonisti ma scrivono canzoni per altri, quindi con i concerti fermi la Siae non gira e molti si ritrovano a dover fare i conti con un reddito nullo. Poi ci sono i vocalist, i dj, coloro che lavorano nei ristoranti, che fanno matrimoni, compleanni, che suonano nei locali, che fanno musica dal vivo… Quindi il settore musicale è colpito in pieno». C’è chi dice che la pandemia ci cambierà in meglio, altri pensano che ci lascerà uguali se non peggiori. Tu che ne dici?«Dal punto di vista economico è stata un pugno nello stomaco; ci ha dato ancora meno credibilità e quelli che pagheranno di più saranno i nostri figli. Questo Paese era già in crisi prima e con tutti i tagli fatti aveva già, purtroppo, un sistema sanitario precario. L’assistenza sanitaria sul territorio è fondamentale, soprattutto adesso dovrebbe essere garantita anche a livello domiciliare: e invece i dottori a casa non venivano, com’è successo per mio padre, anche se la Toscana forse è stata fra le regioni più fortunate. Da un punto di vista valoriale, le persone che hanno sempre avuto dei valori continueranno ad averli e a insegnarli ai loro figli. Chi non ha valori, umanità e senso di solidarietà non li avrà mai: può succedere anche la fine del mondo ma non cambierà niente. Credo che sia proprio un problema di istruzione e di cultura a livello sociale che parte dalle famiglie e dalle scuole. Oggi mancano riferimenti politici, ideologici e c’è molta approssimazione nell’informazione politica e non solo». E come credi alla fine che ne usciremo?«È un momento difficile, per alcuni tragico, ma credo che si debba sperare che la vita ricominci con la sua normalità. C’è da fare i conti con tante cose, prima di tutto le bugie sul vaccino, perché se anche oggi qualcuno lo trovasse, lo venderebbe a un’industria farmaceutica in grado di garantirgli più soldi, quindi prima di poterne usufruire dovrebbero passare molti mesi. La speranza è che si possa trovare un farmaco che agisca prima che il virus possa compromettere l’organismo. Comunque non posso immaginare che si debba vivere per tre, quattro anni lontano l’uno dall’altro, altrimenti le emozioni e i sentimenti diventano virtuali e l’umanità ne risentirebbe parecchio. Per questo, al primo segnale di apertura, ha ripreso il via la movida e tutto ciò che è comunque la normalità: pur condannando certi gesti di irresponsabilità, devo ammettere che socializzare fa parte della nostra natura. Poi se di nuovo la curva si alza dovremo trarne le conseguenze».