Cultura & Società

Mazzolari e quel filo spirituale con la Toscana

«Dovete andare controcorrente». L’esortazione che Papa Francesco ha rivolto ai giovani ci ripropone l’attualità della lezione di don Primo Mazzolari, rinfrescata dalla ristampa di «Come pecore in mezzo ai lupi» (editore Chiarelettere, pagine 150, 7 euro), che raccoglie una piccolissima parte degli scritti dello straordinario prete padano parroco di Bozzolo. Lui che, per amore della «Chiesa dei poveri», controcorrente ci andò davvero. Con coraggio, anticipando alcune dottrine pastorali del Concilio Vaticano II, in particolare riguardo il rinnovamento ecclesiale, la libertà religiosa, il «dialogo con i lontani», l’obiezione di coscienza sulla moralità della guerra. Nel piccolo paesino di confine tra le province di Cremona e Mantova infatti seppe esprimere tutta la sua capacità di collegare il Vangelo con l’impegno concreto nella società, di annunciare e battersi per la democrazia, di stare all’interno di tutte le situazioni complesse di quel drammatico periodo storico compreso tra gli Anni Trenta e Cinquanta: la dittatura del Fascismo, la Resistenza e l’impegno per dare all’Italia una Costituzione. Come sottolinea nella prefazione del volume don Virgilio Colmegna, presidente della Casa della Carità di Milano, è fin troppo facile cogliere nelle riflessioni e predicazioni di don Mazzolari una grande contemporaneità, che ci riporta appunto al magistero di Bergoglio: al difficile momento che stiamo vivendo , con una società civile che certamente è ricca di presenze, di articolazione, di volontariato che nasce anche dal mondo cattolico, che si incrocia con culture diverse, ma che deve soprattutto ritrovare capacità di cambiamento e sobrietà di vita, incarnandoli nelle relazioni per non rendere astratti valori e principi.

Valori e principi che avevano portato don Primo a creare una sorta di «ponte» ideale e spirituale con la Toscana: a coltivare l’amicizia con Giorgio La Pira, con il fondatore di Nomadelfia don Zeno Saltini; con padre Reginaldo Santilli direttore del Centro cattolico di Studi sociali; con padre David Maria Turoldo, conosciuto a Milano ben prima che il poeta servita approdasse nel convento fiorentino della Santissima Annunziata; infine con padre Ernesto Balducci e don Lorenzo Milani, che scriveva articoli per una sua rivista, «Adesso». Tutti pronti a testimoniare la sua fedeltà alla Chiesa nel momento della sofferenza (sopportata con grande dignità!), quando arrivarono le prime dure censure del Sant’Uffizio, poi cancellate dall’incontro (5 febbraio 1959) e dall’abbraccio fraterno e liberatorio con Giovanni XXIII, in cui lo chiamò confidenzialmente «la tromba dello Spirito Santo della sua terra». Tra i miei appunti proprio in questi giorni ho ritrovato annotazioni sull’edificante profilo del priore di Bozzolo tracciato in una conferenza al Servizio Ecclesiale Toscano (alla fine degli Anni Settanta), dal suo discepolo e primo più accreditato storico, don Carlo Bellò, di cui proprio quest’anno ricorre il trentennale della prematura morte, a soli 60 anni.

Gratificandomi per le comuni origini cremonesi, nel corso della successiva agape fraterna nell’allora mia abitazione di Costa San Giorgio, sciorinando aneddoti e richiamando lettere inedite poi pubblicate nei mesi seguenti, aprì sul suo grande Maestro un bel confronto tra gli attenti quanto illustri commensali (padre Santilli, monsignor Gastone Simoni, padre Gino Ciolini e Giovanni Pallanti). È presto riassunto il pensiero di Bellò: «Per me Mazzolari è stato prete così: il suo messaggio è fatto di predicazione e di esistenza. La mediazione tra fede e realtà contemporanea avvenne per lui e per molti mediante la “persona”, punto di convergenza del Vangelo e punto di partenza per la missione. Fu dunque un uomo di fede vivente tra realtà e contemplazione: così che il suo messaggio, nella più alta espressione, contiene momenti che valicano la storia e la cultura, per vocazione alla profezia. Attese con impazienza un Concilio, ma morì alla vigilia. Ben scrisse nel 1970 Papa Paolo VI che, da arcivescovo di Milano, lo aveva invitato a predicare una delle Missioni più impegnative del secondo dopoguerra: «Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”». E per il profeta Mazzolari, a 54 anni dalla scomparsa (12 aprile 1959) l’Episcopato lombardo ha formalmente avviato nel febbraio scorso la causa di beatificazione.

Quella sera a Firenze si parlò a lungo anche del Savonarola, al quale lo scrittore cremonese dedicò opere che forse hanno contribuito alla sua «riabilitazione». «La missione – ecco l’accostamento che don Bellò fece tra Mazzolari ed il frate domenicano e che l’indomani esternò nell’udienza concessagli dal card. Giovanni Benelli – non è solo ansia di condurre anime alla fede, ma saper ascoltare il silenzio dei deserti, ricomponendo i frammenti di grazia dispersi nei cuori…occorre la fiducia che l’incarnazione raggiunga gli angoli del mondo, avvertire i segni della dimora di Cristo fra i suoi, riconoscere inesausti andirivieni di Lui sui crocevia delle coscienze e non solo sui tornanti della storia…»: fra Girolamo, don Primo, don Carlo furono – per dirla con uno studioso autorevole come padre  Armando F. Verde – sui crocevia delle coscienze, come sui tornanti della storia. E tutti e tre avevano un meditare «affascinante».