Cultura & Società

Mozart, il canto della creatura, il canto di Dio

di Carmelo MezzasalmaForse non esiste una storia della musica intesa nel senso di quel mito del «progresso» che ha dominato tra il XIX e il XX secolo, e cioè come se Schoenberg avesse qualcosa in più di Bach. Esiste, piuttosto, una geografia della musica. Nel suo mappamondo, variegato e accattivante, trovano posto parecchi continenti: il continente Bach, il continente Mozart, il continente Beethoven, talvolta separati da immensi oceani, ma talaltra più vicini di quanto non si pensi. Tutto questo potrebbe spiegare anche il fascino che ancora esercita la musica di Mozart, a distanza di secoli e con tante estetiche che si sono nel frattempo succedute, mentre la continuità di tale fascino e interesse sorprende e meraviglia gli stessi musicologi o studiosi del pianeta musica. Certo, la leggenda del fanciullo prodigio, del genio precoce, anche per effetto dell’estetica romantica, potrebbe spiegare questo singolare fenomeno di Mozart così amato e conosciuto da tante persone in tutto il mondo. Una sterminata folla di ammiratori che, probabilmente, non hanno mai fatto studi di musica o sono soltanto appassionati che frequentano, magari alternativamente, le sale di concerto e le incisioni discografiche.

Qual è, dunque, il segreto di questo musicista, nato a Salisburgo il 27 gennaio 1756 e morto a Vienna ad appena trentacinque anni, il 5 dicembre 1791? Potrebbe sembrare una domanda retorica, una domanda che ci si fa soltanto in occasione di centenari o di ricorrenze ufficiali. E invece non lo è poiché Mozart ha consegnato alla musica un vero e proprio magistero che potremmo sintetizzare così: egli ha scritto musica per ragioni che vanno al di là della musica stessa. Ha scritto per raccontare l’umanità, rappresentare i nostri caratteri, esplorare le nostre contraddizioni, definire le nostre tensioni, esprimere i nostri fervori e soprattutto trasmettere dei valori. La musica di Mozart, infatti, non porta solo alla musica, porta all’umanesimo, come è stato bene intuito da tanti poeti e scrittori che, a un certo punto della loro esperienza, non hanno potuto fare a meno di coinvolgere il loro itinerario spirituale in quello di Mozart.

Chi ascolta le sue opere, da Le nozze di Figaro al Flauto magico, ma anche i suoi concerti per pianoforte o per altri strumenti, le sue sinfonie, e tutta la sua grande produzione di musica sacra, avverte particolarmente che la musica del compositore salisburghese ha due perni, anzi due tematiche, attorno ai quali egli ha lavorato con una coerenza e una determinazione che ancora ci sorprendono. Particolarmente allorché riflettiamo sulla condizione del musicista nel suo tempo. Questi due temi sono il canto della creatura e il canto di Dio. Il canto della creatura è quello dell’anima umana che cerca il senso vero di se stessa, mentre il canto di Dio è l’implorazione, l’inno, la salmodia che il compositore eleva al Dio cristiano in un semplice e immediato atto di fede e di consapevolezza che la sua vita è proprio e interamente nelle mani di un Dio che è Provvidenza e Salvezza: come non ricordare il bellissimo, struggente «Et incarnatus est» della Grande Messa in do min, K. 427?

Di fatto, nessuno dei biografi e studiosi di Mozart ha potuto mai negare quella straordinaria fede cattolica che lo ha animato, nonostante l’appartenenza alla massoneria che è una questione particolarissima e che aveva, a quel tempo, un carattere più culturale e progressista, alla vigilia della Rivoluzione francese. Non a caso, la più grande teologia del Novecento, da Barth a Balthasar, fino a Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, ha avuto nei confronti di Mozart una vera e propria passione tutta spirituale e, appunto, teologica. In questo senso, come diceva proprio Balthasar, nessuno può separarci dalla musica di Mozart poiché, anche nel suo caso, l’esperienza della musica cammina di pari passo con l’esperienza mistica, con la ricerca del volto vero di Dio.