Cultura & Società

Natale, la tradizione del Ceppo

di Carlo LapucciLa scomparsa del camino dalle case moderne ha segnato inevitabilmente anche l’allontanarsi del tradizionale Ceppo natalizio, che un tempo non mancava in nessuna casa della zona di Firenze e in genere della Toscana. È una tradizione sentita proprio come nostrana e curiosamente non si ha di solito la percezione del fatto che il Ceppo sia stato una consuetudine italiana ed europea. Oggi sono rarissime le case dove si tiene memoria di questa usanza, se non a livello di pallido ricordo, ma pochi sanno dire di cosa si tratta, della ritualità che stava intorno a questo nodo di figure, di simboli, di funzioni di cui, sia pure di legno, era il cuore. Il distacco dall’immagine primitivaCon un po’ di semplificazione potremmo definire il Ceppo come il babbo di Babbo Natale e forse anche della Befana e dell’Albero di Natale. Se è padre anche della femmina, si tratta forse della sua figlia maggiore. Poco o nulla a che fare con tutto questo è la figura del Bambinello come portatore di regali.

Trattandosi di una tradizione antichissima il Ceppo aveva cominciato già molto tempo prima del suo repentino pensionamento, a distaccarsi dalla prima identificazione: il grosso ciocco, spesso il nodo delle radici che partono dalla testa del tronco d’un albero abbattuto.

La sua prima determinazione fu naturalmente questa. Nelle campagne il capoccia teneva d’occhio durante l’anno la grandezza e la natura dei ceppi che venivano estratti dai campi, dai boschi, e sceglieva, mettendolo ad asciugare, quello più adatto per andare nel camino le sera della vigilia di Natale e bruciare davanti alla famiglia riunita nella veglia.

Per ceppo s’intende propriamente quel blocco che sta a fior di terra e sotto questa, dove si annodano le radici e da dove il fusto della pianta si eleva verso il cielo. Grande simbolo di unità, nodo di forze, emblema della famiglia con i polloni e virgulti, immagine della vita per la forza e capacità di collegare due mondi. Si capisce che poi, nelle varie situazioni era un semplice ciocco di legno, un pezzo di tronco.

In certi luoghi il Ceppo doveva durare fino a tutto il giorno seguente, ovvero anche per tutto Santo Stefano. In altri entrava anche nella ritualità magico-familiare del Capodanno e doveva durare, bruciando ininterrottamente, fino alla Befana. Altri tempi, altri camini e altri ceppi. Ho visto verso la metà del secolo scorso portarne uno nel focolare di una casa, che a malapena quattro uomini riuscivano a spostare e lo vidi bruciare davvero fino alla Befana.

In città le cose erano più complicate, ma il ciocco, piccolo o grande ardeva comunque la notte di Natale in ogni casa. Non era solo una cosa fisica, adatta a scaldare nel freddo dell’inverno come una stagna di cherosene, ma molto di più: era il simbolo dell’unione del cielo e della terra, con la luce; dell’unione e dell’amore della famiglia con il fuoco e, dal suo essere polarità di forze benefiche, emanazione di flussi positivi nella casa e nella terra.

Intanto non era posto semplicemente sul fuoco e incendiato, ma nel periodo di massimo splendore della sua carriera, veniva benedetto, ornato, cosparso di vino, o di grasso, burro e acceso dal capo di casa. I riti, gli usi e anche le superstizioni che sono legati a questo pezzo di legno fanno pensare che le sue ascendenze siano molto lontane, forse risale al paganesimo e anche al di là di quello; non certo come uso natalizio, ma come un fuoco sacro legato alle credenze e ai riti del solstizio d’inverno, in collegamento diretto col sole, nel segno della luce e del fuoco, con le forze telluriche nel segno della natura stessa della pianta, e con il mondo dei morti, nel segno della cenere e delle credenze pagane delle anime abitatrici delle piante e delle realtà naturali.

A questa nuova entità che veniva ad abitare per poco la casa, si collegavano usanze varie, tra le quali la più conosciuta e vistosa era quella di portare doni ai bambini. Questi regali (si trattava di cose semplici, come dolci, frutta, modesti giocattoli) si potevano disporre sopra il Ceppo stesso nella mezzanotte del Natale, se le dimensioni lo permettevano, oppure si facevano cadere in vari modi o dal camino o da qualche altra apertura.

I bambini, prima d’arrivare al momento di avere i doni, andavano in un’altra stanza, oppure venivano bendati e recitavano una preghiera, detta L’Avemmaria del Ceppo, che dice:

Ave Maria del Ceppo,Angelo benedetto!L’Angelo mi risposeCeppo mio bello, portami tante cose! Il Ceppo parlava, rispondeva, si comportava come una sorta di spirito e da qui è venuta la sua trasformazione in entità eterea antropomorfa, fino a prendere le forme concrete di fantoccio, e quindi quelle, trovate forse per la strada, di Babbo Natale. Per semplificare l’offerta dei doni, si passò alla sua stilizzazione, prendendo le linee essenziali e riducendolo a una piramide, di forma all’incirca regolare per i più comuni; di forma invece più allungata quasi monumentale per quelli di lusso. Fatto con assicelle di legno, più piccolo o grande secondo la necessità e la ricchezza della famiglia, aveva delle cornici orizzontali che correvano lungo le facce, tagliandolo in ripiani, in modo che i doni, postivi sopra, non scivolassero e si presentassero ben sistemati ed esposti. A Firenze, nei giorni precedenti il Natale, si apriva il mercato dei ceppi che si teneva sotto le Logge del Porcellino e vi si trovavano dolci, regali, e vari ingredienti per allestirlo.Qualcuno vuole che con questa forma si sia ripresa l’immagine della capannuccia passando a una ulteriore sintesi dei simboli. Il fatto che in molti di queste strutture, sulla cornice inferiore, si collocasse il Bambinello, circondato di pastori e angeli, lo confermerebbe.

Era di solito ben ornato, secondo la ricchezza del contesto: coperto di stoffa, con festoni, nappe e ciondoli, fiocchi multicolori, pinoli dipinti infilati a corona nello spago. Qua e là c’erano pine, ricoperte di carta argentata o colorate, e in cima, stava la più grossa, coperta d’oro. Talvolta sulla cuspide, invece della pina, veniva posto un pupazzo, una figura umana, di pezza o intagliata. L’apparato stava in mezzo alla tavola più grande della casa o del salotto, con i bambini che gli ronzavano intorno adocchiando i dolci.

In certi posti il Ceppo rimaneva ornato, ma vuoto, poi verso mezzanotte spariva e durante la cena, o al suono dei dodici tocchi, si sentiva bussare alla porta.– Chi è? chiedeva la mamma.– Il Ceppo, si sentiva rispondere.– Grazie, venite pure.Quando la porta si apriva si trovava il Ceppo ricolmo di regali, che veniva portato trionfalmente sulla tavola.Già il passaggio dalla cosa alla persona si era verificata anche nelle campagne, dove si chiamava con tale nome un fantoccio di pezza, ripieno di paglia, con un grosso cesto vuoto infilato nel braccio: veniva calato dalla finestra con una fune, lasciandolo nel buio della notte, mentre tutti restavano in attesa. Durante la cena suonavano alla porta.– Chi è?– Il Ceppo.Si tirava su la corda e appariva il Ceppo-fantoccio col canestro pieno di regali, che veniva accolto con festa, canti e applausi.

Non si possono elencare le numerose e varie forme, i riti, le cerimonie con cui veniva celebrato il Ceppo nelle varie località, tanto sono diverse, originali, curiose e poco inclini a seguire qualcosa di più d’un semplice canovaccio.

Il Ceppo e i ceppi Già a Firenze si sa che c’era l’uso, nelle case più ricche, di fare più ceppi: uno per ogni bambino che si trovava nella famiglia. Ciò mostra un po’ d’incertezza nella linea tradizionale: l’oggetto artefatto ha staccato la sua immagine dall’origine e cominciano le contraddizioni: un simbolo di unità si frantuma in tante icone. Vi sono testimonianze che alla fine dell’Ottocento in Toscana il Ceppo ormai veniva impersonato da un omone mascherato con una testa di grandezza smisurata, con una capigliatura folta e arruffata: quando i bambini lo battevano con dei bastoncini, faceva cadere su di loro dolci e regali. È una scena che ricorda la bacchiatura di un albero da frutto e da qui all’albero di Natale il passo è breve. Inoltre una delle ritualità seguite per avere i doni era anche quella più comune: il padre, o il nonno, battevano sul Ceppo un bastoncino dicendo:– Ed ora, cosa cade per Pierino?E subito cadeva il dono destinato a quel bimbo.– E ora, cosa cade per Paolo?E subito cadeva il regalo per Paolo.Questo si diceva battere il Ceppo, un’altra operazione che ricorda ancora l’albero. Altre forme, sempre derivate da quell’iniziale prototipo, si avevano in diverse zone. A Siena era un piccolo carretto con sopra una piccola botticella, con un paio di buoi al traino e un contadino baffuto che guidava le bestie. Era realizzato rozzamente, con legno intagliato col coltello: il carro veniva ornato, riempito di doni e faceva la funzione del Ceppo piramidale. La figura si ritrova ancora sui mercati campagnoli, o come soprammobile nelle case, ma ormai quasi nessuno immagina che possa essere un ceppo.La presenza delle bestie ci riporta a un’altra tradizione della notte di Natale, nella quale, gli animali parlano tra loro, forse ricordando il bue e l’asino che ricevettero Cristo nella loro mangiatoia. Ascendenze arcaiche e il culto dei mortiMolti elementi di questa tradizione sono da collegare ad una arcaico culto del morti. Il fatto che il Ceppo parli, che abbia una figura umana che lo sormonta, che sia spesso sostituito da una fantoccio calato dalla finestra, che sia interpretato da un uomo-albero il quale, percosso, fa cadere doni, fa capire come un’anima umana, meglio ancora soprannaturale, si nasconda nella sua scorza, cosa che avviene spesso anche nelle favole. Ma c’è di più: nella Higlands il Ceppo destinato ad essere bruciato per Natale, viene sagomato in modo da assumere una forma vagamente umana. In Francia, nel Borbonese, i frammenti del Ceppo venivano religiosamente conservati e, in caso di trasferimento, portati dalla famiglia nella nuova casa, nella quale subito se ne bruciava nel focolare qualche scheggia. Altrove si seppellivano dei frammenti nell’angolo più riposto della casa. In Italia, in diversi luoghi, prima di coricarsi si lasciano sul tavolo i dolci e le sedie intorno al Ceppo, si dice per i Santi che verranno in visita, ma si capisce troppo bene a chi siano veramente destinati, considerando che sono le stesse usanze del 2 novembre.

Altro rito misterioso è quello di versare vino, miele, grasso, latte sul Ceppo, porvi sopra candele accese e fiori come su un sepolcro pagano.

Dunque inconsciamente si sapeva o, si credeva coscientemente, che quando il Ceppo era acceso gli antenati visitavano la casa portando bene ai discendenti, cosa materializzata nei doni. Le ceneri erano quelle dei trapassati e contenevano le loro forze, così come le scintille stimolate a correre per la campagna. Nel momento in cui si riaccendevano nei pericoli i tizzoni, si richiamavano le forze degli scomparsi in soccorso della famiglia e le schegge conservavano le anime, come gli dei del focolare nella casa pagana.

La diffusione dell’usanzaSull’Amiata, a Santa Fiora e altrove, si ritrova il Ceppo vero e proprio che si accende all’imbrunire del 24 dicembre e brucia fino all’estinzione. Sul monte il ciocco è di solito di castagno, mentre in pianura si sceglie preferibilmente la quercia. Alla mezzanotte uomini e donne accendendo le lanterne al suo fuoco, escono nel buio ad illuminare la terra. Oggi sulla montagna e in più luoghi circostanti è rinata l’usanza nella forma di accendere grandi pire sulle piazze principali dei paesi e lasciarle bruciare nella notte fino alla consunzione.

In Calabria il Ceppo, circondato da dodici ciocchi (i dodici mesi del sole, i dodici Apostoli di Cristo), si orna d’edera e con festoni si mette a bruciare. Si usava, ad esempio, con tratti ben riconoscibili, celebrare il Ceppo a Vasto, nella Marsica, in Abruzzo e in modi diversi un po’ dappertutto in Italia, prima che le altre figure lo soppiantassero. Come era assai seguita in Italia la tradizione era ben radicata in Europa. Si pensa che sia diffusa dall’Inghilterra in Francia, nei paesi slavi meridionali, in molte zone della Germania e dalla Svizzera.

Perché è quasi scomparsa questa tradizione che pare essere la madre di altre più recenti? Si è detto della scomparsa del focolare, grande altare della famiglia e grande simbolo, che però non ci ha lasciato da solo: se ne è andato con la civiltà agricola, scacciato da quella industriale. Il Ceppo non poteva convivere con le macchine. La sua parentela con il mondo tellurico, con le forze naturali e magiche, con la presenza delle entità soprannaturali degli antenati, dei morti, poco si adatta con il mondo scientifico e la sua interpretazione del mondo. D’altra parte chi sa oggi cosa sia un Ceppo? Che forma ha quello radicale della pianta? Il profumo che emana quando è tagliato, quando brucia; quanto dura a bruciare sul fuoco sono cose a quasi tutti sconosciute. Chi può pensare oggi che quella materia possa nascondere un’entità soprannaturale? Per questo sempre meno vi si sono riconosciuti, presupponendo una vita a stretto contatto con la terra, le piante e gli animali. Eppure inspiegabilmente ci seduce e ci convince l’idea che da un ceppo sia potuto uscire Pinocchio.

Ma rimane là, nel nostro passato: enigma, matrice e spiegazione di quelle figure che lo hanno soppiantato, entità informe, primordiale, misteriosa, carica di vita che pure ancora non si è espressa completamente, perché i suoi virgulti portano un’immagine magica, immateriale e soprannaturale della manifestazione universale e si allungano quasi inavvertiti, ma sicuri, nel marasma e nelle contraddizioni di una società che, cambiando pelle, non ha ancora trovato le proprie forme simboliche forti, capaci di dare stabilità alla mente, luce alla vita come ha fatto il Ceppo coi suoi simboli, nei millenni.

Per saperne di piùProprietà e credenze popolariDalle sue faville si traevano presagi. Il capoccia la notte di Capodanno scoteva il Ceppo dicendo:– Quanto verrà di grano?Se le scintille che uscivano dal Ceppo e volavano su per il camino erano molte, era segno che il raccolto sarebbe stato abbondante, se erano poche il raccolto sarebbe stato scarso. E così continuava:– Quanto verrà di vino?– Quanto verrà di olio?– Quanto verrà di castagne?

Si stuzzicava, si batteva il Ceppo con la paletta o con le molle del fuoco per fargli fare le monachine, le scintille che uscendo dalla cappa del camino andavano a portare prosperità nei campi.

Le sue ceneri venivano sparse nei terreni coltivati per tenere lontane le malattie delle piante e propiziare buoni raccolti.

I tizzoni venivano riaccesi durante le tempeste per tenere lontani i fulmini.

Chi dorme la notte di Natale col capo appoggiato al Ceppo (o vicino a questo) vedrà realizzati i suoi sogni.

Un frammento incombusto del Ceppo si toglieva dal camino e si metteva spento sotto il letto: aveva la proprietà di proteggere la casa dagli spiriti maligni.

Con i carboni del Ceppo si segnavano i buoi e altri animali malati per guarirli dagli influssi negativi.

La parolaCon il termine ceppo s’intendono cose diverse, tutte però collegate al blocco di legno che è il significato originario del termine.

Ceppo per antonomasia è il ciocco di legno, specificamente la parte basale dell’albero abbattuto, che si usava mettere ritualmente a bruciare nel camino per la notte di Natale.

Ceppo è la festa di Natale, indicata con questo nome in Toscana e anche altrove. Deriva dall’uso di bruciare il ceppo nel camino.

Ceppo è il nome del dono, del regalo o omaggio che si fa, in particolare ai bambini, ma in genere a parenti, amici o conoscenti in occasione del Natale.

Il ceppo era anche un tronco scavato, richiuso, lasciando una fessura dalla quale si infilavano le monete. Si poneva in un luogo per raccogliere fondi a fini di beneficenza: ospedali, ospizi, orfanotrofi, riscatto degli schiavi.