Cultura & Società

Nella musica di Dallapiccola un «Ulisse» che trova Dio

DI MARIO RUFFINIChi può affermare di non conoscere, almeno superficialmente, la figura di Ulisse? Forse nessuno: è un patrimonio che appartiene a ognuno di noi. Basta un attimo per ripercorrere il mito di quella notte illune carica di memoria in cui i greci, grazie allo stratagemma di Ulisse, entrarono nella cittadella di Troia.

Quella notte iniziarono le storie che non hanno ancora finito di cominciare, e per secoli e millenni la figura di Ulisse è stata ripresa, variata, manipolata, sino a mutare profondamente nel corso del tempo, e qualsiasi vicenda più o meno accidentata è diventata nel parlare comune una «odissea». Dante, più di ogni altro, ha contribuito a trasformarlo: il nostos, cioè il ritorno a Itaca, che era il fine ultimo dell’Ulisse di Omero, viene cancellato da Dante, e l’Ulisse dantesco diviene l’eroe mai sazio di conoscenza, sapere e infinito. L’adagio popolare «furbo come Ulisse» si trasforma in «inquieto come Ulisse», il mito di «colui che torna» diventa il mito di «colui che parte». Tutta la tradizione dell’eroe astuto e pieno di ardore, l’ingannatore, il costruttore di trame che da Omero si tramandava fino a Orazio e Virgilio, viene mutata con Dante.

Dante dà compimento a Omero. Il suo Ulisse incarna in tragedia la nascita dell’uomo moderno: una variazione che è lo sviluppo della profezia di Tiresia, già presente nello stesso poema omerico. Il cieco indovino di Tebe prevedeva infatti per Ulisse – dopo il ritorno dell’eroe a Itaca – un ulteriore viaggio, l’ultimo, verso la conquista della saggezza: «nel paese che non conosce navi, né cibo condito col sale, dove arriverà portando un remo sulle spalle e dove morirà consunto da splendente vecchiezza».

Una figura, quella di Ulisse, che attraversa dunque i millenni e si trasforma nel tempo: da Omero a Dante, passando anche per Machado, Eschilo, Tennyson, Hölderlin, Leopardi, Kavafis, Joyce, Mann, Conrad, Hauptmann, Pascoli, Ovidio, Orazio, Cicerone, Seneca, Gilbert, Kierkegaard, Hertz, White, Stazio, Virgilio, Heyworth, Feuchtwanger, Graf, Goethe, Ungaretti, Jiménez e molti altri. Ultimo nel tempo, il disegno che di Ulisse tratteggia Luigi Dallapiccola, questa volta per mezzo di un’arte fatta di suoni: la musica, con cui il grande compositore fa compiere al mito un percorso fino a quel momento inimmaginabile. Dallapiccola fa sua tutta l’ansia di conoscenza dell’eroe dantesco, e con lui trova uno sbocco che va oltre la sua esperienza personale: Ulisse intuisce e scopre Dio. Se l’eroe omerico trova pace nelle braccia di Penelope che attende, se quello dantesco trova pace nell’inevitabile vortice che sprofonda la barchetta di fronte alla montagna bruna, l’eroe dallapiccoliano compie un altro passaggio, trovando pace solo nell’intuizione di Dio.

A otto anni, durante le vacanze del 1912, Dallapiccola si imbatte per la prima volta nella figura dell’eroe, quando assiste alla proiezione del film muto L’Odissea di Omero, una pellicola di Giuseppe de Liguoro; poi, intorno al 1935, scopre l’Ulysses di Joyce, testo fondamentale che lo aiuta a elaborare una nuova forma di costruzione musicale: la dodecafonia.

Nel 1938 ancora Ulisse: il coreografo Léonide Massine gli propone il progetto per un balletto sull’Odissea; Massine però pensava a un finale grandioso, il trionfo nella reggia, Dallapiccola a un finale solitario, Ulisse solo in mezzo al mare alla ricerca del sapere: due visioni inconciliabili, omerica quella di Massine, dantesca quella dallapiccoliana, che fanno naufragare il progetto. Poco dopo Dallapiccola trascrive, per il Maggio Musicale Fiorentino del 1942, Il ritorno di Ulisse in patria di Claudio Monteverdi: si avvicina così per la prima volta – da compositore – alla mitica figura omerica. Dallapiccola prosegue poi il suo cammino, e contribuisce in modo determinante a «fare anche italiano» il sistema basato sulla tecnica dei dodici suoni, iniziato a Vienna da Schönberg e dai suoi allievi Berg e Webern, denominato appunto dodecafonia (un sistema che sostituisce quello tonale, con cui si erano espressi i più importanti compositori, da Bach, Mozart, Beethoven fino a Mahler). Si tratta di un linguaggio o di una tecnica? «A mio modo di vedere è anche uno stato d’animo», scrive Dallapiccola. Tutto il percorso dallapiccoliano arriva, venticinque anni dopo, alla razionalità assoluta con Ulisse, opera che percorre tutta la sua vita, dalle iniziali emozioni di ragazzo fino all’estrema maturità artistica. Tutto il suo magistero di compositore sembra tendere alla preparazione del momento più importante del suo lavoro e forse della sua vita, quel momento estatico, doloroso, drammatico, definitivo, che si trova alla fine della grande opera, in cui Ulisse può finalmente esclamare: «Signore!». Quella conclusione inaspettata è un grido che, nella solitudine del mare, sotto le stelle, lacera il tempo e insieme le coscienze.

Non è un caso che Dallapiccola termini la partitura con le parole di Sant’Agostino: «Fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te». L’uomo inquieto, che ha percorso con bramosia e fede i mari del sapere dodecafonico, trova pace alla sua inquietudine, e si congeda con una preghiera, una pacificazione che non è più di questa terra ma ponte verso una realtà intuita, serena e purificata.

L’Ulisse di Dallapiccola è strutturato in 13 episodi: dal primo al sesto c’è un Tempus Destruendi (Ulisse, schiavo delle sue azioni, dei suoi inganni); dall’ottavo episodio in poi c’è un Tempus Aedificandi (Ulisse acquista coscienza). Il settimo episodio, il «Viaggio nell’Ade», rappresenta il centro dell’intera costruzione drammatica in cui i due momenti si incontrano. Ulisse, dall’iniziale stato di alienazione, Nessuno, giunge alla coscienza, e dunque all’illuminazione mistica dell’Epilogo; la sua visione è un grandioso corale penitenziale, un canto sulla umanità sofferente, desolata e alla ricerca di Dio, e insieme un’immagine di speranza.

La pace nel talamo immerso nel grande albero di olivo segna l’approdo omerico; la pace del sapere è quella cercata dall’Ulisse di Dante; la pace nell’intuizione del Signore è la pace che arriva in Dallapiccola con la visione di Dio. Pace coniugale, morte e fede congiungono quei diversi finali in cui ciascuno compie quello precedente, ciascuno rappresenta l’ombra di quello successivo. Dante porta l’Ulisse pagano alle soglie del Purgatorio, Dallapiccola compie quel passo avanti che solo nel nostro tempo poteva essere immaginato. Una storia ciclica dove il futuro si realizza attraverso la memoria del passato.