Cultura & Società

Pastorali e antiche Laudi del Natale

La laude o lauda antica rivela ancora le sue tracce, nonostante l’età vetusta e le numerose forme diverse che sono seguite. Ancora riaffiora qua e là nelle orazioni che si sentono nelle chiese o nelle processioni, anche se a volte si nasconde sotto trasformazioni, adattamenti, un linguaggio rinnovato o addirittura manipolazioni.

Se ne intuisce la presenza nel sostrato d’un testo per le immagini semplici ma toccanti, metafore spontanee, candide, un linguaggio sincero e immediato. Infatti all’origine queste composizioni non ebbero, né cercarono d’avere, valore poetico o musicale: furono create da gente incolta, con minime conoscenze tecniche, ma spesso d’indubbie capacità. Sono rimaste anonime: si ricorda solo il nome di Garzo e, naturalmente, Iacopone da Todi.

La Laude nacque in Umbria dal movimento dei disciplinati o flagellanti verso il 1260 e fiorì fino a tutto il Quattrocento, riprese una tradizione precedente dei laudesi, che erano confraternite di laici che si riunivano per cantare le lodi di Gesù, della Madonna e dei Santi. Inizialmente la laude fu lirica: invocazione, preghiera, poi narrazione di fatti dell’Antico e Nuovo Testamento. In seguito brani, canti furono eseguiti da due voci e sdoppiandosi si fecero drammatici passando alle sacre rappresentazioni che ebbero molta fortuna nel periodo successivo.

Particolare evidenza hanno le laudi del ciclo natalizio e quelle della Passione e della Pasqua. Il raccoglimento, il mistero e le figure del Natale ebbero una grande diffusione prestandosi tali argomenti alle rappresentazioni e accordandosi col sentimento popolare. Il fenomeno è sostenuto dal passato, ossia da quelle celebrazioni arcaiche della statio solis invernale, ossia il solstizio d’inverno.

Si ha in questo periodo il fenomeno astronomico per cui l’andamento discendente delle ore d’illuminazione del sole è finito e ricomincia l’aumento della luce nel corso delle giornate, anche se lento e graduale. Come se veramente il sole rinascesse e ricominciasse la sua ascesa, arriva il segno che la forza delle tenebre non è riuscita a prevalere sulla sua luce, cosa che rimanda alle paure della morte del sole, delle quali abbiamo testimonianza nei miti e nei fuochi notturni che la tradizione pone in particolari festività.

Diventa questo il segno del momento in cui Cristo discende nel mondo, del Verbo nel cuore umano che si ferma attonito sentendo la presenza d’una nuova vita che lo chiama ad invertire verso la luce il suo cammino che era diretto verso la tenebra.

Il cristianesimo ha spostato l’interesse dal fenomeno astronomico della luce solare a quello umano della nascita. L’umanità, uscendo progressivamente dalle condizioni animalesche, non coglieva più il fenomeno del solstizio invernale come un evento drammatico e le forze delle tenebre e della luce si contrastano su altri piani: il teatro della lotta è il cuore dell’uomo e il solstizio, da elemento fondamentale, passa a metafora o simbolo nel rito. L’attenzione dei canti popolari e delle azioni drammatiche è centrata su Giuseppe, la Vergine e il bambino, sulla nascita e il rinnovamento dell’uomo: è questo l’elemento simbolico di cui si percepisce spesso solo inconsciamente la profondità e la consistenza, movendosi la mente sul piano più semplice delle emozioni fino a restare nella ripetitiva banalità in molte composizioni occasionali compilate da educatori e religiosi su canovacci presi dalla tradizione.

L’annuncio del Natale. Un augurio di Natale può venire dagli angoli più impensati. Quando ormai si vanno spegnendo le memorie che possono riferire un testo orale del passato, ecco che affiorano messaggi affidati alla voce e alla scrittura, una via di mezzo che si chiama foglio volante ed è un messaggio quasi personale, una lettera.

Dalle pagine di una vecchia Filotea è saltato fuori un foglietto consunto, scritto a mano, messo insieme a un altro suo fratello sul quale stava segnato un conto, una somma di chi sa di quali monete. Sul foglio più interessante c’era questa laude che portava come titolo L’annuncio del Natale.

Si tratta del tipico cantico che un tempo si sentiva nelle chiese, nel periodo natalizio. Forse ha alloggiato anche in qualche libriccino, è stato copiato, cantato, conservato in quanto l’anima popolare si è ritrovata in queste parole.

Nei primi versi della quarta strofa Prima vennero i pastori, / giunser dopo i contadini si ritrova forse la vecchia rivalità tra contadini e pastori su chi di loro giunse prima al presepio e l’autore pare tenere per questi ultimi.

Ecco nato il Redentore,su venite tutti quanticon soavi e dolci cantila capanna a rallegrar. E Gloria in Excelsissi sente cantar. Egli nasce in un presepioe l’adoran due giumenti:fra le angustie e fra gli stenti,senza panni da involtar. Venite pastorie senza tardar. -Io son l’Angel messaggeroche dal cielo son mandatoper recar l’annunzio gratoch’egli è nato il Re dei re. Venite su dunquevenite a veder. Prima vennero i pastori,giunser dopo i contadinicoi lontani e coi vicinia onorare il Re dei Re: colui che detiene del mondo l’imper. Arrivando alla capanna tre gran Regi genuflessiafferirono se stessie tre doni di valor: l’incenso e la mirrainsieme coll’or. Ecco appar la Santa Madrecon Gesù suo dolce figlioe Giuseppe vero gigliodi perfetta puritàe Gloria in Excelsissi sente cantar. Quindi tutti alle lor case lietamente ritornaroe per via tutti cantaroch’era è nato il Re dei re. Venite su dunquevenite a veder.

Quanno nascette Ninno. Quanno nascette Ninno è un canto uscito dalla penna illustre di S. Alfonso M. de’ Liguori al quale si deve anche la più celebre laude: Tu scendi dalle stelle.

Il testo che presentiamo è un altro ritrovamento fortunoso uscito dalle pagine d’un breviario, salvato mentre sul barroccino d’una fierucola paesana si stava avviando verso un triste destino, dato che languiva da mesi invenduto. L’improvvisato libraio, rustico bouquiniste, fu ben lieto di cedermelo per un prezzo più che conveniente, rimediando qualcosa e levandoselo davanti. Questa è la fine fatta da migliaia di breviari gettati al macero dopo la riforma, ignorando quali tesori vi sono nascosti. Era un foglio di quaderno risalente ai tempi prima di Giolitti, ripiegato in quattro, logorato un poco per l’uso e ingiallito. Il titolo era in napoletano e fu facile risalire all’originale. Il confronto rivelò che la traduzione era di mano felice, ma il testo era un po’ al di sotto della composizione del grande santo che aveva mano d’artista, di poeta e conosceva l’anima popolare. Basta confrontare l’ultima strofa.

Zombano, comm’a ciereve ferute,correttero i pasture a la capanna;là trovajeno Mariaco’ Giuseppe e a gioia mia;e’n chillo visoprovaieno no muorzo e Paraviso.

È un miscuglio misterioso di sapienza e ingenuità: ci si sente il canto del viuzzo napoletano e Piedigrotta. Si capisce il desiderio di tradurlo per diffonderlo in un altro mondo, si sente anche il ritegno di un’anima sensibile che non ha il coraggio di tradurre il titolo e lo lascia identico.

Scritto a mano, non so se sia stato copiato da un altro foglietto o da un testo pubblicato. Pur rispettando la filologia, che ha la sua importanza, questa ricerca corre su altre linee. Il breviario era d’un prete toscano, il testo originale è di S. Alfonso M. de’ Liguori (Marianella, presso Napoli 1686 – Nocera dei Pagani 1787). Fu grande avvocato, poi fondatore dei Redentoristi, apostolo dei poveri e degli abbandonati, dottore della Chiesa e quindi scrittore di valore, pittore di talento, musicista. Compose molti canti e laudi. Del suo Tu scendi dalle stelle Giuseppe Verdi disse: – Senza quel canto Natale non sarebbe più Natale.

Quando nacque il Bambino a Betelemmeera notte e pareva mezzo giornomai le stelle lustre e bellesi vedettero così. E la più lucente andò a chiamare i Magi dell’Oriente. Guardavano le pecore i pastori e l’Angelo splendente più del soleapparve e a loro disse:-No, non vi spaventate:gioia e sorriso,che in terra è ritornato il Paradiso. A Betlemme oggi è nato in una grottal’aspettato del mondo Salvatore;non potete sbagliarein povere copertesta rinvoltatoin una mangiatoia coricato. E gli angeli a migliaia son calatiE in coro non si stancan di cantare:-Gloria a Dio, pace in terra non  più odiò né guerra. Il re d’amoreè nato e dona pace ad ogni cuore. Batté il cuore nel petto a ogni pastore, dissero gli uni agli altri: – Che aspettiamo? Dio venne sulla terra per salvarci col suoamor divino.Andiam tutti a veder questo Bambino. Balzano come il cervo che è ferito e corrono i pastori alla capanna:trovarono Mariacon Giuseppe e la gioia miae in quel sorrisovidero spalancarsi il Paradiso.

San Giuseppe e la Madonna se n’andavano a Betlèm. Questa è una laude probabilmente impostata su una melodia, ma risulta di grande grazia anche nel testo poetico. Viene dalla tradizione orale della zona lucchese e riecheggia un simile canto lombardo del quale forse è la traduzione. I testi sono ambedue validi ed è difficile dire quale sia l’originale. In certi casi solo la melodia potrebbe rivelarlo, ma spesso come si trovano due testi si trovano anche due versioni musicali. Leggendola attentamente, senza la superiorità disattenta che si ha verso un testo popolare, si percepisce la sua straordinaria ingenuità, intendendola in questo caso come genuinità. I fatti sono i più conosciuti, ripetuti e cantati, ma vengono esposti con un’istintiva sapienza compositiva, con un linguaggio elementare e particolari toccanti.

San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm,San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Quando furono un pezzo avantila Madonna aveva sete.– Andiamo avanti, avanti andiamo che qualcosa ora troviamo.San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Quando furono un pezzo avantila fontana si trovòe Giuseppe, il somarellocon Maria si dissetò. San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Quando furono un pezzo avanti ebbe fame la Madonna.– Verginella andiamo, andiamo,che qualcosa ora troviamo. San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Quando furono un pezzo avantiun fornaio sulla viaoffrì pane a Giuseppee alla Vergine Maria. San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Quando furono un pezzo avanti la Madonna aveva sonno– Camminiamo ancora un po’ e un riparo troverò. San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm. Dopo tanto camminarevolle l’asino mangiaree cercando tanto andòche in una capanna entrò.– Dormi dormi Verginellasopra il fieno sulla terra,e Giuseppe sortì fuoraa veder s’era l’aurora. Era notte e ritornòe il Bambino ci trovò,ci trovò Gesù Bambinosenza fasce né cuscino. E così nella capannacol mantello della mammafece fasce ed un cuscinoper il Pargolo divino. San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm,San Giuseppe e la Madonnase n’andavano a Betlèm.