Cultura & Società

Perù, tremila anni di capolavori

di Rossella TarchiCrediamo di poter dire senza ombra di smentita che Firenze offre un appuntamento culturale destinato a segnare finalmente una svolta nella percezione occidentale dell’arte preispanica peruviana. La grande mostra che si è inaugurata il 15 novembre nelle sale di Palazzo Strozzi e dedicata a 3000 anni di capolavori di arte peruviana dalle origini all’impero Inca, è indubbiamente un evento eccezionale. Mai prima d’ora infatti era stata concepita una mostra sull’arte preispanica andina che affrontasse questioni estetiche, spiegando per la prima volta il significato di temi e rituali delle culture dell’antico Perù, oppure che si addentrasse nello spinoso problema delle attribuzioni, delle scuole, delle botteghe, assai importante, ma estremamente difficile in civiltà con scarse fonti scritte. Un’impostazione quindi che, pur mantenendo un taglio archeologico-antropologico, si presenta in modo radicalmente innovativo.

Posta sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica, patrocinata dal Ministero degli Esteri, dal Ministero dei Beni Culturali, la rassegna è stata promossa dal Comune di Firenze e da Firenze Mostre in collaborazione con l’Ambasciata del Perù. Curatore è il noto americanista Antonio Aimi che sottolinea l’eccezionalità della mostra ricordando come ci siano voluti più di tre anni di lavoro sui reperti dei musei di tutto il mondo per arrivare a selezionare le circa 400 opere esposte nella rassegna fiorentina: veri e propri capolavori tra i più belli e significativi, alcuni mai usciti prima d’ora dalle sale dei musei nazionali peruviani, altri inediti nello stesso Perù come alcuni reperti scoperti recentemente nei siti archeologici della costa settentrionale a Dos Cabezas e Hunca de la Luna.

Le sezioni in cui si articola la mostra sono state pensate per permettere al visitatore di poter prendere confidenza gradatamente con i materiali plasmati dagli artisti andini: dalle durezza della pietra, alla leggerezza e impalpabilità dei vestiti di penne, dalla plasticità della terracotta alla sfavillante lucentezza e preziosità degli ori; di percepire le caratteristiche peculiari delle forme dell’arte siano esse espresse attraverso la scultura che attraverso la pittura o l’incisione; di apprezzare i passaggi dal naturalismo all’astrattismo, dalla stilizzazione alla geometrizzazione, dalla «linea-oggetto» all’horror vacui. E – ancora – di poter comprendere opere che celebravano il potere sovrannaturale dei sovrani o che garantivano la fertilità della terra.

In tre sezioni le opere vengono presentate secondo una visione cronologico-geografica, con la presentazione dell’ambiente e delle culture dell’area peruviana e servono ad introdurre il visitatore alla scoperta delle sezioni monografiche, vero nucleo della mostra, come per esempio quella che affronta il tema dei contatti del Perù con le regioni vicine. Vi sono tuttavia sezioni più specificatamente antropologiche a taglio monotematico: vengono così illustrati, attraverso la successione quasi cinematografica di straordinarie terracotte, i vari momenti della Battaglia Rituale e della Cerimonia del Sacrificio, che erano probabilmente il cuore della liturgia religiosa Moche (la civiltà più conosciuta dell’antico Perù il cui stile, tra quelli andini preispanici, più si avvicina all’arte europea). Così una prima bottiglia con ansa a staffa illustra il duello tra due guerrieri e la cattura del prigioniero, segue un’altra bottiglia che illustra un prigioniero legato e denudato con una corda al collo e così via fino ad un vaso che rappresenta il Prete Uccello con una maschera da gufo che consegna al Prete Guerriero la coppa con il sangue del sacrificato che poi verrà offerta al re. Ma oltre a questi vengono gradatamente svelati altri rituali apparentemente enigmatici: dalla Caccia Rituale, al Tema della Montagna, solitamente rappresentato in scene in cui compaiono montagne a cinque, sette o nove cime, alla Corsa con la Borsa, ai Venditori di Tessuti, alle Imprese di Ai Apaec, la principale divinità Moche.

Nelle sezioni dedicate alla scultura e alla pittura finalmente l’antica concezione che l’arte andina avesse in modo «meccanico» riproposto nei secoli gli stessi stilemi, viene definitivamente seppellita: i maestri, le scuole, le botteghe escono dall’anonimato e rivelano personalità piene di creatività dai nomi suggestivi il Maestro del Cervo dalle Grandi Orecchie o quello della Barca Divoratrice o dell’Uomo che ride. Un’intera sezione della mostra presenta poi per la prima volta una panoramica sull’arte «erotica» della cultura Moche: sono esposti vasi che recano raffigurazioni di atti sessuali solitari o relazioni tra coppie umane, animali o esseri scheletrici, oppure vasi con forme falliche o vaginali.

La sezione finale infine documenta il legame tra Firenze e l’America fin dai tempi dei Medici con l’esposizione dei più importanti pezzi delle collezioni medicee di «exotica», conservati oggi al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti.

Le curiosità in mostraUna curiosità dell’esposizione di Palazzo Strozzi è rappresentata dagli strumenti di calcolo del mondo andino come un Yupana di pietra della cultura Inca, una sorta di «calcolatrice» e il Quipu UR6 presumibilmente una specie di calendario formato da una serie di corde di cotone pendenti attaccate ad una corda primaria. Si resta poi assolutamente impressionati dagli ori e gli argenti proposti in mostra: maschere, ornamenti raffiguranti giaguari mitici, collane d’oro, lapislazzuli, spille, dove spesso i soggetti vengono raffigurati con essenzialità attraverso una linea che determina l’oggetto stesso in un gioco di eleganza ed essenzialità.

Ma fra i numerosi capolavori esposti un’attenzione particolare va riservata ai tessuti, da considerarsi delle vere opere d’arte da indossare ed esporre. Nelle culture precolombiane dell’antico Perù, i tessuti venivano elaborati con fibre di animali, come l’alpaca, la vigogna, il lama, e vegetali (cotone, totora, agave) e successivamente colorati con elementi organici e inorganici, ottenendo colori definiti e duraturi. Lo dimostrano le tele e i capi che, nonostante l’antichità, si possono oggi osservare in mostra a partire da una «camicia» (uncu) realizzata in un solo pezzo a telaio con la tecnica dell’arazzo caratterizzata dal colore rosso e da un armonico motivo a scacchi bianco e nero che appare modernissimo nella sua schematicità tanto da richiamare alla mente opere ben più tarde come Ritmicità o Armonia dei Rettangoli di Klee. Anche il manto in fibra di camelide proveniente dalla necropoli di Huayuri presenta un’esuberante gamma di colori che modula i motivi geometrici disposti in bande verticali e oblique. Tra le più antiche realizzazioni tessili dell’antico Perù sono esposti i manti Paracas, raffinati tessuti con disegni zoomorfi, geometrici, ecc. e sempre coloratissimi, che servivano per avvolgere il defunto, uno sopra l’altro, in alcuni casi sono stati contati fino a sessanta strati. Singolare ed eccezionale appaiono poi i tessuti che presentano decorazioni con file di penne e piume piegate ed annodate con fili e, successivamente, attaccate alla tela di base: piume dai colori diversi e molto vivaci che creano disegni lineari, a scacchiera. antropomorfi, indumenti preziosi e caleidoscopici destinati ad essere indossati da dignitari o durante le cerimonie cultuali.

Perù. Tremila anni di capolavori, Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22 febbraio 2004. Orario: tutti i giorni 9-20. Sabato 9-23. Informazioni allo 055-2645155 (www.perupalazzostrozzi.it)