Cultura & Società

Piazze di maggio, tanti modi per declinare la cittadinanza

di Giacomo GambassiCittadini dietro le grate della clausura, in carcere, nelle aziende, in uno studentato internazionale dove vivono fianco a fianco i «nemici», fra le mura di casa con gli stipendi che non bastano e i permessi di soggiorno che non arrivano.

Se c’è bisogno di declinare la parola «cittadinanza», basta guardarsi intorno. Anche se il vocabolario si limita a definirla come un «vincolo di appartenenza ad uno Stato per il godimento di diritti e l’assoggettamento a particolari oneri» e sembra quasi che voglia racchiudere la questione dentro i confini stretti della scienza politica o dei palazzi del potere, la dimensione della relazione sociale e civile investe tutto il quotidiano e pervade ogni luogo.

Lo sa bene la Chiesa italiana che ha scelto di interrogarsi sulla cittadinanza in vista del Convegno Ecclesiale di Verona. Se la «polis» è legata all’idea di un radicamento nella storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi, essa non può che essere un ambito privilegiato della «testimonianza» per il cristiano. Ecco, quindi, che la società diventa il perno dell’impegno del credente.Un impegno che penetra fin dentro la clausura come accade a Cortona, in provincia di Arezzo, nel monastero delle Clarisse. «La nostra casa è inserita nella trama delle altre case – spiegano – Non è un corpo avulso dal contesto della vita quotidiana, ma come cellula viva e vivente». La sensazione che dà la struttura può essere forviante. «Le alte mura dell’edificio – affermano le religiose – sembrano incoraggiare più l’immagine delle “sepolte vive” che quella della vita che si effonde. In realtà, i muri sono la possibilità di finestre e porte aperte, dove la vita entra ed esce, si comunica in uno scambio essenziale per tutti».

Si è cittadini oltre le grate. E lo si è dietro le sbarre. «Anche nel carcere – dicono i volontari del laboratorio sulla cittadinanza nella Casa Circondariale di Arezzo – ci sono individui che meritano la stessa attenzione riservata a tutte le altre “categorie” di cittadini: i detenuti sono persone che stanno già pagando per le colpe commesse e non è giusto condannarli alla pena aggiuntiva dell’oblio». La famiglia è un chiodo fisso fra le celle. «Quando penso al futuro – confida un detenuto – mi domando sempre se riuscirò a far vivere meglio i miei bambini». Dietro le sbarre si sperimenta il rispetto. «In carcere – ammette un recluso – ho trovato una solidarietà che non avevo mai provato fuori». Però, si percepisce anche la paura di essere giudicati dal mondo. «Hai sempre la sensazione di sentirti un detenuto», dicono in molti. Comunque, si nutrono speranze. «Mi sento cambiato», si ripete.

In cella si vive una misura della cittadinanza. Un’altra si tocca con mano in azienda. Anche i processi produttivi entrano nella «città» e ne condizionano gli stili di vita. Ne è consapevole il vescovo di Arezzo, Gualtiero Bassetti, che durante la sua visita pastorale ha varcato i cancelli di decine di imprese. «Il presente è segnato da nuove questioni sociali che il lavoro si porta dietro – spiega – Sono quelle dell’eccessiva precarietà degli impieghi, del venir meno della dignità del lavoratore che viene subordinato all’efficienza della produzione, dei disagi sempre maggiori per le famiglie, dei turni di lavoro che occupano i fine settimana e cancellano la domenica». Temi che sono stati sollevati più volte negli incontri fra Bassetti, i lavoratori e le organizzazioni sindacali. «E nei dibattiti con gli imprenditori è venuto fuori che siamo di fronte ad una crisi veramente strutturale che va di pari passo con i processi di globalizzazione».

Così la dimensione locale della cittadinanza si interseca con quella globale. In fondo è ciò che accade anche nella Cittadella della Pace di Rondine, alle porte di Arezzo, dove studiano venti ragazzi provenienti dai Paesi in guerra. Nelle loro terre d’origine sperimentano la cittadinanza «ferita». «Sono cresciuto a Tbilisi, una città sul mar Nero – racconta Lasha, studente della Georgia –. Era una città che ospitava le varie etnie del Caucaso, un luogo dove abcasi e georgiani vivevano come fratelli. Fino al giorno in cui un elicottero apparve nel cielo. Da quel momento dovevo vedere il mio amico abcaso come nemico».

Nella Cittadella della Pace lui ha trovato una cittadinanza «sanata» e lì vive a fianco di un abcaso. «Se a Rondine un abcaso e un georgiano possono vivere insieme, perché non è possibile farlo dove prima giocavamo insieme? Sembrano domande banali, ma le risposte non ce le danno».

E poi c’è la cittadinanza di serie B. È quella delle «nuovi poveri»: sono le famiglie che non arrivano alla fine del mese per gli stipendi ridotti all’osso a cui si sommano le spese degli affitti e delle utenze domestiche; sono gli anziani soli che sopravvivono a stento con la pensione e sono costretti a mangiare pane e latte per alcuni giorni al mese quando il portafogli è vuoto; sono gli immigrati che devono lavorare senza un contratto, vivere in appartamenti degradati e combattere con la burocrazia. Le loro storie corrono parallele e sono state raccontate nel «rapporto sulle povertà» della Caritas di Arezzo. Come quella di Anna Rossi, 63 anni. «Abito da sola in una casa popolare – spiega – e non percepisco la pensione avendo lavorato sempre a nero. Il servizio sociale mi passa 250 euro con cui devo pagarmi le medicine, l’affitto, le bollette e la spesa».È la storia di Laura Sole, donna albanese che è fuggita dal marito violento e ha una figlia. «Faccio lavori precari e sottopagati», confida con amarezza.

È la storia di Alfredo Bianchi, ex tossicodipendente che da poco è diventato padre. «L’abuso di droga mi ha causato gravi problemi di salute. Ho un contributo mensile di 350 euro che non consente alla mia famiglia di avere una vita dignitosa». Lui è a terra. «Oggi viviamo di nuovo di elemosina. E mi vergogno di non poter comprare neppure un gelato a mia figlia».

Una «diretta» a 25 anni dall’attentato a Giovanni Paolo II1981-2006: sono passati quasi 25 anni dall’attentato compiuto da Ali Agca contro Giovanni Paolo II. E proprio nel giorno dell’anniversario, sabato 13 maggio 2006, il cardinale Renato Raffaele Martino sarà nel carcere di Arezzo per un’ora di diretta radiofonica (11.50-13) su Radio 3 Rai. Quel colpo di pistola in piazza San Pietro aprì una riflessione all’interno della chiesa sul significato della pena detentiva e sul valore del perdono. Riflessione che portò prima Giovanni Paolo II a incontrare Agca in carcere e negli ultimi mesi della sua vita a chiedere insistemente un’amnistia per i detenuti comuni. Per questo i 25 anni dall’attentato saranno ricordati nell’ambito delle Piazze di Maggio: una settimana di appuntamenti, dall’8 al 14 maggio, tutti sul tema della cittadinanza, l’evento che il Progetto culturale della Cei ha voluto venisse organizzato ad Arezzo e a Rondine Cittadella della Pace in vista del convegno decennale della chiesa italiana. Sabato 13 maggio con il cardinale Martino saranno in carcere il direttore di Radio 2 e Radio 3 Sergio Valzania e il vice direttore della Caritas Nazionale don Giancarlo Perego, che dialogheranno in diretta con il direttore della Casa Circondariale Paolo Basco e con alcuni dei detenuti ristretti all’interno de carcere. Non si esclude che in questa occasione possa partire un primo appello al nuovo Parlamento per la concessione dell’amnistia. Quattro luoghi-simboloper una settimana di eventiToccherà Arezzo, La Verna, Camaldoli e Rondine il quarto appuntamento nazionale voluto dalla Conferenza episcopale italiana in vista del Convegno ecclesiale di Verona. Un percorso itinerante con più di cento ospiti che sarà il fulcro delle «Piazze di maggio» in cui ascoltare il «grido della città», come spiega il titolo l’incontro ospitato dalla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro dall’8 al 14 maggio.

Filo conduttore sarà la cittadinanza, quinto ambito indicato dalla «Traccia di riflessione» per Verona. La scelta di Arezzo non è stata casuale: infatti, alle porte della città si trova la Cittadella della Pace di Rondine, fondata da Franco Vaccari, in cui vivono fianco a fianco venti studenti che provengono dai paesi in guerra. Dalla convivenza che si sperimenta nel borgo di Rondine e che è capace di superare le ragioni dell’odio prenderà spunto la settimana aretina che è stata organizzata dalla Cittadella della Pace insieme alla diocesi.

Si comincia da La Verna con la meditazione dell’arcivescovo emerito di Firenze, Silvano Piovanelli e la testimonianza di Luisa Fianchetti Naor, ebrea salvata dal paese di Giampereta durante la seconda guerra mondiale. Poi sarà la volta di Rondine che per due giorni ospiterà incontri, tavole rotonde, mostre e spettacoli in cui la dimensione locale della cittadinanza si incrocerà con quella mondiale. Giovedì l’approdo a Camaldoli che farà da cornice al «dialogo» fra il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, il cardinale Walter Kasper, e l’ex presidente dell’Unione delle comunità ebraiche, Amos Luzzatto. Ultima tappa: Arezzo.

Per il fine settimana si trasformeranno in «piazze aperte» la cattedrale, il carcere, le scuole, i monasteri di clausura, l’ospedale che accoglierà don Oreste Benzi ed Ernesto Olivero, la basilica di San Francesco che farà da palcoscenico allo spettacolo «Le guerre di Piero» con Veronica Pivetti e Marco Baldini.

Obiettivo della settimana è «dare un contributo dalla comprensione dell’oggi e incoraggiare tutti a sentirsi pienamente responsabili di fronte alle sfide del nostro tempo», spiega il vescovo Gualtiero Bassetti. E dietro l’evento c’è «lo sforzo di entrare in dialogo con gli altri e di incontrare persone che hanno alle spalle storie e bagagli culturali diversi», afferma il presidente di Rondine, Franco Vaccari. Non è un caso che uno degli appuntamenti centrali sia la preghiera ecumenica di venerdì sera nel duomo di Arezzo a cui parteciperanno i rappresentanti della Chiesa cattolica, anglicana e ortodossa.

Piazze di maggio, il programma dettagliato