Cultura & Società

Piccola storia del Carnevale

di Carlo LapucciSe non è nato nel seno del Cristianesimo il Carnevale vi ha preso la sua forma attuale attraverso sostanziali trasformazioni che sempre hanno avuto a che fare con l’aspetto religioso. Il Carnevale non fa parte della liturgia, ma s’inserisce nell’anno liturgico, nella sua rappresentazione, dalla quale prende forza e significato. Provenendo dal paganesimo, portava con sé elementi naturalistici, culti purificatori e di fecondazione che mal si accordavano con la diffidenza cristiana verso la materia, la carne e il piacere in genere. Pure lo spirito e le forme pagani delle celebrazioni primaverili, ovvero della fine dell’anno agricolo, resistettero e penetrarono profondamente nella vita sociale, con tanta forza che, combattuti dalla nuova religione e poi della civiltà industriale, sono arrivati fino a noi.

Il mondo cristiano ha inglobato in qualche modo quello che aveva ereditato dal mondo pagano, comprendendo che non era possibile spiritualizzare a pieno, e tanto meno cancellare, questo prorompere di vitalità, questa necessità insita nella natura stessa, di infrangere per una volta nell’anno le regole, i confini imposti, le convenzioni, le norme d’educazione e di rispetto. La forte compressione dei comportamenti, che la società impone con progressiva forza, aveva trovato questa valvola di scarico, che un tempo assumeva le dimensioni della vera licenza e perfino della violenza.

In principioOggi solo poche manifestazioni carnevalesche si ripetono con delitti e misfatti, ma in passato era inevitabile che il mondo per qualche giorno si capovolgesse, in modo che gli uomini si ritrovassero tutti, magari dietro le maschere, come realmente sono: tutti uguali, figli d’Adamo, senza distinzioni di nessun genere nella festa provvisoria della vita, privi delle difese del grado, degli steccati del rango, della funzione, nel ballo che raffigura l’esistenza e nella possibilità di dire, scherzando, le verità che non si possono dire in altri tempi.

Nella società agricola il periodo invernale, nella fase di freddo acuto e delle intemperie, era tempo di relativo riposo e di stasi: le ridotte ore d’insolazione e di luce restringevano considerevolmente il tempo di lavoro nei campi. C’era tempo per lavori al coperto, per la festa, per il gioco e per la celebrazione d’un mistero che, per essere collegato al mondo naturale, non ha avuto calorosa accoglienza nel Cristianesimo.

La natura stessa, chiusa nel suo sonno, stimolava il bisogno di chiasso e d’allegria: spogliata della vita apparente, dei colori, della luce, della vitalità, dell’attività, appariva agli occhi dei primitivi in un sonno dal quale era difficile dire se si sarebbe mai risvegliata, in bilico tra la morte e la resurrezione, col sole nascosto nelle nebbie, i pochi animali visibili nei campi e nei boschi, la terra e le acque serrate nel gelo o chiuse nella neve. Da qui il senso della precarietà, della fine e della morte che il Carnevale paradossalmente eccita forse più della Quaresima. Per burle che siano, il Carnevale vive in agonia, fa il suo testamento, riceve un vero e proprio funerale e muore in un rogo la notte della sua festa.

Il Carnevale non è stato una festa sempre uguale nel tempo e d’altra parte la sua origine si perde in tracce sempre più evanescenti per sfociare in riti primitivi di fecondità e di celebrazione dei cicli naturali.

Dire quando sia nato il Carnevale e quanto il nostro dipenda da quello pagano è molto difficile. Ci terremo a quanto si può dire di certo, nell’incertezza generale della materia. A cominciare dal nome non ci sono elementi su cui si possa trovare accordo:carne – levare: togliere la carnecarne – vale: carne addiocarne – levamen: sollievo della carnecarna – aval: possibilità di mangiar carnecarne – a scialo (carnasciale)carnalia – feste riconducibili ai Saturnali Le tradizioni paganeUna cosa però è certa: in tutte queste etimologie proposte e contestate è presente la parola carne. Sia che l’intenda come alimento, sia che si consideri la carne come la dimensione fisica dell’uomo con le sue esigenze, i suoi appetiti e desideri, le esigenze di gratificazione, spensieratezza, piacere e divertimento, siamo nello stesso ordine di pensieri. È evidente dunque che si tratta di una festa volta a celebrare il mistero della carne, della fisicità, dell’amore e della fecondità: cosa non da poco se si pensa che da questi momenti passa le generazione e la perpetuazione della vita.

Anche qui, come per l’etimologia, dovremo attenerci a un criterio minimale, essendo la materia incerta e contestata. Il primo elemento di riflessione ce lo fornisce Ovidio nei Fasti dove ci dice che il 15 di febbraio si celebrava la festa dei Lupercali, festa della fecondità, per la sua origine e per i suoi riti. Narra il mito che ai tempi di Romolo le donne romane divennero sterili e andarono nel sacro bosco a invocare l’aiuto di Giunone Lucina. L’Augure subito sacrificò alla dea un caprone e le donne tornarono a dare alla luce bambini.

Il 16 e 17 febbraio si celebrava a Roma la Festa degli Stolti. Ovidio non ci dà notizie delle forme dei festeggiamenti, ma questo uso si ritroverà poi nel Medio Evo in questo periodo, con la Festa dell’Asino e con riti di capovolgimento del tipo «il mondo alla rovescia».

Le feste che più somigliano al Carnevale sono però i Saturnali, che si facevano in Roma in onore del dio Saturno. Il dio, cacciato da Giove dall’Olimpo e dal trono degli dei, si rifugiò nel Lazio e dette inizio all’età dell’oro. Le onoranze a questa divinità venivano fatte in marzo e il 17 di dicembre. Di queste abbiamo ampie descrizioni, ma non nei Fasti di Ovidio, che sono un’opera incompiuta. Probabilmente nei Saturnali si intendeva celebrare la mitica età dell’oro in cui, sotto il regno di Saturno, non c’erano differenze sociali, si disprezzavano le ricchezze, non era conosciuto l’egoismo e gli uomini vivevano in pace cibandosi di semplici frutti della terra. Molti elementi di questi riti compaiono nel Carnevale del Medio Evo e sono rimasti anche nel nostro.

Gli aspetti più salienti erano questi: cessazione di attività di lavoro. Licenza per chiunque di fare scherzi anche a persone ragguardevoli. Rilassamento delle regole morali. Libertà di comportamento, di parola, di manifestare desideri sessuali. Banchetti. Inversione dei ruoli schiavo – padrone; servo – padrone. Possibilità di indossare abiti di altre categorie sociali: i servi si vestivano da padroni e viceversa. I padroni servivano gli schiavi o i servi a tavola. Elezione del re della festa.

Le origini della festa cristianaTutti questi elementi si ritrovano più o meno nella storia del carnevale cristiano. Nella nuova religione sopravvissero a lungo i Saturnali, mal tollerati, spesso soppressi, risorgevano sotto altra forma, manifestando l’esigenza insopprimibile di una società a liberarsi di vincoli e regole almeno in pochi giorni dell’anno. Che il nostro Carnevale non si rifaccia a una festa precisa, ma allo spirito di alcune feste pagane, lo si potrebbe arguire anche dal fatto che il suo inizio non è dato da un giorno preciso, facendolo iniziare le varie comunità in giorni diversi. Infatti può avere inizio: il 26 dicembre, Santo Stefanoil 6 gennaio, festa dell’Epifaniail 17 gennaio, festa di Sant’Antonio abateil 2 febbraio (la Candelora) Il Carnevale non rimase nel mondo cristiano per così dire in penitenza, ma in molti periodi la fece da padrone, mantenendo la vera natura di ritorno all’età saturnia dell’oro, senza regole, leggi, disuguaglianze, senza falsità, ipocrisie, abiti che coprano le bellezze del corpo. Soprattutto in certi periodi del Medio Evo presenta per noi incredibili libertà, con rottura di ogni freno morale, uso delle chiese per manifestazioni profane e balli, partecipazione di prelati a cortei buffoneschi cavalcando asini, nobili in vesti buffonesche, corse di matti, di prostitute, proprio a Roma alla presenza del papa stesso. Fu lo spirito delle feste invernali pagane che rimase nel mondo permeato dal cristianesimo; non fu una festa specifica. Lupercali, Saturnali, Baccanali, Opalia e altri usi religiosi pagani, che prevedevano sfrenatezza, danze, libertà, forme di oscenità e atti licenziosi, eccessi di cibo, ubriachezza, entrarono nel mondo cristiano senza chiedere permesso: c’erano già prima che arrivasse e ci restarono a lungo. Ce lo dicono gli editti dei papi come Gelasio I e Gregorio Magno, con le invettive dei prelati che combatterono senza successo queste sopravvivenze pagane.

La Chiesa dovette venire a patti e accolse non nel rito, ma nel cerimoniale, forme un po’ rivedute e poco corrette delle vecchie feste. Prese campo la vecchia festa pagana dei pazzi, che prevedeva l’elezione di un papa per burla che veniva portato in trionfo come un santo, celebrava una messa parodistica e faceva altre cerimonie religiose buffonesche tra lazzi e risate della folla. La Festa dell’Asino parodiava una processione rappresentando una burlesca Fuga in Egitto: una bella figliola, con un bambino in braccio, andava su un asino seguita da un vecchio e dalla folla in festa, la quale, entrata in una chiesa, assisteva a una messa ridicola e faceva festini.

Elementi cristiani e paganiVari concili biasimarono e interdissero queste manifestazioni le quali, se momentaneamente scomparvero, riaffiorarono rapidamente, sempre vitali. La documentazione precisa non è molta. Sono tempi di crisi per l’Occidente: l’Italia è attraversata da ripetute invasioni barbariche e l’allegria non deve essere stata esagerata; ma si può anche immaginare che la disperazione porti la sfrenatezza e gli eccessi. Come ricordi del paganesimo antico, nacquero le Invenzioni, cioè dei travestimenti degli uomini in abiti femminili e delle donne in quelli maschili, nel V e nel VI secolo, puntualmente bollate dai Padri della Chiesa e dalle autorità religiose come peccaminose. Papa Zaccaria (741 – 752) condanna le manifestazioni pagane licenziose, che sono ancora celebrate in seguito nel IX e X secolo, spostatesi dal periodo dei Saturnali (dicembre) alla settimana dopo l’Ottava dell’Epifania. Ancora si celebravano parodie del sacro e si facevano baccanali e licenziosità nelle chiese, usando altari e l’arredo liturgico.La Chiesa cercò d’arginare la licenza anche facendo proprie le manifestazioni. Il papa stesso nell’XI secolo presenziava ai cortei buffoneschi, alle sfilate, alle cerimonie parodistiche, alla danza dei sacrestani e coi cardinali cantava Deus ad bonam horam, un inno di frasi sconnesse. Con la ripresa economica dell’Occidente, dopo la Rinascita carolingia, le vittorie sui Musulmani, i quali avevano stretto l’Europa in una morsa, le Crociate, le Repubbliche marinare e i Comuni, finiscono i tempi terribili e il Carnevale trova una nuova forma e in qualche modo si istituzionalizza, per quanto lo possa fare una simile festa.Sono gli stessi magnati, che sono arrivati coi commerci e l’attività bancaria a grandi ricchezze, che si accorgono quanto al popolo piacciano queste feste e cominciano a finanziarle come mezzo di acquisto per il prestigio e come valvola di scarico delle tensioni sociali. Il Carnevale modernoAnche il Papa fa lo stesso ragionamento e Paolo II, nel 1467, porta dal Testaccio, dov’era confinato, il Carnevale popolare nella città di Roma. Dette al corteo carnevalesco il corso adibito alle competizioni dei cavalli (Via del Corso), dette premi per i palii buffoneschi: la corsa dei garzoni, dei vecchi, ai quali assisteva da quello che è oggi Palazzo Venezia, e in piazza Venezia offrì banchetti alla popolazione permettendo le maschere. Non fu che la prima grande mascherata che doveva vedere Palazzo Venezia… Arrivarono rappresentazioni di personaggi storici, re e regine, dèi della mitologia greca, antichi romani, giganti, putti, figuranti, dee e ninfe giovani e belle, vestite meno possibile, cosa che conferiva maggiore interesse a tutta la rappresentazione. In seguito si fece anche il palio delle donne, per nulla avare nel mostrarsi alla festa. Era nato il Carnevale romano, paradigma di quello moderno. Principi, signori, regnanti e papi seguirono la strada tracciata.

A Viareggio sfilate al via