Cultura & Società

Quando un film può dirsi «cattolico»?

di Andrea Fagioli

Un film cattolico, almeno stando ai fatti. Parola del direttore dell’Osservatore Romano, che a trent’anni dall’uscita di The Blues Brothers «santifica» così il capolavoro di John Landis con John Belushi e Dan Aykroyd. «Gli indizi certo non mancano», scrive Giovanni Maria Vian (siglandosi g.m.v.) in un colonnino all’interno di un’intera pagina dedicata al film dall’organo ufficiale della Santa Sede nel numero del 16 giugno scorso, giorno anniversario di quel 16 giugno 1980 in cui la pellicola di Landis fece la sua comparsa sugli schermi statunitensi. Gli indizi che il film sia cattolico dunque non mancano soprattutto in un’opera come questa in cui «i dettagli non sono certo casuali». Vian gli elenca: dalla foto di Giovanni Paolo II (che compare nella casa dell’affittacamere) ai protagonisti stessi, i fratelli Jake ed Elwood cresciuti nell’orfanotrofio intitolato a Sant’Elena e alla Santa Sindone. Senza contare il loro essere in «missione per conto di Dio» e delle parole del reverendo protestante Cleophus James (interpretato da James Brown) che riconosce il cambiamento (conversione?) di Jake: «Tu hai visto la Luce!».

In ogni caso, «come capita spesso ai capolavori – lo sottolinea Emilio Ranzato nella stessa pagina dell’Osservatore Romano –, si tratta di un crocevia di varie influenze, e intercetta tutta una serie di elementi che si sarebbero imposti negli anni a seguire».

Certo è che la pagina dell’Osservatore dedicata a The Blues Brothers (ma anche il più recente articolo sul «vampiro cattolico» della saga di Twilight sul numero del 28-29 giugno), ha provocato un certo scalpore, anche per gli indiscussi elogi al film compresa la condivisione del sondaggio della Bbc che nel 2004 dichiarò la colonna sonora del film la più bella della storia del cinema. «E non poteva essere diversamente», chiosano Giuseppe Fiorentino e Gaetano Vallini nel pezzo realizzato su quella musica «protagonista al pari, se non di più, degli attori». Per i quali rimane il rammarico della tragica fine di John Belushi, morto in un hotel di Los Angeles per overdose, come ci ricorda Ranzato, appena due anni più tardi dall’uscita del film.

E a proposito di anniversari e di film «santificati» o «scomunicati» viene spontaneo in questi giorni ricordare il caso de La dolce vita, «santificato» da un gesuita, Nazareno Taddei, e «scomunicato» a suo tempo dal Vaticano, Osservatore Romano in testa.

La vicenda di padre Taddei e del «film scandalo» di Federico Fellini è nota: 50 anni fa il gesuita del San Fedele di Milano fu mandato in esilio per una recensione favorevole a La dolce vita pubblicata su Letture del marzo 1960. Quello che invece non è noto è il fatto che Taddei, assieme alla famosa lettura, avesse preparato un testo che doveva accompagnare la recensione e spiegare le conseguenze soprattutto della reazione negativa di molti ambienti cattolici all’uscita del film.

Il testo, che Taddei aveva intitolato «Vita non dolce», è rimasto inedito. In un biglietto, trovato insieme al dattiloscritto, si legge: «Articolo che Nat (sigla che sta per Nazareno Taddei, ndr) voleva venisse pubblicato assieme alla recensione della Dolce vita e che invece non si volle pubblicare». L’intento del gesuita studioso di cinema era chiaro perché nel testo inedito, ad un certo punto, si legge che «in altra parte della rivista ci siamo sforzati di dare un’analisi cinematografica e morale del film stesso».

Dunque il testo «non si volle pubblicare», ma Taddei non rinunciò all’idea della pubblicazione tanto che continuò a lavorarci. Lo dimostra una seconda versione, frutto di numerose correzioni a mano sulla copia carbone del primo testo. Ma anche questo secondo è rimasto inedito e poi forse dimenticato assieme al primo. Entrambi, riordinando a La Spezia gli archivi del religioso, sono saltati casualmente fuori proprio a 50 anni da La dolce vita. Si tratta di un ritrovamento importante, che getta ulteriore luce sulla vicenda che portò padre Taddei suo malgrado alla ribalta.

Il gesuita era convinto che Fellini, se non fosse stato osteggiato dai cattolici sarebbe diventato «il cantore della Grazia»: con La dolce vita Fellini, spiegava Taddei, «si era messo su questa strada: voleva parlare della spiritualità del cristianesimo. Ma rimase talmente turbato e amareggiato da quell’accoglienza che nel film successivo, Otto e mezzo, film pagano all’acqua di rose, se la prese con la Chiesa ufficiale».

Ma cosa aveva spinto Taddei a dire che La dolce vita trattava il tema della Grazia? «La “lettura” del film», rispondeva: «La “lettura” del film esplicitata dalle immagini iniziali (con l’arrivo della statua di Cristo in elicottero) e finali quando il protagonista, Marcello, quasi ubriaco di stanchezza dopo una notte di bagordi, si trova con un gruppo di persone in riva al mare, e Paolina, la cameriera che aveva impressionato Marcello per la sua grazia innocente, si trova sorridente al di là di un piccolo braccio di mare a chiamarlo. Marcello la vede, ma non capisce e se ne va trascinato via da una delle donne del gruppo. Paolina continua a sorridere, come a dire: “Vai pure, al prossimo bivio mi troverai ancora lì ad aspettarti!”. La “lettura” era evidente, ma mi sembrava difficile che Fellini avesse voluto esprimere un tema così… teologico. Nei nostri incontri non si era mai parlato di “Grazia”. Un giorno gli chiesi: “Cos’è secondo te la Grazia?”. Mi rispose di botto: “Che cos’è la Grazia se non quella realtà, come Paolina, che tu non capisci e la rifiuti, ma lei sorride e ti dice: Vai pure! Mi troverai sempre ad aspettarti?”. Risposta teologicamente perfetta, espressa però con linguaggio non da trattati teologici, ma a parole semplici, che sintetizzano il discorso che aveva con immagini tutt’altro che devote. Per questo, forse, il film ha scatenato tante ire».

Da qui l’amarezza di Taddei e le «considerazioni» contenute nel primo inedito che viene pubblicato ora, assieme al secondo, dalla rivista Edav – Educazione audiovisiva in un numero speciale dedicato allo stesso Taddei a quattro anni dalla morte.

La prima considerazione è che le proteste dei cattolici finirono per spingere la «massa in maniera mai vista nelle sale dove il film veniva proiettato. Di più, la gente – scrive il religioso – correva al film attratta da una sorta di curiosità morbosa e dal timore di non riuscire mai più a vederlo nell’eventualità di un ritiro da parte della censura». Altro motivo di desolazione era per Taddei il fatto che alcuni cattolici avessero scritto del film senza averlo visto.

«Il primo ad addolorarsi dello spirito con cui il popolo italiano è accorso a vedere il film – rivela l’inedito – è stato proprio Fellini, l’uomo cioè che, secondo le parole degli accusatori del film, è l’uomo senza morale, è il pornografo. Fellini ci diceva: “Ho fatto un film con la convinzione che possa fare del bene, non per appagare istinti morbosi; credevo di essere aiutato a preparare il pubblico a cogliere nel mio film quello che c’è di elevato, ed invece è con profonda amarezza che mi sono accorto del tentativo di distruggere proprio questa parte di successo che era quella alla quale tenevo di più”. Il produttore infatti era disposto, prima del lancio del film, era già rassegnato a non incassare nemmeno tanto da coprire le spese. Sbagli di questo genere, nell’apostolato cinematografico italiano, se ne sono ripetuti moltissime volte; sarebbe ora veramente che una tale situazione cambiasse, che si formassero degli esperti e si ascoltassero quelli che già ci sono, che non si cercasse di denigrare gli esperti che pensano diversamente da questi cattolici presuntuosi e sarebbe il momento di cominciare a studiare e affrontare con intelligenza questi problemi che sono stati lasciati finora all’arbitrio di pochi incompetenti».

I cattolici, a giudizio di Taddei, non avevano capito che il film era «veramente positivo e veramente cristiano; un film fatto da un uomo che dimostra di essere grandissimo artista e sulla via di una maturazione spirituale non indifferente. Abbiamo esaltato nel passato film ben più deboli spiritualmente, ben meno eccelsi artisticamente e li abbiamo portati come campioni di una cinematografia cristiana. Oggi che ci appare un film che, benché non direttamente religioso, benché non esplicitamente tematico o predicatorio tratta però un problema sotto un preciso profilo spirituale cristiano, fa sentire la nostalgia verso un mondo di purezza e di sanità morale, fa sentire lo schifo per quella vita non morale che il cristianesimo condanna, ora, dico, che un tale film appare, ci si scaraventa addosso e si cerca di demolirlo in ogni maniera ricorrendo perfino alla calunnia e all’ingiustizia».

Nel secondo inedito, in cui il gesuita ribadisce che «bisogna distinguere tra moralità intrinseca ed estrinseca al film», non si fa più riferimento a «noi qui (inteso come Centro San Fedele, ndr) siamo un gruppo di sacerdoti i quali generalmente oltre una licenza ecclesiastica in filosofia e teologia hanno una o due o tre titoli accademici di livello universitario, sono dediti esclusivamente a questo lavoro e in funzione di questo lavoro e sotto il preciso profilo di questo lavoro, hanno continui contatti, col pubblico». Non si ribadisce che «ciascuno di noi potrà sbagliare», ma «quando un gruppo di noi vaglia insieme le ragioni di un giudizio è lecito sperare che le possibilità di sbagli siano minori, comunque sempre minori delle possibilità di sbagli di un laico che non ha studiato teologia, che non è dedito esclusivamente a questo lavoro, che non fa un lavoro specifico di studio, che non ha nemmeno questi contatti diretti col pubblico in funzione dell’apostolato cinematografico».

Il fatto che tutto questo sia sparito nella seconda versione è una conferma di quanto accaduto cinquant’anni fa e cioè che quel gruppo non ha lavorato, ma soprattutto non si è comportato come si doveva comportare scaricando tutta la responsabilità di quella lettura de La dolce vita sulle spalle di padre Taddei, negandogli pure la possibilità di pubblicare uno scritto che spiegasse il perché di quella interpretazione positiva del film di Fellini e soprattutto il perché della reazione negativa di gran parte del mondo cattolico.

Ricordiamo che Taddei ha sempre dichiarato di aver obbedito ai suoi superiori che gli diedero l’incarico di fare una lettura «ponderata e oggettiva» senza preoccuparsi «delle voci di polemica» che già erano venute fuori a conclusione dell’anteprima del film allo stesso Centro San Fedele.

«Rividi il film diverse volte – raccontava Taddei – e per ben dieci giorni e quasi dieci notti studiai la lettura». Ne parlò più volte anche con Fellini. Tentò persino di essere dispensato dall’incarico, ma i superiori imposero a Taddei la «santa obbedienza». Dopo aver steso la lettura fu affiancato da altri gesuiti, quelli del «gruppo» di cui si diceva, che insieme, dopo aver studiato il testo «parola per parola», «si assunsero la responsabilità del lavoro». Solo la firma rimase una sola: Nazareno Taddei sj.

Arrivarono gli attacchi dell’Osservatore Romano, della Civiltà cattolica e il 19 maggio 1960 l’ordine di partire in esilio.

Cinquant’anni sono passati e chissà che oggi, dopo aver dichiarato The Blues Brothers film cattolico non si possa rivedere anche quel giudizio su La dolce vita.

Riveduti e corretti a distanza di anni

di Francesco Mininni

Non mancano gli esempi di giudizi del Centro Cattolico Cinematografico riveduti e corretti a distanza di anni. È toccato due volte a Robert Aldrich: Sodoma e Gomorra, valutato «Sconsigliato» alla sua uscita nel 1962, diventò nel 1978 «Accettabile/Realistico», mentre Quella sporca dozzina, «Adulti maturi» nel 1967, diventò nel 1980 «Accettabile/Realistico». M.A.S.H di Robert Altman passò da IV (ovvero «inaccettabile») nel 1970 a «Discutibile/Scabrosità/Dibattiti» nel 1978. Harold e Maude di Hal Ashby, che già nel 1972 era valutato I (cioè un film per tutti), si ritrovò nel 1980 «Raccomandabile/Difficile». Joe di John G. Avildsen, valutato IV nel 1970, diventò dieci anni dopo «Discutibile/Scabrosità/Dibattiti». È capitato anche a Ingmar Bergman: Il rito passò da IV del 1968 a «Discutibile/Ambiguo» del 1979. L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich, IV nel 1971, diventò nel 1979 «Discutibile/Scabrosità/Dibattiti». Caporale di giornata di Carlo Ludovico Bragaglia era «Escluso» nel 1958, diventò «Discutibile/Scabrosità» nel 1978. C’è anche Mel Brooks: Per favore non toccate le vecchiette, III (quasi sconsigliato) nel 1968, diventò «Accettabile/Banalità/Dibattiti» nel 1979. E anche Mezzogiorno e mezzo di fuoco, inizialmente «Discutibile/Volgare», fu portato a «Accettabile/Banalità». Pane e cioccolata di Franco Brusati, che nel 1973 era III, diventò nel 1980 «Accettabile/Realistico/Dibattiti». Totò e Cleopatra di Fernando Cerchio, bollato nel 1963 come «Sconsigliato», fu benevolmente mutato nel 1978 in «Accettabile/Grossolanità». Il padrino di Francis Coppola era III nel 1972, ma appena sette anni dopo diventò «Accettabile/Realistico». Django di Sergio Corbucci, «Sconsigliato» nel 1966, diventò nel 1978 «Discutibile/Violento». L’uomo che ride, sempre di Corbucci, passa da «Adulti con riserva» a «Accettabile/Realistico». Il pozzo e il pendolo di Roger Corman, da «Sconsigliato» nel 1961, fu mutato in «Discutibile/Impressionante» nel 1978. Scandalo al sole di Delmer Daves era «Escluso» nel 1959 e «Accettabile/Complesso» nel 1978. Teresa la ladra di Carlo Di Palma passò da III nel 1973 a «Accettabile/Realistico» nel 1979. Addirittura Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen e Gene Kelly, «Adulti con riserva» nel 1952, diventò nel 1979 «Accettabile/Semplice/Famiglie».

Due casi per Blake Edwards: La pantera rosa, «Sconsigliato» nel 1964 e «Accettabile/Semplice» nel 1978, e Uno sparo nel buio, «Sconsigliato» nel 1964 e «Accettabile/Realistico» nel 1978. Due anche per Federico Fellini: Amarcord, III nel 1973 e «Accettabile/Realistico/Dibattiti» nel 1978, e I clowns, I nel 1970, ridistribuito nel 1978 insieme a Toby Dammit, episodio di Tre passi nel delirio che era «Escluso» nel 1968, accomunati in «Raccomandabile/Poetico/Dibattiti». Via col vento di Victor Fleming è passato attraverso tre revisioni: «Adulti con riserva» nel 1939, «Adulti» nel 1977, «Accettabile/Complesso» nel 1980. Cabaret di Bob Fosse, III nel 1972, diventò «Accettabile/Complesso/Dibattiti» nel 1978. Alfredo Alfredo di Pietro Germi, IV nel 1972, fu mutato in «Discutibile/Pessimista/Dibattiti» nel 1980. Love Story di Arthur Hiller, III nel 1971, divenne «Accettabile/Complesso/Dibattiti» nel 1978.

Quattro casi per Alfred Hitchcock: Delitto per delitto da «Escluso» nel 1951 a «Accettabile/Realistico» nel 1980; Io confesso da «Adulti» nel 1952 a «Accettabile/Realistico/Dibattiti» nel 1980; Il caso Paradine da «Sconsigliato» nel 1948 a «Accettabile/Realistico» nel 1980; Frenzy da «Inaccettabile/Licenzioso» nel 1972 a «Discutibile/Scabrosità» nel 1980. Infine Billy Wilder: A qualcuno piace caldo era «Escluso» nel 1959 e «Accettabile/Frivolezze» nel 1978.

Tutto questo (ed altro ancora) per significare due cose: che col passare degli anni cambia il costume e si limano i rigori morali di chi dovrebbe (perdonateci il termine) censurare; e soprattutto che, come dice una grande verità popolare, soltanto gli imbecilli non cambiano mai opinione.