Cultura & Società

Racconto di Natale: American espresso

di Giovanni Spinoso

E’ mattina presto. John Hamilton indugia a scambiarsi tenerezze con Annalise, la moglie. Poi due rapide passate di rasoio elettrico sul viso, proprio per non essere impresentabile, un bacino a Mathilde che dorme in cameretta. E corre a Coney Island a prendere il bus senza nemmeno il gusto del caffè in bocca.

Appena raggiunge l’ufficio nel cuore di New York, quella rasatura trasandata non sfugge alla sua segretaria. Lei glielo fa notare nel mettere in fila sulla scrivania cartelle con le striscioline applicate sulle pagine da firmare subito: “Dormito male?”, allude.

John si contraria e con un gesto sposta tutto ai bordi del tavolo. Di scatto infila la porta, si affaccia a quella dirimpetto e stana il collega Patrick: “Espressooooo !”.

Il loro ufficio nel World Trade Center, è al 63° piano della Torre Nord. Il bar, con vista sulla baia, è più sotto, al 55°.Una mattina piena di sole, molta gente, una signora niente male.

Conquistate due tazze, John e Patrick si spostano nell’angolo sotto l’orologio al quarzo. Sono le 8 e 46 minuti.Quasi che avessero in mano due calici di ottimo champagne, accennano a un brindisi: “Al nostro Christmas in Italy. To Rome, Siena, Venice and Floren…”. John non riesce a completare la frase. Batte i denti. Anche la sua tazzina del caffè comincia a tremare. Vibrano tutte le vetrate del bar. Un rumore assordante. “Patrick, che razza di scosse! Figurati come ondeggiano di sopra, sulle terrazze delle Twin Towers! Ricordi quella sera allo Sheraton di Città del Messico?”, aggiunge John.

Squilla il cellulare. E’ Annalise: “John, dove sei? … vieni a casa!”.

“Sono con Patrick al bar del 55°, per un sacrosanto ‘espresso’. Hai sentito anche tu forti scosse, Annalise?” “John!, John! Forse non è terremoto. Aspetta. Accendo anche l’altro schermo TV…. Mio Dio,un aereo! Dicono che è caduto nel complesso del World Trade Center… sulla Torre 1 Nord, la tua! Vieni via subito,John! In TV si vedono uscire fiamme dalle vetrate, quasi in cima al grattacielo. C’è molto fumo”.“Annalise calmati. Qui siamo protetti. Risalgo a prendere la ventiquattrore, scelgo i documenti più urgenti da firmare e arrivo”.

“ Ma quali carte, John! Quale borsa! Corri via, passa dalle scale!”

Patrick ha deciso di tornare nell’ufficio a recuperare la sua valigetta, prima di guadagnare l’uscita. John, invece, infila una scala d’emergenza,ed è travolto da persone impallidite e tese. Premono ai fianchi. Sotto braccio hanno di tutto: dai fascicoli d’archivio ai PC, alle cassette portavalori. Le scale si riempiono di caldo torrido.

“John, dove sei ? E’ terribile John!… C’é chi si lancia dall’alto della Torre… Nooo!! Ho paura, John!” grida Annalise al telefono dalla loro villetta a Coney Island .

John sbianca, vorrebbe capire meglio, risponderle: il cellulare nella confusione gli cade e, in pezzi, va giù. Giù.

Robusto, alto più di 1,80 , ora John vede avanzare, tra la gente , degli elmetti. Sono i pompieri. Salgono a squadre, compatti, con accette infilate nella cintura, maschere ,guanti ignifughi, trasmittenti, corde.“Get away! Away! Spostatevi!”, intimano.

A John manca l’aria e si fa scivolare via la giacca. E via giù,scende scalino dopo scalino. Crede di essere quasi arrivato all’uscita, ma è soltanto al 34°.

Ha fatto appena 20 piani. Gli brucia la gola, ha gli occhi arrossati ma riconosce la signora “niente male” notata al bar: scalza, trucco sfatto, foulard sulla bocca.

Si sente un tonfo: una persona anziana piomba a terra. C’è chi si china, altri vi inciampano. La calpestano. Viene soccorsa e avviata verso l’uscita, con precedenza. Vivido un odore di sangue misto a sudore. Scarpe intrise, vetrate in frantumi, occhiali spezzati e ancora vigili del fuoco, che fendono la coda per salire, tra sciabolate di luce con le torce.

John si sfila anche la cravatta, Sono 25 minuti che scorre quel tratto di scale. Non riesce più a distinguere i numeri dei piani. A tratti,va via la luce. Tutti procedono tenendo la mano destra sulla spalla di chi lo precedeva, quasi strusciandosi alle pareti, appiccicose di lembi di pelle, umori e altro.

La nausea prende anche Annalise: sui tre schermi TV di casa accesi , tutti i canali zoommano su un altro aereo conficcatosi sulla Torre Sud del W.T.C. Un velivolo della American Airlines dirottato da terroristi, secondo i primi concitati commenti dei networks.Dai piazzali davanti alle Twin Towers arrivano immagini televisive drammatiche e crude.

John un quarto d’ora dopo si ritrova, senza sapere come, al piano terra. E’ fuori. E’ vivo? Non si volta più indietro. Con gli occhi gonfi, le mani sporche di ogni cosa, arranca con le ginocchia piegate lungo il marciapiede. Oltrepassa quattro isolati, stordito dalla paura. Avverte un boato crepitante, alle sue spalle. E’ la Torre 2, quella Sud, a collassare in una bomba di polvere densa. Una gigantesca tomba di macerie e persone.

Aggrappatosi ad un taxista che guarda esterrefatto lontano, lassù , John implora: “To Coney Island, to Coney”. Inesorabile avanza lungo la strada un’immensa nuvola bianco-grigia. Il taxista parte svelto e non fa scattare il tassametro. E’ in gioco anche la sua vita.

L’auto deve fare giri e rigiri complicati, attraversa tutta la parte meridionale di Manhattan, in un traffico ora schizzato, ora lento. Ecco, finalmente la villetta di Coney Island. In giardino c’é Annalise. Sconvolta ed esausta per le terrificanti news in TV e l’interminabile silenzio di John, ha spento tutto, anche per non spaventare Mathilde. Annalise nasconde il pianto e la vista velata, annaffiando confusamente con una canna gommata il roseto, vicino al cancello.

Quando John lo apre, lei quasi non lo riconosce, tanto è ridotto male. Singhiozzando, Annalise finisce di spogliarlo degli abiti laceri, poi riprende la canna: lo lava con forti getti d’acqua, da ogni lato, lì all’aperto. Dal primo piano, con il nasino schiacciato al vetro della cameretta, Mathilde sorride e agita la manina per farsi notare dal suo buffo papà senza vestiti. John si inginocchia per coprirsi. E’ come rinato.

***

Arriva presto il mese di dicembre per Annalise e John. Con Mathilde,sei anni appena compiuti, hanno deciso di partire lo stesso per trascorrere le festività del Natale 2001 in Italia, nonostante le autorità americane raccomandino ai propri cittadini di non viaggiare all’estero. Non ce la fanno più, a sentir parlare solo di Twin Towers e Ground Zero, Bin Laden, Bush e Afghanistan, di Intelligence e Guantanamo.

Pensano: il loro cuore, i loro occhi saranno ancora capaci di gustare la bellezza e la luce del Creato, l’ arte e la cultura degli uomini?

Volano a Roma e la visitano in lungo e in largo, a piedi. Assetati di storia, di forme armoniche. In Vaticano trascorrono un pomeriggio intero, come in pellegrinaggio di ringraziamento e si commuovono al cospetto della Pietà di Michelangelo. Riprendono il viaggio. Si sentono protetti nella vastità di Piazza del Campo a Siena. E a Venezia, sul Canal Grande, l’aria li inebria. Dà loro serenità la gondola che li culla. A Firenze alzano gli occhi sul Campanile di Giotto, e quel grattacielo del Quattrocento, per un attimo, li incupisce. Subito dopo scoprono il color rosso mattone della Cupola del Brunelleschi. Vogliono vederla da vicino. Vale la pena salire fin lassù in cima. In piazza Santa Croce trovano i presepi, opera di veri artigiani, e Mathilde non vuole più venire via da quelle capannucce. Più piccole sono, più l’attraggono. Scopre mille particolari, non ha mai visto il bue e l’asinello in miniatura. Tocca tutte le statuine, il manto della Madonna, la barba di San Giuseppe. Forse vi scorge i tratti dei genitori.

Annalise e John sembrano attratti in quel quartiere da una forza misteriosa. Piace loro la semplicità della gente, le botteghe, il brulichio del vicino mercato di Sant’Ambrogio,la Biblioteca Nazionale, l’Arco di San Pierino e la solidità dei muri del Quattrocento.

Guardano all’insù in ogni stradina di Santa Croce. Un cartello sporge da un piccolo balcone al primo piano all’angolo di via de’ Macci: ”Vendesi”. Annalise e John chiedono di vedere subito l’appartamento. Luminoso, restaurato con maestria e anche ben arredato. E’ amore a prima vista.

***

La notte di Natale , davanti al presepe realizzato insieme nella loro nuova casa fiorentina, John ricorda a Mathilde il suo 11 settembre .Non le nasconde alcun particolare. Ormai – pensa – è abbastanza grande.

“Quella mattina, dall’ufficio, ero andato al bar della Torre. Stavo gustando il caffè proprio con il povero Patrick quando tutto cominciò a tremare rumorosamente… ballava sul piattino anche la mia tazzina e per poco non finì a terra…. Credevo fosse un terremoto come quelli che avevo sentito altre volte, invece la mamma da casa mi spiegò tutto. Non era così… era caduto un aereo vicino, la mamma diceva di tornare, di scendere subito per le scale del grattacielo, senza tornare a riprendere niente su in ufficio… e così mi ha salvato la vita”.

Mathilde ascolta tutto in silenzio. Non interrompe quel racconto di Natale. Non batte ciglio alla descrizione della lunga, drammatica e infinita discesa di 55 piani, per le scale d’emergenza della Torre Nord. Non vuole spiegazioni circa quei getti d’acqua di mamma sul papà “tutto nudo”, a mezzogiorno, al centro del loro giardino a Coney Island.

Guardando le mani del papà, Mathilde con voce candida pone una sola domanda: “E la tazzina?”

Senza attendere la risposta si avvicina al suo Gesù Bambino,lo prende con sé, e quasi subito s’addormenta sul divano. Serenamente.