Cultura & Società

Rosmini, una grande fiducia nella Provvidenza

di Andrea Driganidocente di Diritto canonico alla Facoltà teologicadell’Italia CentraleIl 26 giugno 2006, Papa Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il Cardinale prefetto della Congregazione delle cause dei santi ed ha autorizzato la Congregazione medesima a promulgare, tra gli altri, il Decreto riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio Antonio Rosmini Serbati, filosofo, teologo, educatore, studioso di dottrine politico-sociali, asceta che propose nuovi aspetti di vita spirituale.

Era nato a Rovereto, nel Trentino, il 24 marzo 1797, dopo gli studi primari, seguì i corsi teologici all’Università di Padova, dove conobbe, divenendone amico, Niccolò Tommaseo (1802-1874). Nel 1821 fu ordinato prete e proseguì per alcuni anni gli approfondimenti culturali nei più diversi ambiti: dalla storia alla politica,dalla matematica alla medicina, alla metafisica. Nel 1826 si trasferì a Milano dove ebbe inizio la sua amicizia con Alessandro Manzoni (1785-1873). Nel 1828 fonda, presso Domodossola, l’Istituto della Carità, una congregazione religiosa con voti semplici e perpetui composta di sacerdoti e «fratelli», il cui scopo è la realizzazione più estesa possibile della carità, andando incontro ai vari bisogni e dei tempi e seguendo l’invito del prossimo , non prevenendo per iniziativa propria. Sempre nel 1828 si recò a Roma e ricevette dal Papa Pio VIII l’ordine espresso di dedicarsi principalmente all’opera di scrittore. Il Papa Gregorio XVI gli confermò, con una lettera, l’attestazione di stima, anche per la sua «scienza delle cose divine ed umane». Nel 1830 pubblicò le «Massime di perfezione» ed il «Nuovo saggio sull’origine delle idee» che costituiscono i fondamenti della sua ascetica e della sua filosofia.

Negli anni successivi fu molto impegnato sia nel governo dell’Istituto (anche a motivo della fondazione, nel 1833, del ramo femminile: le Suore della Provvidenza) sia nella composizione di numerosi scritti . Nell’agosto del 1848 fu inviato da Carlo Alberto, Re di Sardegna, a Roma presso il Papa Pio IX col compito di presentare un progetto di Lega nazionale e di Confederazione tra i vari Stati italiani; Rosmini infatti simpatizzava per l’idea neoguelfa, conveniva, cioè, con la proposta federalista di Vincenzo Gioberti (1801-1852), in quanto riteneva che l’unità d’Italia dovesse avvenire solo nel rispetto delle tradizioni e delle autonomie, respingendo le tesi centralistiche ed unionistiche, che furono, invece, attuate dalla successiva politica di Camillo Cavour (1810-1861). Il Beato Pio IX, che già lo conosceva di fama, rimase assai ben impressionato di Rosmini, lo volle trattenere presso di se e gli comunicò, addirittura, che gli avrebbe conferito la dignità cardinalizia nel Concistoro che si sarebbe dovuto tenere nel dicembre dello stesso anno. Ma gli eventi precipitano, il 15 novembre viene assassinato il primo ministro Pellegrino Rossi, il Papa fugge a Gaeta e Rosmini lo segue, anche nell’intento di evitare che Pio IX assuma un diverso indirizzo circa le libertà politiche e l’unità italiana. Rosmini si sposta, poi, a Napoli.

Nel luglio del 1849 è costretto dalla polizia borbonica ad abbandonare il Regno delle Due Sicilie. Contemporaneamente vengono messe all’Indice due sue opere: «Delle cinque piaghe della Santa Chiesa» e «La costituzione secondo la giustizia sociale». Immediata e sincera fu la sottomissione di Rosmini alla Santa Sede, scrisse infatti al Papa : «Io voglio appoggiarmi in tutto sull’autorità della Chiesa, e voglio che tutto il mondo sappia che a questa sola autorità io aderisco». Visse gli ultimi anni della sua vita a Stresa, sul Lago Maggiore, (dove morirà il 1° luglio 1855) proseguendo la sua attività di scrittore, ed allietato dalla vicinanza dei suoi figli spirituali, oltrechè dall’amicizia col Manzoni, anche se dovette subire delle furibonde polemiche contro le sue dottrine.

La Sacra Congregazione dell’Indice, nella solenne seduta del 3 luglio 1854, presieduta personalmente dal Beato Pio IX, assolse le opere di Rosmini dalle accuse di eterodossia, con divieto di ripeterle o di accamparne altre. Ma purtroppo, l’avversione e l’accanimento contro Rosmini continuarono anche dopo la sua morte, per diversi anni, cercando di togliere forza alla sentenza di Pio IX. Con una lettera, apparsa su «L’Osservatore Romano» del 20 giugno 1876, il Maestro del Sacro Palazzo, padre Vincenzo Maria Gatti (1811-1882), biasimava come offensiva all’azione dell’Indice e del Papa la tendenziosa nuova maniera di interpretare il decreto del 1854 su Rosmini ed aggiungeva che nel caso in questione l’insieme del decreto stesso era da intendersi così : «dall’esame lungo e coscienzioso è risultato che le accuse mosse alle opere di Rosmini erano false; che in queste nulla fu trovato contro la fede e la morale; che l’edizione e la lettura di esse non sono pericolose ai fedeli».

Ma in data 15 dicembre 1887, sotto il pontificato di Leone XIII, la Sacra Congregazione del S.Uffizio emanava il decreto «Post obitum», nel quale venivano condannate quaranta proposizioni di Rosmini. Il decreto non dava alcuna nota teologica alle proposizioni, ma si diceva che erano state segnalate «catholicae veritati haud consonae videbantur». La Congregazione per la Dottrina della fede, il 1° luglio 2001, pubblicava, con l’approvazione del Papa Giovanni Paolo II, la «Nota sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati».

Con questa «Nota» la Congregazione , a seguito di un approfondito esame dei due decreti (quello del 1854 e quello del 1887) e tenendo presenti i risultati emergenti dalla storiografia e dalla ricerca scientifica degli ultimi decenni, perveniva alla seguente conclusione : si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del decreto «Post obitum» di condanna delle quaranta proposizioni tratte dalle opere di Antonio Rosmini. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà all’autentica posizione del Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere.

Da tempo la Famiglia Rosminiana (Fratelli, Sacerdoti, Suore, Ascritti sia laici che sacerdoti diocesani) ha costituito una Commissione per la promozione della causa di beatificazione di Antonio Rosmini, nell’intento che possa essere glorificato questo Servo di Dio che ha affrontato la fatica di cercare la risposta all’ardente desiderio di felicità, radicato nel cuore di ogni uomo. E dove l’ha trovata? Nelle prove che la vita non gli ha risparmiato: dapprima nel fallimento dei progetti giovanili, entusiasticamente concepiti ed avviati con i suoi compagni di università; poi nelle critiche che gli avversari hanno mosso al suo tentativo di rinnovare la cultura cattolica; più tardi nella forte opposizione alla sua proposta di una Chiesa capace di lasciarsi coinvolgere dalle esigenze sociali, storiche e filosofiche del tempo, disponibile ad una sintesi dinamica tra tradizione ed innovazione. Tutto questo non lo amareggiò, ma scoprì un’inalterabile serenità anche di fronte ad incomprensioni e delusioni.

La conclusione di Rosmini è semplice: se il fine della vita è l’unione con Dio (Gv 17) e Cristo ne illumina per noi la via (Gv 14,6), allora affidare a Dio la propria libera volontà è il più grande beneficio per l’uomo. La pace e la tranquillità interiore derivano dalla confidenza totale della creatura nel suo Creatore, come atto di tenero amore, riservato a Dio solo. Così dice Rosmini nella IV Massima di perfezione cristiana: «Abbandonare interamente se stessi nella Divina Provvidenza». Credere nella Provvidenza significa essere certi che Dio si prende cura di noi, guidandoci verso la pienezza del suo Amore. Per Rosmini confidare in Dio è ragionevole, non è un insensato fatalismo, ma frutto di fede e di ragione, per quanti accettano l’infinita misericordia e bontà del Padre, il quale, in ogni circostanza, agisce per il bene dell’uomo. Rosmini è convinto che desiderare solo ciò che piace a Dio è la via sicura per ottenere la pace del cuore e la tranquillità della mente. Abbandonare se stessi nella Divina Provvidenza non è la fine della libertà anzi ne segna l’inizio: vivere la verità liberante di Dio nell’amore. È anche da queste premesse spirituali che si muove la vastissima produzione filosofica, teologica, pedagogica, giuridica e socio-politica di Rosmini. Da cinque anni è uscito un libro, di cui è autore Mario Cioffi, presidente della Consulta diocesana per le aggregazioni laicali nonchè dei giuristi cattolici fiorentini, dal titolo «Rosmini filosofo di frontiera», edito a Firenze per le edizioni «Città di Vita», che espone in modo sintetico e completo il pensiero rosminiano, rendendolo avvincente ed invitandoci ad una lettura ed una conoscenza più approfondita.

Giovanni Paolo II, nell’udienza ai padri rosminiani del 26 settembre 1998, affermò : «Mentre la Chiesa si prepara al Terzo Millennio cristiano, l’evangelizzazione della cultura è parte cruciale di ciò che ho definito la nuova evangelizzazione , ed è a questo proposito che la Chiesa guardia con ansia i figli di Antonio Rosmini… la cultura oggi dominante oscilla tra razionalismo e fideismo in molte forme, apparentemente incapace di trovare un’armonia tra fede e ragione… In tale contesto l’Istituto della Carità ha la missione specifica di indicare il cammino della libertà, della saggezza e della verità che è sempre quello della carità e della Croce. Questa è la vostra vocazione religiosa e culturale, come lo è stata del vostro lungimirante Fondatore».