Cultura & Società

Simonetta Puccini: «La religiosità di mio nonno Giacomo»

Ariano De Ranieri ha avuto un’idea geniale: il suo libro sulla religiosità in Giacomo Puccini ci offre un aspetto del tutto inedito di mio nonno, che non ho avuto la fortuna di conoscere perché è morto nel 1924, ma sul quale ho raccolto tante notizie dai suoi carteggi e da mio padre. Nuovo, quindi, non tanto per me, quanto per tutti gli appassionati della musica classica. Una dimensione spirituale poco approfondita in precedenti biografie, che hanno considerato, com’è naturale, la sua attività di compositore e altri aspetti della sua vita, descrivendolo come un viveur, trovando a volte scandali anche dove non c’erano. Mio nonno scriveva molto, lettere assai  confidenziali, a volte mal interpretate dagli studiosi. A differenza di Verdi, molto più accorto nell’esternare e nel manifestare la sua vita privata. Comunque diamo merito a De Ranieri, che con queste ricerche ci offre un quadro più completo ed obiettivo della poliedrica personalità dell’artista che tanto ha amato ed onorato la Versilia e Lucca».

Cortese e sempre informata su quanto avviene nel panorama della lirica mondiale, così si esprime Simonetta Puccini unica erede del Maestro, essendo figlia di Antonio, a sua volta unico figlio di Giacomo. Per perpetuarne il ricordo, ha creato un’Associazione culturale ed una Fondazione che – lo dice con orgoglio – porta il suo nome.

E’ appena arrivata da Milano, dove passa i mesi invernali. E ci mostra gli ultimi restauri della Casa Museo di Torre del Lago che svetta nel bel giardino alla giapponese tra palme, altre piante e aiuole di rose che sbocceranno a primavera. «La Villa ha 113 anni, necessita di una continua manutenzione, costosa e spesso problematica. Dopo la facciata, abbiamo sistemato il tetto, la veranda e le finestre al primo piano. Ora abbiamo in ponte un progetto ancor più impegnativo: creare, ristrutturando una casa colonica, un museo di appoggio accanto al più grande complesso a due piani, che ogni anno richiama migliaia di visitatori da ogni parte del pianeta. Molti d’estate si fermano anche per il Festival Pucciniano. Vengono scolaresche da tutta Italia, perfino da Isernia. Naturalmente sostano anche nella cappella: lì è infatti sepolto il Maestro accanto alla moglie, al figlio ed alla nuora, in quella che una volta era la sua camera, trasformata col permesso del prefetto e del vescovo».

Spesso Simonetta si intrattiene con i turisti ospiti, per narrare con garbo e dovizia di particolari i momenti di vita più significativi del nonno. I più giovani sono entusiasti: per loro questo è un luogo magico, ogni stanza è una raccolta di foto, spartiti, documenti e mobili utilizzati da Puccini per scrivere le sue opere. Tutti si soffermano per ore, e l’antistante lago di Massaciuccoli, con i suoi stupendi scorci, riporta a quelle battute di caccia che il Maestro amava tanto e che pare quasi di rivivere tra i canneti lungo le sponde. Quella di Torre del Lago è sicuramente la parte più importante del patrimonio lasciato dal grande «compositore per destino», con la Villa di Viareggio e la Casa natale di Lucca, in corteo San Lorenzo, da qualche anno trasformata in Museo grazie all’intervento della Fondazione Cassa di Risparmio: anche qui, oltre a preziose testimonianze pucciniane, sono esposti tanti fogli autografi di Giacomo, recuperati dopo lunghe ricerche.

Con Simonetta riprendiamo il discorso sulla fede del nonno, mentre ci mostra la bella copertina del volume di Oriano De Ranieri edito da Paolo Zecchini (pp 130, euro 19), nelle librerie dal 10 marzo. La spiritualità del Maestro ha radici lontane. Parte dall’infanzia? «La sua – mi risponde la nipote – era una famiglia benestante e molto unita, che vantava musicisti da cinque generazioni, ed era profondamente religiosa. Devotissima era la madre Albina. Purtroppo il padre (Michele) è morto molto presto; Giacomo aveva solo cinque anni, era il maggiore dei figli, due maschi e sei femmine. Albina, donna dinamica, li ha allevati per bene facendoli studiare tutti. Aveva il presentimento che Giacomo sarebbe diventato famoso e lo ha fatto studiare a Lucca: come si usava a quei tempi nei seminari degli Istituti religiosi annessi alle chiese, San Michele prima e San Martino poi. Non era possibile mandare mio nonno a completare la sua formazione culturale e musicale in una grande città, come lui avrebbe voluto. Allora sua madre, donna di ingegno, contattò la dama di Corte della regina Margherita di Savoia, che si trovava a Lucca, affinché concedesse una borsa di studio di 100 lire al mese, per un anno al Conservatorio Verdi di Milano, dove poi si è diplomato. La regina acconsentì. Lì, nel capoluogo lombardo, ha composto le prime opere, a partire dal 1880».

Oltre ad Albina un ruolo importante nel far lievitare la sensibilità religiosa in Puccini l’ha avuto sicuramente la sorella più amata, Iginia, monaca di clausura col nome di Giulia Enrichetta dopo aver vissuto fin dalla prima giovinezza nel convento agostiniano di Vicopelago, quasi un vanto per la famiglia quando è diventata superiora: «Giacomo – racconta Simonetta – aveva un permesso speciale della Curia per andare a trovare la sua guida spirituale. Era parsimonioso, ma niente affatto avaro come qualcuno l’ha descritto! Con le suore però era molto generoso. Faceva loro regali utili. Pagò addirittura il soggiorno al mare ad una religiosa malata bisognosa di cure. Ma anche ad altri faceva del bene in maniera nascosta. Il convento ispirò in lui un’opera, «Suor Angelica», che si svolge appunto in un monastero. Questa struttura enorme è stata poi chiusa per mancanza di vocazioni; la congregazione si è trasferita a Ferrrara».

«Suor Angelica» è sicuramente l’opera in cui più traspare il rapporto del Maestro con la Fede, ma tante altre composizioni pucciniane hanno spunti religiosi. Basti pensare a «La Fanciulla del West» e alla via di redenzione per Dick Johnson, l’uomo amato da Minnie. Oppure alla mistica intensa della «Messa a quattro voci con orchestra» (composta da giovane prima di lasciare Lucca) ed al «Requiem» ideato nel quarto anniversario della morte di Verdi. Fatto questo inciso, parlando con Simonetta Puccini del libro di Oriano De Ranieri ci soffermiamo su altri personaggi e momenti che testimoniano la religiosità del Maestro. Della grande amicizia che lo legava al suo pretino, don Pietro Panichelli, ed a monsignor Dante del Fiorentino, giovane cappellano a Torre del Lago e poi prete di frontiera in America. Ricordiamo come, nel periodo della maturità Puccini pensasse alla vita e all’aldilà, riflettendo sugli anni vissuti in ambiente religioso: a 19 anni – in pochi sanno – fu ammesso nella confraternita religiosa di Santa Cecilia, che aveva accolto persino una pia principessa, Maria Teresa di Savoia, moglie del duca Lodovico di Borbone. Ma ancor prima era entrato nella confraternita della Madonna della Neve, nella chiesa di Santa Maria Nera, che vide muovere i primi passi di San Giovanni Leonardi. E scorrendo più avanti con gli anni, come non sottolineare che negli ultimi giorni di vita (è morto a 66 anni, il 29 novembre 1924 a Bruxelles, dove fu ricoverato per operarsi alla gola) Puccini si accostò ai sacramenti, impartiti dall’allora nunzio apostolico, poi cardinale, Clemente Micara? Fu lo stesso porporato a confermarlo: «Si era insinuata in lui una serena rassegnazione alla volontà divina… Puccini mi si è rivelato un uomo di sentimenti molto alti e nobili. […] Recai al maestro ogni conforto religioso ed egli ne fu cosciente e confortato. Fu il suo ultimo segno di intelligenza. Entrò in agonia subito dopo…».

Simonetta Puccini non nasconde la sua soddisfazione per questa «rivisitazione» della personalità del nonno: «Quando Oriano De Ranieri mi disse di aver scelto il tema della religiosità in Puccini come argomento per la sua tesi di laurea in Scienze religiose all’Istituto Stenone di Pisa, fui subito entusiasta. La sua scelta – mi confidò – era stata appoggiata caldamente dal relatore don Piero Ciardella. Qualche tempo dopo mi consegnò il testo da lui scritto, che ho letto e riletto più volte  insieme all’autore, con grande interesse. Tutto mi era già noto, è vero, tuttavia ripercorrere la vita e la produzione musicale di Puccini considerando l’aspetto religioso finora quasi sempre trascurato, mi sembrò una grande scoperta: rimasi colpita dall’esame accurato e completo fatto dopo lunghe e faticose ricerche d’archivio e nelle biblioteche. Ora sono certa che anche per chi vorrà leggere questo volume ci sarà una piacevole sorpresa».

Prima del commiato, la nipote di Puccini mi porta verso il bookshop della Casa Museo; pregandomi di mettere in luce un altro aspetto inedito del Maestro: «Puccini è stato sicuramente un ambientalista ante-litteram. Amava la vita all’aria aperta. Per questo preferì Torre del Lago, la sua natura, a Milano. Ma oggi si rattristerebbe e ribellerebbe nel subire tutto questo inquinamento. Vede: nel garage (ora ristrutturato e trasformato in bookshop) dove Giacomo teneva le sue automobili da corsa, fino a qualche anno fa le rondini costruivano il loro nido. Ora nel giardino non si vedono più rondini. Torre del Lago e Viareggio vivono nel degrado, il paesaggio è cambiato ed il Lago sta morendo. Per questo con la Fondazione che porta il mio nome ho voluto creare un Premio biennale natura e ambiente dedicato a Giacomo Puccini: nella prima edizione il riconoscimento è stato assegnato alla Lipu. A settembre premieremo un’altra organizzazione. Mi auguro che non solo la Versilia, ma tutta la Toscana – per non parlare dell’Italia – porti avanti con me questa battaglia».

Le opere del Maestro e quella fede troppo spesso persa di vista dai critici

Vuole condividere con l’Istituto Niccolò Stenone di Pisa tutti i riconoscimenti per l’ultima sua fatica letteraria pucciniana il musicologo lucchese Oriano De Ranieri. Il volume (La religiosità in Puccini. La fede nelle opere del Maestro) pubblicato in questi giorni dall’editore Zecchini di Milano, con l’introduzione della nipote di Giacomo Puccini, Simonetta, nasce infatti da un lungo e certosino lavoro accademico di ricerca sull’orizzonte della fede che ha accompagnato un artista non fortunato in amore e neanche nella vita, che ai trionfi ha alternato dolori e momenti difficili; lavoro compendiato in una tesi di laurea in scienze religiose (ottenuta «magna cum laude»). Relatore e correlatore i professori don Piero Ciardella e monsignor Roberto Filippini. Una «discussione» avvincente, tanto che il vicepreside della Facoltà teologica dell’Italia Centrale, monsignor Gilberto Aranci, insieme alla commissione, ha avuto parole di elogio. Ora De Ranieri, completato il libro, si sottopone al giudizio dei lettori, in particolare degli appassionati di musica classica.

Sessantacinque anni, già laureato in lettere all’Università di Pisa, De Ranieri è giornalista dal 1979. Ha lavorato prima nella redazione lucchese di «Avvenire» e poi a Milano per lo stesso quotidiano cattolico. Successivamente per oltre 20 anni in quella de «La Nazione» a Lucca, con la quale ancora collabora. La sua passione per la lirica e le comuni radici l’hanno spinto ad approfondire la conoscenza di Giacomo Puccini e delle sue opere, con la sensibilità del letterato e di critico musicale. Ha scritto libri con il collega Mauro Lubrani e con il maestro Giuseppe Tavanti, utilizzando un canale confidenziale privilegiato come quello di Simonetta Puccini e registrando testimonianze di interpreti eccellenti come Andrea Bocelli. Nei suoi libri ha sempre evidenziato l’amore di Puccini per la Toscana, che oggi così conferma: «Amava la nostra terra. Si stabilì per trent’anni a Torre del Lago gaudio supremo, poi a Viareggio. Raggiungeva spesso Lucca, a bordo di una delle sue tante automobili, per trovare i numerosi amici. Spesso visitava la campagna circostante, l’Abetone, Montecatini. Era «superbo» di Firenze, a cui volle dedicare Gianni Schicchi. Giacomo aveva un profondo senso della vera amicizia. Aveva fondato Il Club la Bohème, composto da artisti buontemponi, amanti della buona tavola e delle battute di caccia. Questi aspetti di convivialità hanno sempre portato i critici ad esaltarne esclusivamente il profilo materialistico, perdendo invece di vista o mettendo in second’ordine la sua indubbia tensione spirituale che emerge invece da tante testimonianze – tra le quali quella di Pietro Mascagni – e da un attento esame delle dodici opere proposte e da brani sacri».