Cultura & Società

Trovato nel golfo di Baratti il collirio più antico del mondo. Il 12 giugno un convegno a Firenze

Saranno esperti e tecnici a raccontare, il 12 giugno nel Salone de’ Dugento in Palazzo Vecchio a Firenze(ore 9.30), le ricerche che hanno condotto all’identificazione di un collirio tra i reperti di una nave naufragata nel Golfo di Baratti circa 2000 anni fa.

L’eccezionale scoperta, preceduta nel mondo solo da un caso analogo a Lione, è avvenuta quando nel mare vicino a Piombino è stato individuato il relitto di una piccola nave del II secolo a.C., proveniente probabilmente dalle coste greche, che trasportava vasi di Pergamo, anfore di Rodi, lampade di Efeso e brocche.

All’interno della stiva, anche una «valigetta» di pronto soccorso forse bagaglio professionale del medico di bordo, che custodiva centotrentasei piccoli flaconi di legno di bosso, un mortaio, uno specillo in ferro, una campana in bronzo per salassi e numerose pissidi, tra cui una cilindrica di stagno sigillato che alle prime indagini radiografiche ha mostrato un contenuto stratificato. «Siamo andati all’apertura con mezzi meccanici per non inquinare il contenuto e potete immaginare il nostro stupore e la nostra felicità nel vedere che conteneva dei discoidi. – ha detto Gianna Giachi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. – Delle compresse circolari del diametro di circa quattro centimetri e spessore di uno, di colore grigiastro», rimaste straordinariamente intatte nei secoli.

All’apparenza, quasi un moderno tubetto di aspirina chiamato da subito il «collirio di Plinio», su cui si è concentrata l’attenzione dei ricercatori della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, dell’università di Pisa e dell’Ateneo fiorentino, che hanno immediatamente ipotizzato che le compresse potessero essere una sorta di antico collirio. In effetti, anche sulla scorta di indicazioni storiche, la loro forma rimanda all’etimologia greca della parola collirio – «kolluria» piccoli panetti rotondi – e già Plinio il Vecchio nel suo «Naturalis historia» (77-78 d.C.) racconta di un rimedio medico a base di zinco usato per alleviare fastidi e dolori agli occhi.

Nel corso delle ricerche sono stati individuati proprio un composto di carbonati di zinco usato come principio attivo e alcuni eccipienti aggiunti per compattare e conservare come la resina di pino, le fibre di lino, l’amido.

Una storia affascinante e avventurosa, che ha sollecitato in tutto il mondo l’attenzione dei media, affrontata però dal team multidisciplinare di chimici, geologi, archeologi e botanici toscani con tecniche di analisi avanzate: dalla spettroscopia a raggi X e a infrarossi, alla gascromatografia, dalla spettrometria di massa alle indagini paleobotaniche. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista americana «Proceedings of the National Academy» (Pnas), svelando sia la composizione di quei medicamenti che preziose informazioni sulle pratiche mediche di 2000 anni fa ma non solo, perché lo zinco è impiegato ancora oggi in oftalmologia e dermatologia per le sue notevoli proprietà antibatteriche, batteriostatiche e antivirali. L’ipotesi più attendibile è che dunque che le pasticche, sciolte nell’acqua, servissero a fare degli impacchi da applicare sugli occhi dei marinai, spesso soggetti a infiammazioni causate dal vento e dalla salsedine.

Nel corso della giornata di studio «Il collirio di Plinio», sarà esposto il contenuto della «valigetta» del medico conservato presso il Museo archeologico di Piombino. I reperti archeologici del relitto del Pozzino sono invece esposti nel Museo Civico Archeologico del Territorio di Populonia a Piombino (Livorno).