Cultura & Società

Verona, il «guadagno» della Dottrina sociale

Verona – Ho passato la prima parte della mia vita lavorativa (quando era normale che un giovane, appena laureato, trovasse subito un buon lavoro) nel movimento cooperativo. In quello “bianco”, come si diceva allora. Anche nel rispetto per alcune splendide figure pistoiesi di sacerdoti impegnati all’epoca di Leone XIII nella costruzione dal basso di un autentico movimento cooperativistico e solidaristico, di quel movimento penso, in genere e a parte alcune deviazioni che non mi sfuggono, tutto il bene possibile.

Per cui figurarsi come ho gioito, a Verona (in un auditorium “Gran Guardia” riempito come noi in Toscana, per una cosa simile ci si sognerebbe), davanti al videomessaggio di Papa Francesco inviato a noi che siamo in questa terra per la terza edizione del festival dedicato alla dottrina sociale della Chiesa. Lasciando il testo scritto e dando l’impressione di commuoversi per il ricordo, papa Bergoglio ci ha trasmesso la sua immagine di diciottenne. Nel 1954. Quando aveva appena sentito suo babbo impegnato in una conferenza proprio sul cooperativismo cristiano.

“Mi sono entusiasmato. Ho capito che quella era la strada: essere uguali non nella omogeneità ma nelle differenze”. E da qui il papa ha tracciato un autorevole  … spot per il modello cooperativistico. Una “buona notizia” e un “elemento importante per assicurare pluralità di presenze al mondo produttivo”.Qui, a Verona, il tema di questo “festival” (parola che può anche infastidire, ma gli organizzatori spiegano di averla scelta apposta, proprio per evidenziare come il patrimonio della nostra dottrina sociale debba essere portato nelle piazze e non lasciato al chiuso per chi già lo conosce), riguarda il rapporto fra disuguaglianze e differenze. Dove il primo concetto ha, davanti, un segno “meno” e il secondo un segno “più”. E in un contesto che chiama fortemente noi laici ad una forte assunzione di responsabilità, la prima serata ha avuto protagonisti due “tonacone” di evidente significato: un papa che scelse di chiamarsi Francesco e un cardinale che accettò di aiutare quel papa nel governo di una Chiesa fino a pochi mesi fa ridotta in un angolo come un pugile suonato.Francesco, nel videomessaggio, ragionando sulla globalizzazione, ha lasciato una doppia immagine. Difficile da scordare. La sfera e il poliedro. La prima, imprendibile e sfuggente, rimanda all’omologazione. Il secondo, “composto di molte facce”, rilancia quella che papa Francesco definisce “vera globalizzazione”. E dopo essersi soffermato su due dimensioni dello “scarto” contemporaneo ragionando su giovani e anziani (“entrambi considerati scarti perché non rispondono alle logiche produttivistiche”), Francesco ricorda l’utilità della dottrina sociale. “Utile per non perdersi”. Per poi manifestare un concetto che sarebbe piaciuto a Giorgio La Pira (“La dottrina sociale contiene in sé una sorta di mistica: sembra che applicarla ti tolga fuori dal mercato mentre in realtà porta a un guadagno”).Oscar Maradiaga (di lui EMI ha appena pubblicato un tascabile prezioso. “Niente etica niente sviluppo” é il titolo) era attesissimo. Tutta la rileggere la sua bella relazione. E l’ovazione finale la dice lunga sul gradimento della platea.

Dal “grandissimo disaccordo” sulle visioni di FMI e Banca Mondiale alla netta contrarietà sulla “visione dominante dell’economia”, dalla puntualizzazione sul concetto di austerità (“nell’interpretazione della Troika é diventata una parolaccia mentre sarebbe una virtù … Ha accelerato l’aumento della disuguaglianza”) al dito puntato sulle enormi ingiustizie nella distribuzione del reddito (“lunghi periodi di disuguaglianza aumentano le probabilità di nuove future crisi economiche”).

Da una stoccata sul rapporto fra potenti e politici (“i ricchi sono in posizione migliore per influenzare la politica e lo fanno nel loro interesse”) alla precisazione sul grande rischio (“l’onda di austerità economica rischia i danneggiare seriamente il prezioso modello sociale dell’europa”).

Arrivando, Maradiaga, alla grande sfida oggi aperta per la Chiesa: “evangelizzare lo sviluppo umano” in un contesto che sembra riproporre pagine da Antico Testamento con gli adoratori del “vitello d’oro oggi chiamato mercato”.

“Annunciare Gesú Cristo come speranza sociale – ha proseguito con un forte assist alla pastorale sociale, ai laici e alle loro associazioni – non come utopia. Perché la fede non è solo cosa da sagrestie o da cappelle. E perché la visione di Cristo non è irrazionale ma sovrarazionale e dunque non contraria alla ragione”.Con una immagine finale dedicata al piccolo Davide davanti al grande Golia. “Basta un piccolo sasso – conclude Maradiaga precisando di non pensare certo alla violenza ma di riferirsi solo alla ragione e invitandoci a non restare passivi – perché anche i giganti possono cambiare”.Parte così questa tre giorni veronese sulla dottrina sociale. Inevitabili, all’inizio, i saluti istituzionali compresi quelli del giovane sindaco leghista (o post leghista?) Flavio Tosi. Anche lui, come il presidente della Provincia (il post berlusconiano Giovanni Miozzi), molto fervoroso nell’esaltare i valori cristiani. Partendo, ovviamente, dal valore della famiglia.

La domanda a Maradiaga e il liberalismo che non funziona

Verona 22 novembre – Troppo ghiotta per non coglierla, verso mezzogiorno di questa mattina, l’occasione che si presentava. E la conclusione del primo confronto (una classica tavola rotonda, su disuguaglianze e crisi economica, fra cattedratici cui si è bene aggiunto un imprenditore umbro con una bella storia di profitto sostenibile) l’ho inevitabilmente persa.

Per spostarmi a qualche centinaio di metri, in una Verona inondata di sole, verso un albergo dove l’ufficio stampa del Festival dedicato alla dottrina sociale aveva organizzato un incontro con Oscar Maradiaga, cardinale di Santa Romana Chiesa definibile, usando un linguaggio in effetti logoro, come leader dei progressisti. Un cardinale di cui Papa Francesco, evidentemente, si fida e non poco.

Fra le tante domande, mi pareva ne mancasse una: sul raffronto fra l’apparente forza globale della finanza e l’apparente debolezza globale della politica. Con il sindaco La Pira nella mente, gliel’ho fatta e Maradiaga ha insistito sull’importanza che la politica debba cambiare, debba ritrovare una sua indipendenza da certi poteri, debba mettersi a servizio di un bene comune che economia e finanza certo non possono, per definizione, interpretare. Ha notato come l’economia abbia imparato non solo a “fare senza” i politici ma perfino “a fare sopra” i politici.

Il cardinale che viene dal Sud, ha chiesto di diffidare dalla tentazione di incasellare le persone in base i vecchi stereotipi di “destra” o “sinistra”, è tornato sul concetto di “mistica” sociale ricordando l’importanza di piantare bene i piedi per terra rivolgendo nel contempo gli occhi al Cielo. Ha ricordato il grande ruolo dei laici nella Chiesa (“ogni laico è un piccolo Davide, ma unite tutti i Davide e vedrete che risultato”) invitando a ” non lasciare tutto alle gerarchie” e auspicando la nascita, in vaticano, di un “vero” Dicastero per i laici.

Ma ha anche aggiunto di aver “sognato” che l’organismo vaticano per la famiglia fosse guidato “da una coppia”. E chissà, ha concluso, anche perché “lo Spirito Santo non ha marcia indietro. Guarda sempre avanti”.In aula, piena di studenti attenti e questo fa piacere, Stefano Zamagni e Mauro Magatti avevano appena tracciato una analisi sull’importanza di capire il vero messaggio proveniente dalla crisi. In sintesi: l’economia non può fare a meno della società, non può travolgere le vite che pretende di servire, non esiste crescita economica stabile prescindendo dagli investimenti sociali, più si divide con giustizia e più che la “torta” cresce, il liberalismo é una ricetta che non funziona.Nulla di nuovo, ovviamente, per chi frequenta questi argomenti. Ma detto bene e con una buona dose di chiarezza senz’altro utile per divulgare le tesi, davvero oggi alternative, della dottrina sociale.Una storia concreta di impresa l’ha poi raccontata l’umbro Giuseppe Colaiacovo. Imprenditore nel cemento e nelle miniere che, da qualche tempo, opera anche in Honduras e opera un base a una progettualità anche etica e sostenibile.

La sua azienda estrae oro dalle viscere della terra per poi rivenderlo a chi (nientemeno che … Cartier) lo trasformerà in gioielli.

Andando le prime volte in Honduras trovarono situazioni di forte sfruttamento. Umano e ambientale. Inaccettabile. Hanno dunque messo in piedi un nuovo modello, rispettoso dei diritti umani e sostenibile con l’ambiente. Non usano più veleni. La tracciabilità dell’oro è sempre garantita. E il cliente finale, dando atto di aver usato modalità etiche, riconosce all’azienda umbra che estrae oro in Honduras un valore aggiunto. In pratica: soldi in più.Presentando un libro di Bergoglio (“Noi come cittadini, noi come popolo”) mons. MarioToso, del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha detto parole forti proprio sulla politica. Sull’attualità della politica italiana. Sarà utile tornarci sopra.

Uguaglianze e differenze su sanità e fisco

Verona 23 novembre – Uguaglianze e differenze declinate, al Festival veronese sulla dottrina sociale, con riferimento a due ambienti di evidente concretezza e vicinanza per ciascuno di noi: sanità e fisco. Due confronti intriganti, mentre nella Fiera si svolgono iniziative per i giovani sul rapporto scuola lavoro con tanti stand anche di aziende sostenibili (fra cui anche una di Calenzano che produce dettagli poi utilizzati in prodotti del fashion toscano).Il “patto” fra Stato e Regioni su spesa e offerta sanitaria in una Italia dove negli ultimi cinque anni ben mezzo milione di famiglie hanno rinunciato a curarsi dal dentista a causa dei costi per quelle cure mediche (e, come conseguenza, stanno aumentando certi tumori alla lingua che erano quasi scomparsi), viene illustrato da Francesco Bevere, direttore generale del ministero Salute. Fa un certo effetto sentire, da una voce così esperta, considerazioni quasi sconfortate sulla effettiva capacità del sistema sanitario italiano di mettere a posto i conti anche perché i controlli seri, oggi, in pratica sono spariti. Non li fa più nessuno. O quasi. E l’Italia della sanità sta sempre più macchiata come un leopardo: in alcune regioni abita perfino l’eccellenza, in altre i disastri sono all’orine del giorno.Così come fa effetto riflettere sul fatto che fasce anche elevate di un ceto un tempo definibile come “medio” rinunciano a curarsi davanti a costi sempre più elevati e insostenibili.

Inevitabile, nell’Italia della grande ingiustizia chiamata evasione fiscale, la tavola rotonda successiva.

Parlano un generale della Guardia di Finanza, un direttore dell’Agenzia Entrate, un professore Luiss, un imprenditore con responsabilità in Confindustria.Su fisco e tasse non sono certo le norme sulla carta a mancare: ce ne sono perfino troppe. A mancare é altro. Compresa, dico io, quella che un tempo si chiamava “volontà politica”, ma compresa anche la “cultura” di noi cittadini in un contesto dove, lo ricordava Piero Gobetti già nel 1924, ” il contribuente paga bestemmiando lo Stato”.

Si dovrebbero pagare le tasse giuste, insiste un relatore, perché lo Stato abbia poi la possibilità di sanare le disuguaglianze: abbiamo invece soltanto, e netta, la percezione di un cattivo impiego del denaro unita al sospetto verso uno Stato troppo rapace. E allora? Interessante una attività educativa per i più giovani (“fisco in classe’). Anche per far capire, dice il generale, che ” chi evade non é un figo”.

Dottrina sociale è anche questo. Può essere anche questo. Dovrebbe essere anche questo.

Le cooperative hanno retto meglio alla crisi

Verona 24 novembre – Il titolo stesso del festival (“Meno disuguaglianze, più differenze”) pareva fatto apposta per rilanciare l’attualità di quella particolare forma di impresa che in effetti rimanda molto alle origini della dottrina sociale. Intendo la cooperazione. Intendo quel movimento cooperativo per lunghi decenni frazionato almeno in tre diverse componenti ideali (la cattolica, la socialista, la mazziniana) e oggi impegnato in un affascinante percorso di alleanza.Ed è proprio sul movimento cooperativo che ha giocato l’intera mattinata di sabato nella parte convegnistica del festival (già, perché accanto a convegni e tavole rotonde non sono mancati altri momenti: incontri con gli studenti, borse studio/lavoro, presentazione di iniziative imprenditoriali per giovani e con giovani, premiazione di aziende virtuose).Restando al convegnificio, merita una segnalazione la tavola su presente e futuro del movimento cooperativo. Con questo fine “Cattolica Assicurazioni” (che ho scoperto – non lo sapevo, lo giuro – essere un’impresa cooperativa) aveva affidato a Nomisma uno studio dedicato a come le imprese cooperative, in Europa e in Italia, hanno retto l’ultimo quinquennio di crisi. Lo hanno retto bene, a giudicare dai numeri presentati qui a Verona. Numeri che hanno analizzato i bilanci di oltre 16 mila imprese coop e di oltre 54 mila spa.Per le cooperative migliori performance, buona tenuta occupazionale, preziosi ricavi, minore delocalizzazione all’estero. Ma non mancano domande sul futuro (il legame con il territorio può essere un freno? Una impresa cooperativa può crescere oltre un certo limite restando cooperativa? La formula cooperativa può essere di ostacolo per aperture efficaci su mercati esteri? Come salvare la bellezza dei principi cooperativistici, fra cui il fondamentale secondo cui “una testa vale un voto”, con le moderne regole della governance?). Su questo si sono confrontati due big del movimento: il presidente nazionale di Lega Coop Giuliano Poletti e Maurizio Gardini di Confcooperative. Ma, in seguito, anche Giulio Magagni, presidente di Iccrea Holding (sulle Banche i Credito Cooperativo) e lo stesso Paolo Bedoni, presidente di Cattolica Assicurazioni. Per non parlare della toscanissima Claudia Fiaschi, vice nazionale di Confcooperative, nel confronto pomeridiano con Luigi Abete sula “emergenza povertà”.Bel confronto, aperto da una inevitabile riproposizione del videomessaggio con cui Papa Francesco aveva definito quella cooperativistica come la strada giusta per affrontare non pochi aspetti, economici e sociali, di un oggi così denso di problemi.Tutta da riportare la notazione del presidente di Iccrea Holding sulla necessità di democrazia interna nelle cooperative di credito, sull’obbligo di evitare conflitti i interesse, sul fondamentale apporto che i soci, tutti i soci, sono chiamati a dare per evitare storture. Chi amministra una BCC – ha detto Magagni – deve avere “morale e capacità. E chi fa porcherie deve andare via”.  A me, e non solo a me, è venuto subito un esempio toscano. Ma ci ha pensato lo stesso Magagni a citarlo. “Talvolta, purtroppo, prevalgono i conflitti interesse. Come nel caso del Credito Fiorentino che è stato un fatto negativissimo per l’intero Credito Cooperativo. Perché la coerenza è base fondamentale per una cooperativa e se manca coerenza l’impresa cooperativa perde di significato”.

Il sito del Festival