Cultura & Società

Vittoria Sormè, il ricordo di una grande artista fiorentina

A dicembre del 2012 avevo scritto per i lettori di “Toscana Oggi” una intera pagina dedicata a Vittoria Sormè, una cara amica che allora aveva 94 anni, la cui vita avventurosa poteva essere la trama di un film. Nata il 9 settembre 1918 si è spenta il 17 aprile scorso, a quasi 102 anni, in questa primavera dove siamo isolati nelle nostre case dalla pandemia, provocata dal coronavirus. Questo nemico invisibile, che sta dilagando in tutto il mondo, sembra replicare l’epidemia della “spagnola”, che iniziò nell’anno di nascita di Vittoria e durò circa due anni. Lei se ne è andata in punta di piedi, era stata una valente ballerina, senza funerale come hanno stabilito le autorità, per impedire una maggior diffusione del Covid -19. Ho letto su “La Nazione” del 18 aprile scorso, che la causa del decesso era stata un blocco intestinale, spero solo che sia morta serenamente, senza soffrire.

Non ho potuto darle l’ultimo saluto, ma lo faccio con questo articolo, che esce a pochi giorni dalla festa della mamma, perché avendo persa la mia in giovane età, mi comportavo come fossi amica e insieme figlia, un solo anno separava Vittoria da mia madre Irene, nata nel 1919. All’Istituto San Silvestro, in borgo Pinti, dove Vittoria era ospite da tanti anni, quando organizzavano il pranzo con i familiari per la ricorrenza mi avvisavano, perché era l’unica ad essere al tavolo da sola, non aveva più nessuno da quando aveva perso la sorella Giovanna. Mi ricordo di una volta che, arrivata nel grande salone a piano terra, mi avvisarono che Vittoria non voleva scendere. Allora presi l’ascensore e andai nella stanza che condivideva con tre signore, l’abbracciai per farle comprendere quanto le volevo bene e le dissi che ero venuta apposta per festeggiarla, la convinsi e ci divertimmo molto, perché c’era anche la musica con canzoni d’epoca e lei, pur stando sulla carrozzina, seguiva il ritmo muovendo le braccia, come aveva fatto da ballerina. Negli ultimi anni non parlava più, farfugliava e si esprimeva con gridolini di gioia quando mi vedeva, sapeva chiedere le cose con la gestualità e con quegli occhi vivaci, che sapevano dire molto di più delle parole.

Ho imparato tanto da Vittoria, che conobbi quando ero inviata pastorale nelle case, abitava con la sorella in via Guelfa, poco distante dalla mia abitazione, diventammo amiche e lo siamo state per venticinque anni, li avremmo dovuti festeggiare quest’anno. Quando andavo a trovarla mi raccontava sempre episodi della sua vita, dei viaggi, degli spettacoli di danza: in coppia con la sorella facevano “Le sisters Sormè”, molti anni prima delle gemelle Kessler. Imparò nella fanciullezza alla scuola di danza del Maggio musicale e per pagarsi le lezioni faceva, come la madre, la comparsa nelle opere liriche. La sua carriera di modella per celebri scultori e pittori nella Firenze degli anni ’30 iniziò nel 1935 quando fu scelta da Italo Griselli per posare nella scultura “L’Arno e la sua valle”, posta all’esterno della Palazzina Reale, nella Stazione S. Maria Novella. Lavorò anche per Carena; Moschi, Primo Conti… e interpretò piccole parti in film con Gino Cervi e Vittorio de Sica. Nella biografia del 2012, consultabile su internet scrivendo solo Vittoria Sormè, ho parlato della carriera artistica, ma vorrei ricordarla in due momenti di gioia condivisa.

Il primo fu il nostro viaggio a Lourdes, in treno con l’Unitalsi nel 2004, aveva già 86 anni ma era in gamba, con uno spirito da ragazzina. Eravamo sullo stesso vagone, ma in compartimenti diversi, lei con i pellegrini ed io con le sorelle d’assistenza. Ogni pochino andavo a trovarla, notai quanto amasse parlare con le persone ed era prodiga di consigli su cosa visitare nella cittadina di Bernadette, del resto c’era già stata undici volte. Raccomandava di non aver paura di fare il bagno nelle piscine, anche se l’acqua era ghiaccia, perché l’emozione era forte e poi ti tiravano fuori subito. Arrivate a Lourdes ci fecero sistemare in un hotel piccolo, ma accogliente. Appena entrate in camera Vittoria mi fece scegliere il letto: “tu devi lavorare, per me l’uno o l’altro è indifferente”, era sempre gentile e premurosa. Avevo tre ore libere prima del turno e con Vittoria andammo subito alla grotta, eravamo entrambe emozionate. Furono giorni meravigliosi, di grande spiritualità.

Quattro anni dopo, il giorno che compì 90 anni per darle il regalo la invitai a fare la prima colazione da Robiglio, in via dei Servi. Era una luminosa giornata di settembre, le scattai due foto in piazza SS. Annunziata, ad una delle fontane del Tacca, arrivate ci sedemmo ai tavoli all’aperto. Avevo la macchina fotografica digitale che faceva i filmini, una delle prime e gliene feci alcuni. Pensavo di averli cancellati, erano del 2008, invece li ho ritrovati in questi giorni e risentire la sua voce mi ha dato l’impressione di averla accanto, così elegante e curata, con un filo di rossetto e l’immancabile collana, con orecchini abbinati. Ordinai i cappuccini con una spolverata di cacao e tre paste, quando le vide arrivare mi disse: “ma io ne voglio una sola”, ci teneva alla linea. Quella mattina era in vena di confidenze e mi raccontò di un lungo viaggio in bicicletta, con il fratello della sarta di fiducia aggiungendo: “ma lui non era il mio amore”. Insomma il ragazzo venne un giorno a Firenze da Marina di Pisa, in bicicletta e le chiese se lei ci sapeva andare. Alla risposta: “So andare, anzi vado anche molto”, subito la invitò: “Vieni con me a Marina di Pisa, dove la c’è la mia mamma, mio padre e ti ospitano. Difatti andai stetti lì due giorni o tre, non mi ricordo. Poi si ripartì la mattina e a tornare si fece proprio presto. Ti rendi conto tutta quella strada, tanti chilometri”. Ride mentre racconta, me la voglio ricordare così allegra e spensierata la mia Vittoria: non solo ballerina, modella, attrice ma anche ardimentosa ciclista.