Dossier
Chi si ricorda dei sette peccati capitali?
E procedendo a ritroso, l’elenco è, per esempio in San Tommaso d’Aquino (Il male 8,1) che assume la lista dal grande educatore del medioevo latino, il papa San Gregorio Magno nei Morali su Giobbe (31,45,87), a conclusione dell’età dei Padri della Chiesa. Dalla tradizione scolastica viene la definizione di «vizio», termine tecnico, scientifico, della filosofia e teologia morale, rispetto al fratello più alla buona che è l’italiano «vezzo», il figlio primogenito del latino vitium. E, per una definizione di sapore aristotelico (Etica a Nicomaco II,1), il vizio è un habitus operativo cattivo, come la virtù un habitus operativo buono. Che c’entra l’«abito»? Habitus è una qualità permanente, un’«abitudine», e il vizio è quella che ci induce ad operare in modo cattivo, che ci facilita ad agire in quella brutta maniera.
Che la virtù sia un’abitudine buona, ci fa forse storcere il naso, figli come siamo d’un postromanticismo eroizzante all’insegna della spontaneità. Ma che nel vizio ci sia molta coazione a ripetere, che ci siano dei tic poco o punto vezzosi, in cui ci s’ingolfa in nome della libertà, ma da cui ci si districa solo con forti motivazioni morali e con una volontà deliberata, l’esperienza comune lo avverte, in una certa sintonia col dottor Freud. Avverte un guazzabuglio di condizionamenti e di responsabilità. E la liberazione è all’insegna di una grazia almeno anelata, talora invocata, anche celebrata, grazia che è e diventa in noi carità, amore vero di Dio, di noi stessi e del prossimo, insomma virtù. Sennò, anche quella forza di volontà ci metterebbe a rischio di fare la preghiera del fariseo e si trasformerebbe nel peggiore dei vizi che ci possa essere: la superbia, quello di crederci tanti padreterni. Ma piccoli, piccoli. Vizio, quindi, anche ridicolo.
* Don Carlo Nardi, docente di patrologia alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha scritto numerosi saggi sui Padri della Chiesa, con particolare attenzione ai rapporti tra cultura classica e cristianesimo.
AVARIZIA: L’amore smisurato per il denaro, radice di tutti i mali (di ANDREA DRIGANI)
2. SUPERBIA: quando la stima di se stessi diventa disprezzo degli altri
3. IRA: Arrabbiarsi «a vanvera»: questo è il vero peccato
4-5: IRA E LUSSURIA: Quando il piacere è fine a se stesso
6. ACCIDIA: La tentazione di cedere allo scoraggiamento
7. INVIDIA: Quel sentimento doloroso, figlio della frustrazione